La Pallarmonica è qualcosa che va oltre lo sport e oltre l’intrattenimento fine a sé stesso.
È, più di ogni altra cosa, un messaggio.
Nasce all’interno di una scuola, ed è lì che questo messaggio acquista una valenza ancora più significativa. Perché, è vero,…
…ci sono tutte le componenti di una disciplina sportiva.
Squadra A, Squadra B, una palla e una rete nel mezzo.
È una cosa che abbiamo visto tante volte. Il tennis, la pallavolo, eccetera.
Ma stavolta è diverso.
Nella Pallarmonica viene esaltato, fino a farne una regola,
Non si può tirare la palla al di là della rete se non stando uniti, creando un contatto tra i giocatori in campo.
E si sa, i messaggi hanno spesso più forza delle imposizioni.
E così i giovani giocatori devono entrare in contatto tra di loro se vogliono realizzare il punto.
Non crediamo sia una cosa di poco conto.
In questa epoca di individualismo esasperato in cui ci troviamo, avere la possibilità di far praticare ai ragazzi un gioco che esalti le finalità collettive prima di quelle individuali, pare una piccola rivoluzione.
E le rivoluzioni hanno sempre avuto lo scopo di cambiare quello che c’era prima.
La Pallarmonica, come il nome stesso suggerisce, pratica l’armonia, lo spirito di squadra, a tutto svantaggio della pratica individualista.
L’argomento è dibattuto da tempo senza che vengano individuate con una certa precisione modalità ed effetti.
Spesso si tira in ballo la scuola come organo maestro nell’inculcare i principi dell’educazione, ma…
…non sempre l’istituzione scolastica dà del tu allo sport in quel rapporto virtuoso tra educatori sportivi ed alunni.
Il recupero della cultura sportiva
E allora il problema di recuperare una adeguata “cultura sportiva” lo si tira in ballo ogni volta che assistiamo ai fischi dell’inno nazionale della squadra avversaria o a imprecazioni razziste nei confronti del giocatore che ha una pelle differente da quella a cui si è abituati a vedere a queste latitudini.
Se invece sei un praticante o un addetto ai lavori, come si usa dire, cultura dello sport vuol dire anche la capacità di individuare i tuoi limiti per sapere come e dove intervenire.
Se fai parte di questo mondo sai benissimo che non c’è nulla che si possa anteporre al riconoscimento del merito – ovvero di quella nozione che nel resto della società italiana viene completamente ignorata.
Insomma, lo sport è – o dovrebbe essere – “un’altra cosa”.
È sempre stato così.
Ci dovrebbero essere variabili talmente obiettive da impedire scorciatoie o facilitazioni per chi non ha le caratteristiche per andare avanti, come, in genere accade in altri contesti a cominciare dalla politica, ma non solo.
Le domande
Ma chi dovrebbero essere quelli maggiormente in grado di piantare semi nel terreno?
Di predicare una forma corretta di approccio alla materia sportiva?
Di fare, di un popolo di commissari tecnici, della gente capace di riconoscere cosa sia lo sport ed i suoi valori?
Chi sono queste figure?
Probabilmente coloro i quali hanno un approccio diretto nel mondo sportivo, coloro che hanno delle responsabilità tecniche o dirigenziali ed anche e soprattutto quanti hanno a che fare con la materia della divulgazione.
Il ritratto
Se mescoliamo assieme questi elementi, ne viene fuori un identikit molto chiaro.
L’identikit corrisponde perfettamente alla figura dell’allenatore, a maggior ragione quando questa figura ha sovente attenzioni mediatiche continue:
Quel ruolo non si limita a selezionare i migliori giocatori, a coordinare sedute di allenamento e stabilire principi tecnico tattici per raggiungere i migliori risultati.
Quel ruolo ha una enorme responsabilità anche nei confronti della divulgazione di una certa cultura sportiva.
D’altronde il calcio è lo sport di gran lunga più visto e letto sui mass media e quel ruolo deve essere ben consapevole del fatto che le sue dichiarazioni rivestono un ruolo di enorme rilievo anche nei confronti dei praticanti e nelle tifoserie di altre discipline.
L’affermazione
A tal proposito ho ascoltato le dichiarazioni del Commissario Tecnico italiano dopo la scialba prestazione dell’Italia in Irlanda che non ha consentito alla nazionale di ottenere il passaporto per i prossimi campionati mondiali.
Il C.T. esprime fiducia sulle residue possibilità della nazionale e poi afferma un altro concetto che estrapolo letteralmente:
Non lo può sapere, ma soprattutto non lo può dire.
Un C. T. non può rilasciare una dichiarazione simile.
Perché?
Non ci si aspetta da un uomo di sport che parli come un qualunque politicante che sta per affrontare delle elezioni e che deve mostrare sicurezza e spavalderia perché quegli atteggiamenti possono far presa sull’elettorato.
Un uomo di sport predica la cultura dell’impegno e del sacrificio.
Nessuno meglio di lui sa che solo attraverso quel banco di prova si possono ottenere risultati, non vende la pelle dell’orso prima di averla comprata, e poi quell’orso, a vedere bene, pare ancora vivo e vegeto per essere comprato.
Senza contare il fatto che quella dichiarazione ha un effetto devastante anche nei confronti dei suoi stessi giocatori, i quali psicologicamente sono assolti dalle loro responsabilità.
Un C.T. che non riconosca i limiti della sua squadra, che:
che afferma di aver tenuto il pallino del gioco per tutta la partita
dimenticando che non ha quasi mai impensierito la porta avversaria
le occasioni migliori sono capitate proprio agli avversari
pure se non hanno tenuto in mano il pallino del gioco,
non ha la necessaria lucidità per inquadrare bene che momento sta vivendo la squadra e tutto l’ambiente circostante.
Conclusione
Senza questa obiettività, senza un bagno di umiltà, si è persa una importante occasione di far capire, in un colpo solo, a pubblico e addetti ai lavori, che bisogna ripartire da altre basi, con atteggiamenti differenti e senza mostrare alcuna gratuita arroganza.
Quando si vince c’è fin troppa euforia per costruire messaggi educativi:
la vittoria è esaltante e gioiosa, ma è la sconfitta – o la mancanza di risultati momentanei -il momento migliore nel quale:
E in questo caso l’occasione è andata clamorosamente sprecata.
“Lo sport ti insegna l’autoconsapevolezza e l’autocontrollo, Non possiamo cambiare il mondo in un giorno. Dobbiamo partire da un campo di gioco per volta”.
Avere l’opportunità di praticare attività sportive assieme facilita la modifica della mentalità dei suoi praticanti, valorizza le capacità del singolo e contribuisce a formare lo spirito di squadra.
Il catalizzatore del cambiamento sociale oggi è lo sport, perché genera entusiasmo, una parola che dal greco significa “tenere gli dei dentro di noi”.
Lo sport è…
…azione, ci fa scendere in campo, ci appassiona, mette in gioco una grande energia collettiva, uno sforzo atletico, che salva dalla solitudine.
Lo sport è speranza.
L’inventore della pallacanestro
Per stimolare il movimento divergente nello sport può essere utile leggere le imprese di alcuni creativi famosi nel campo sportivo come ad esempio quelle di:
Il gioco della pallacanestro nacque come un’attività motoria che doveva servire a mantenere in allenamento i ragazzi nella stagione fredda per cui le sue regole inizialmente erano molto semplici.
C’erano due squadre di nove elementi ciascuna che dovevano cercare di lanciare la palla nella “scatola” avversaria, era falloso ogni contatto con i giocatori.
Per le sue caratteristiche di:
dinamicità
di strategie
di divertimento
ben presto il gioco si diffuse in tutti gli Stati Uniti d’America.
Le sue regole si sono evolute e molti appassionati hanno contribuito a farlo diventare il gioco fantastico che oggi conosciamo.
Mentre per i grandi giochi di squadra è difficile dare con precisione la data della loro nascita, la pallacanestro ha origini accertate.
E’ nata il 20 gennaio 1891 a Springfield (un benaugurante Campo di Primavera) negli Stati Uniti d’America.
A Springfield il canadese James Naismith svolgeva l’incarico di direttore delle attività sportive di un’Associazione cattolica e si trovò di fronte dei giovani che non sapevano come giocare nei gelidi inverni visto che il baseball e il football, gli unici sport praticati, si potevano svolgere solo su larghi spazi all’aperto.
Tentò di adattare il baseball e il football agli spazi ristretti della palestra ma si creava solo una grande confusione, inoltre i ripetitivi esercizi annoiavano i ragazzi.
Bisognava pensare a qualcosa di nuovo, a questo punto James mise in moto il suo circuito cerebrale divergente, il suo itinerario è un vero e proprio programma di creatività per cui ve lo descrivo nei dettagli.
La soluzione
Il punto di partenza, da cui tutto ebbe inizio, fu una situazione concreta:
Alla soluzione di questo problema James ha probabilmente pensato a lungo.
Bisognava rendere accessibile l’ambiente.
La palestra, avendo spazi più ridotti rispetto ai campi all’aperto, non permetteva corse molto lunghe ed inoltre facilitava i contrasti e gli urti per cui bisognava pensare ad un nuovo gioco con la palla.
La prima soluzione trovata fu di evitare che ci fossero contatti tra i giocatori.
Il pallone se veniva calciato con i piedi urtava spesso contro le pareti della palestra e provocava traumi muscolari ai ragazzi per cui James introdusse la regola di giocare usando le mani.
Un altro problema era l’assegnazione dei punti che sempre per le dimensioni dello spazio non potevano essere le lontane mete del baseball o del football.
In un primo momento James fece usare le porte dell’Hockey, poi pensò a delle scatole.
La seconda soluzione
Vedendo, però, che i giocatori in difesa avevano la possibilità di chiuderne completamente tutti gli spazi con il proprio corpo, scartò questa idea, e arrivò all’intuizione geniale, la più importante per il futuro gioco, la vera “rottura delle scatole”:
James prese un cestino (basket) che conteneva le pesche, inserì sotto una rete che potesse trattenere la palla, e lo fissò al muro in alto, quella era la meta, e così fece con un altro al lato opposto della palestra.
Iniziò così la prima partita di pallacanestro.
La traccia impressa da James è stata seguita da molte persone ed ognuno ha permesso di renderla più definita.
L’intuizione
E’ da ricordare in particolare il fondamentale contributo dato da un giocatore, nel 1912, che, rendendosi conto del fastidio e della perdita di tempo che comportava il salire su una scala ogni volta che si doveva recuperare il pallone dopo una segnatura, ebbe l’idea creativa di tagliare il fondo della rete.
Nessuno si ricorda il nome di chi ha tagliato la corda ma il suo suggerimento ha contribuito a velocizzare il gioco e a renderlo più spettacolare.
Spesso sono gli stessi giocatori, quindi, che apportano dei cambiamenti, delle novità, allo sport che praticano.
Le maggiori trasformazioni le ha subite negli ultimi anni la pallavolo, la disciplina sportiva più praticata in Italia.
Il bagher che oggi è la tecnica fondamentale di ricezione, di difesa, della pallavolo, non era conosciuto fino al 1950, dopo i potenti colpi di attacco nelle schiacciate e nelle battute che provocavano a volte microfratture alle mani dei giocatori si è arrivati all’introduzione di quello che è diventato il più importante tocco dei tre.
E’ importante quindi vedere gli sport non chiusi in regole ed azioni statiche ma pronti a modificarsi seguendo il passo dei tempi.
IN ITALIA A LIVELLO GIOVANILE SI PRATICA POCA ATTIVITA’ SPORTIVA E L’ABBANDONO AUMENTA
In Italia, a 18 anni, meno di 1 adolescente su 3 pratica qualche attività sportiva o fisica e i tassi di sedentarietà sono da record.
Il problema è…
…il cosiddetto “drop out” (abbandono precoce) che inizia già a 11 anni:
a 15 anni meno di un ragazzo su 2 pratica attività sportiva continuativa,
a 18 la pratica poco più di uno su 3 e i tassi di sedentarietà nel nostro Paese sono tripli rispetto a quelli delle altre nazioni europee.
Per non parlare della Scuola Primaria dove il movimento
Dopo la Scuola Primaria
Dopo la Scuola Primaria i ragazzi italiani cominciano ad allontanarsi dalla pratica sportiva continuativa e ingrossano le fila dei sedentari.
A maggior ragione da marzo 2020 con la pandemia, che ha fatto crollare il gioco, il movimento, l’E.F. e ha aumentato di fatto la sedentarietà con conseguente aumento di peso, noia e ……. è meglio rimanere nella “bolla” di casa” e giocare con:
lo smartphone
il telefonino
la TV
Lo spartiacque
E se finora l’età spartiacque era quella tra i 14 e i 15 anni, negli ultimi anni si è osservato che il trend negativo comincia già a 10- 11 anni.
Infatti tra il 2018 e il 2019 la quota di ragazzi/e praticanti un’attività sportiva in modo continuativo è diminuita nella fascia d’età 11-14 anni, passando dal 53% al 60,4%, percentuale che tra i 15 e i 17 anni diventa del 52,5% e si assesta al 40,7%, tra i 18 e i 19 anni:
una parabola discendente preoccupante con il crescere dell’età!
Non abbiamo i dati dal 2020, ma sicuramente la percentuale è aumentata di sicuro!
L’abbandono e la sedentarietà
Preoccupante non è solo l’abbandono della pratica sportiva in età preadolescenziale e adolescenziale, ma quello che è pericoloso è l’elevato numero di sedentari assoluti, di coloro che non praticano nessuno sport, né alcuna attività fisica e questo fenomeno riguarda soprattutto le ragazze, in una percentuale che va dal 28% (tra i 15 e 17 anni) al 36% (tra i 18 e i 19 anni).
Per non parlare dei bambini!
Le nuove tecnologie
I sociologi, gli psicologi, i pediatri non hanno dubbi sui colpevoli del divorzio tra adolescenti e sport: le nuove tecnologie!
Infatti i giovani d’oggi trascorrono dalle 3 alle 4 ore al giorno davanti a uno schermo TV, computer o smartphone che sia.
Ma questo non basta a spiegare perché il tasso di sedentarietà degli adolescenti italiani sia più che triplo rispetto a quello dei loro coetanei europei (24,6% contro 7% nella fascia di età 15-24 anni), che non sono da meno dei ragazzi italiani nell’uso di tecnologie digitali, né per abilità né per tempo trascorso.
Alcune indagini svolte a “random” tra i giovani adolescenti in alcune città italiane, hanno evidenziato due principali motivi di abbandono sportivo:
uno legato all’eccessivo impegno richiesto dallo studio (56,5%);
l’altro riconducibile alle modalità di svolgimento dell’attività fisica.
Perché?
Queste le risposte relative all’indagine svolta: perchè
“fare sport è venuto a noia” (65,4%);
“costa troppa fatica” (24,4%);
costa troppo in termini economici (32%);
“gli Istruttori e gli Allenatori sono troppo esigenti”
e non sanno insegnare (19,4%).
Cosa bisogna fare?
Per riavvicinare gli adolescenti all’attività fisica e sportiva, bisogna offrire loro nuovi stimoli.
L’agonismo esasperato dei giorni nostri, le aspettative e le pressioni eccessive dei genitori e degli Allenatori, rischiano di allontanare i giovani dallo sport.
Occorre valorizzare di più l’attività fisica anche non strutturata e la pratica sportiva non agonistica e questa è una sfida che deve coinvolgere anche le Società Sportive.
E partire anche dai bambini?
E riscoprire la Multilateralità e il “giocare a tutto” e poi scegliere?
La Scuola
Ma il ruolo centrale di questa valorizzazione spetta alla SCUOLA, soprattutto in quella secondaria inferiore e superiore.
L’Educazione Fisica è parte integrante dello sviluppo psicofisico degli adolescenti:
lo sanno bene Paesi come la Francia che dedicano a questa attività il 15% dell’orario complessivo scolastico, percentuale che scende al 7% per gli studenti italiani.
Circa un terzo dei Paesi europei sta lavorando oggi a riforme che riguardano l’Educazione Fisica con interventi di vario tipo volti ad aumentare l’orario minimo, diversificare l’offerta, promuovere la formazione di coloro che la insegnano.
Per non parlare della Scuola Primaria e della “non importanza” dell’E.F. nel contesto delle altre Educazioni!
E in Italia?
Due ore di E.F. (scusate Scienze Motorie!) nella Scuola Secondaria di 1° e di 2° grado, poco o niente di Educazione Fisica (così giustamente si chiama) nella Scuola Primaria, niente nella Scuola d’Infanzia.
Quando smetteremo di parlare di sport femminile e inizieremo a riconoscere le donne al pari degli uomini anche nello sport, allora si potrà cambiare il tono della domanda.
Lo sport è per tutti ed è di tutti: maschi e femmine, ma è solo un miraggio in Italia!
Nel mondo dello sport italiano ci sono discipline considerate appannaggio esclusivo degli uomini o delle donne…
In questo Report il 38,5 % degli uomini pratica il calcio contro l’1,2 % delle donne, il 16,8 % delle donne pratica danza contro il 2 % degli uomini, il 4% degli uomini pratica il volley rispetto all’85% delle donne e così di seguito.
Un lavoro del Centro Studi di C.O.N.I. Servizi del 2017, relativo alle caratteristiche demografiche degli atleti e degli Operatori delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate, evidenzia elementi di fortissima differenziazione di genere:
le atlete donne erano il 28,2 % contro il 71,8 degli atleti maschi (su 4,7 milioni di tesserati complessivi);
tra gli Operatori Sportivi (Istruttori, Allenatori, Dirigenti), 4 su 5 erano di sesso maschile (80,2 % Allenatori, Istruttori, Direttori Sportivi, 81,8 % Ufficiali di Gara e Arbitri, 87,6 % Dirigenti Federali e 84,6 % Dirigenti Societari).
Questi sono i dati ufficiali del 2017, ma nel 2020 i risultati sono diversi, è aumentata la percentuale delle atlete donne nel calcio, nello sci, nel rugby, ecc., sono aumentate le donne “coach”, le donne “Dirigenti”, insomma è cresciuto il numero delle donne al timone del comando!
Ma non esiste ancora parità!
La storia dello sport della donna, infatti, non è stata ancora scritta in Italia in maniera compiuta.
Un po’ perché la storia dello sport, in generale, si è sempre occupata di questo fenomeno dal punto di vista maschile, ma anche perché la storia dello sport femminile è stata finora circoscritta, avendo considerato le vicende di qualche atleta illustre, o di qualche disciplina, o di qualche episodio eclatante, senza una visione d’insieme.
È anche mancato il materiale su cui indagare, perché la donna, solo di recente, ha avuto una propria storia, relegata però in quella del costume.
Infine non bisogna dimenticare il contesto in cui ha vissuto per secoli la donna nel nostro Paese, soggetta a pregiudizi di tipo culturale di difficile superamento, condizionata, come negli altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, dalle sue prerogative di madre e sposa, prerogative che la hanno relegata ad un ruolo secondario della vita civile.
Però all’estero la situazione è migliore, sia perché sono più avanzati gli studi di storia dello sport in generale, sia perché questo fenomeno è entrato nella cultura comune e nel modo di vita quotidiano.
Ora però anche in Italia qualcosa sta cambiando, la dimostrazione è che la bi-campionessa olimpica di ciclismo Antonella Bellutti si presenterà come sfidante di Giovanni Malagò alle prossime elezioni per la presidenza del CONI
Nel lavoro
Nel lavoro esiste la parità dei sessi?
Quando smetteremo di parlare di lavoro “al femminile” e inizieremo a riconoscere le donne al pari degli uomini anche nel lavoro, allora si potrà cambiare il tono della domanda.
Il lavoro è per tutti ed è di tutti: maschi e femmine, ma è solo un miraggio in Italia!
Le donne hanno il 25% in meno di diritti sul lavoro rispetto agli uomini, così afferma il nuovo rapporto “Women, business and the law 2019”, pubblicato dalla Banca Mondiale, nel quale si prendono in considerazione le decisioni economiche e legislative che i Paesi hanno intrapreso negli ultimi 10 anni per migliorare la situazione delle donne nel contesto lavorativo.
La media mondiale è intorno ai 74 punti: in pratica le donne ricevono un quarto in meno di diritti sul lavoro rispetto agli uomini.
Nel 2018 ci sono sei Paesi che hanno raggiunto il punteggio di 100 nel rapporto della Banca Mondiale:
Belgio
Danimarca
Francia
Lettonia
Lussemburgo
Svezia
Nel 2020 il numero dei Paesi che ha raggiunto il punteggio di 100 è aumentato specialmente nel nord Europa e nel nord America.
Dando uno sguardo in generale alla situazione, si può notare un progresso dal punto di vista del “gender equality” ma esistono diversi Paesi, soprattutto in Africa e Medio Oriente, che non raggiungono nemmeno la metà del punteggio massimo.
Secondo il rapporto, le donne iniziano la propria carriera lavorativa più tardi degli uomini e a 25 anni e la scelta del lavoro per loro è condizionata da tre fattori principali:
la sicurezza economica;
la possibilità di crescita;
l’equilibrio tra il lavoro e la vita privata.
Le politiche economiche di ogni Paese sono state analizzate attraverso alcuni indicatori che prendono in considerazione ogni fase della vita lavorativa della donna:
i vincoli sulla libertà di movimento (sia la possibilità di andare concretamente al lavoro, sia la capacità di viaggiare);
la valutazione delle leggi e degli strumenti che permettono alle donne di entrare nel mondo del lavoro.
il matrimonio;
la maternità;
la posizione pensionistica delle donne.
L’Italia, in questo contesto ha un punteggio mediamente alto, stabilizzatosi da 4-5 anni al 94,38.
Ma non esiste ancora parità!
L’importanza del ruolo della donna nel mondo del lavoro sembra un fatto ormai pacificamente riconosciuto.
Numerosi sono gli studi che dimostrano come il ruolo femminile, sia in ambito lavorativo, economico, finanziario, sociale e sportivo, abbia un impatto significativo sullo sviluppo e sulla crescita di un Paese.
In Italia l’impianto normativo esistente sembra garantire una sostanziale parità giuridica per quanto riguarda le regole di accesso al lavoro unitamente alle regole di svolgimento dello stesso e da tempo ci si muove in un’ottica di progressiva eliminazione delle discriminazioni fondate sul genere.
Da lungo tempo si combatte contro le disparità tuttora riscontrabili nella pratica e contro il fenomeno della scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Disparità sovente riscontrabili in quei contesti ove, a parità di tutele normative, permangono notevoli differenze tra uomini e donne a livello di prospettive di carriera, di qualificazione professionale, di formazione imprenditoriale, di parità di retribuzione.
Tali disparità consentono, purtroppo, di affermare che il cammino sinora percorso è stato contrassegnato da numerosi successi, ma che la strada da percorrere è ancora lunga.
Occorre quindi adottare ulteriori, nuovi e diversi strumenti per superare, nei fatti, effettive disuguaglianze.
E’ infatti indispensabile che nell’ambito di una collettività si lavori tutti insieme, sia sotto il profilo dei cambiamenti culturali, economici e sportivi, sia sotto il profilo dei cambiamenti materiali.
I cambiamenti di breve respiro, sovente tamponano soltanto un’emergenza, quelli più duraturi si possono realizzare solo con il contributo di tutte e di tutti.
Arriveremo in tempi brevi alla parità tra uomini e donne nello sport e nel mondo del lavoro?
“Proprio giorni fa il Ministro dello Sport Vincenzo Spadafora ha assicurato che a gennaio 2021 il professionismo dello sport femminile sarà legge. Potrebbe essere una svolta importante che rivoluzionerebbe il mondo dello sport anche se conosciamo tutti i tempi e gli imprevisti della politica.
Ad ogni modo in un momento così difficile e confuso per lo sport in generale si comincia ad intravedere una piccola speranza”.
La parità di genere è strettamente legata alla giustizia sociale e rappresenta uno degli Obietti cardine dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile.
Come lo sport, a livello agonistico, può convivere con la scuola.
L’attività motoria rappresenta un elemento fondamentale della crescita psico-fisica dei più piccoli, nonché uno strumento primario per la tutela della salute dei giovani e meno giovani.
Tra i suo tanti benefici, aiuta a dosare l’energia e liberare la fantasia, maturando l’importanza dell’osservare gli altri e ad interagire con le differenze.
Le attività motorie e sportive,…
…in tal senso, possono contribuire allo sviluppo dell’autonomia personale e, parallelamente, alla formazione di una coscienza civica, in grado di influire sugli stili di vita con interventi educativi.
Equilibrio
Durante la mia carriera sportiva ho conosciuto molti ragazzi e ragazze che spesso non riescono a calibrare la propria vita tra la sfera sportiva e quella scolastica.
Sviluppano emozioni contrastanti:
gioia
soddisfazione
entusiasmo
ma anche:
sensi di colpa
di inadeguatezza
autosvalutazione di sé.
Purtroppo, ancora oggi, l’annosa rivalità tra i risultati sportivi e quelli scolastici è all’ordine del giorno.
Non è certo un limite il conseguire risultati in campo sportivo, semmai una risorsa.
Quest’ultima incide molto negli adolescenti che con fatica riescono ad avere fiducia delle proprie potenzialità e credere in se stessi.
Lo sport e la scuola sono le due colonne portanti per la costruzione di un individuo.
Gli ottimi risultati ottenuti da entrambi non possono far altro che accrescere la sua autostima giorno per giorno ma, in egual modo, qualora dovessero presentarsi delle difficoltà, questo potrebbe scaturire una condizione di malessere e di disagio psicologico
Un esempio
Il successo e il fallimento sono i principali elementi che alimentano lo sviluppo del Sé, la formazione dell’ identità personale.
Le ricerche
Numerose ricerche evidenziano che tanti bambini/e e ragazzi/e, che a scuola riportano delle difficoltà più o meno riconosciute, come un disturbo dell’apprendimento oppure la difficoltà di concentrazione, spesso trovano nello sport un aiuto e una sana alternativa che possa agevolarli nel campo scolastico.
Una ricerca del 2014 presso l’Harvard Medical School di Boston, in collaborazione con il Dana-Farber Cancer Institute, ha rilevato che appena il 54% delle scuole prevede lo svolgimento di attività motoria extracurricolare e solo 1 scuola su 3 ha coinvolto i genitori in iniziative favorenti una corretta alimentazione e l’attività motoria.
In termini scientifici, è importante stimolare attraverso la pratica sportiva la sintesi di una molecola neuroprotettiva (irisina) che potenzia le funzioni cognitive.
È una molecola scoperta recentemente prodotta dal muscolo scheletrico durante l’esercizio fisico, spiegando gli effetti positivi dell’esercizio sul metabolismo dell’organismo in toto, che riduce la probabilità dell’insorgenza di malattie metaboliche, quali il diabete mellito, l’obesità e la sindrome metabolica.
Bisogna imparare a non mettere sempre a confronto scuola e sport, ma farle sussistere in un reciproco rapporto di compresenza.
Conclusione
I genitori, attraverso la loro educazione, devono trasmettere questo valore ai loro figli e aiutarli nell’organizzazione della loro giornata, sia scolastica che sportiva, dando un valore equiparato ad entrambe le discipline, senza mai influenzarlo o condizionarlo, bensì guidarlo nelle scelte.
In conclusione, credo che sia necessario stimolare nel ragazzo/a un’idea di “auto-esigenza”, cioè cercare di dare sempre il meglio di sé stessi, sapersi organizzare e, se necessario, fare piccoli sacrifici per raggiungere i propri obiettivi.
In questo modo accresce nel ragazzo la responsabilità delle proprie scelte e avere la maturità necessaria per affrontare le difficoltà, nel caso in cui dovessero presentarsi, senza ricorrere ad alibi morale o l’intervento di un adulto.
L’effettore finale del movimento è il sistema muscolare, che trova nelle sue unità funzionali, i sarcomeri, i protagonisti del suo accorciamento in toto, spiegabile grazie alla teoria dello scorrimento dei filamenti.
I sarcomeri in quanto singola unità, devono sommarsi tra loro per creare il substrato strutturale motorio.
Deve far riflettere come a partire da un evento “banale” quale lo scorrimento di Actina e Miosina, possa derivare una variabilità gestuale estremamente complessa. Per cui la chiave dell’allenamento o della prevenzione di un evento traumatico, deve orientarsi ad ottimizzare tutto quello che precede e consegue la formazione dei ponti trasversali a livello del muscolo e non concentrarsi sul mero rinforzo locale.
A questo possiamo poi aggiungere la maggiore complessità degli sport situazionali, grazie all’interazione del soggetto in questione con gli eventuali compagni di squadra, con l’avversario/i, con le infinite possibilità di variabili legate al gioco e di tutto ciò che ne consegue.
La sommazione dei sarcomeri, da un punto di vista teorico, si effettua in duplice modalità. La sommazione in serie e la sommazione in parallelo.
Se si considera il comportamento di due sarcomeri e si valuta il risultato complessivo di questi, le caratteristiche del movimento derivato di tale organizzazione sarà peculiare.
La sommazione in parallelo porterà ad un quadro di caratteristiche orientate ad un’espressione di forza maggiore, la sommazione in serie darà vantaggio sulla velocità di accorciamento (1).
La forza che il muscolo può esprimere non dipende esclusivamente dall’attività muscolare “pura”, ma può avere man forte dalle strutture passive perimuscolari.
La forza generata dal tessuto contrattile può esprimersi grazia a una duplice modalità di trasmissione, la quale, può essere di tipo diretto o indiretto.
Per cui possiamo avere (2):
Trasmissione Miotendinea, che si esprime agli estremi del muscolo.
Trasmissione Miofasciale, che può avere luogo lungo tutta la lunghezza del sarcomero.
Considerando il modello dello scorrimento dei filamenti e che a livello tendineo il movimento autorizzato sarà una trazione longitudinale al ventre muscolare, all’interno del ventre stesso le forze in gioco saranno di tipo tridimensionale.
I responsabili strutturali di questo sistema accessorio a quello longitudinale possono essere riconducibili all’Epimisio, Perimisio ed Endomisio. Per cui la forza, oltre che nascere dal sistema esclusivamente attivo, può nascere, grazie alle intime relazioni strutturali, anche dallo stroma connettivale (3).
La forza espressa da un singolo sarcomero dipende dal grado di sovrapposizione dei filamenti di actina e miosina. Essa è maggiore a lunghezze intermedie e tende a diminuire a mano che ci allontana da questa lunghezza ottimale.
Sulla base di questo sistema ausiliario di trasmissione di forza, un antagonista muscolare può essere fondamentale per l’ottimizzazione della produzione di forza da parte un dato muscolo, in quanto elemento di stabilizzazione.
In base a tale discorso si può capire come la forza sia angolo e gesto specifica, e di come più ci si allontani dalle caratteristiche tecniche di riferimento, più sarà difficile che la capacità allenante di un dato esercizio possa essere utile al miglioramento della performance.
Questo potrebbe indurre a far credere che esercizi aspecifici o di isolamento abbiano poco senso nell’ambito degli sport di situazione, ovviamente è un’affermazione che va contestualizzata al livello del soggetto (4).
Più un atleta è specializzato e più sarà preponderante la ricerca di una relativa specificità
Negli atleti evoluti si favorirà sempre più un approccio tendente all’ottimizzazione coordinativa gestuale, più che del miglioramento di parametri fisiologici. La stessa considerazione può essere usata per gli esercizi multiarticolari, nei quali potrebbe esservi uno stimolo eccessivo per determinati distretti ed irrisorio per altri.
Anche in tal caso la risposta va cercata nelle esigenze del singolo tramite una valutazione delle esigenze (5).
Considerare il vissuto dell’individuo, i traumi, infortuni, postura dinamica, caratteristiche trasversali, unitamente alle richieste dello sport praticato, è un primo approccio da considerare come riferimento operativo.
CONCLUSIONI
A partire da questo piccolo cappelletto introduttivo, i riferimenti da considerare per orientare il lavoro possono essere riassunti dai seguenti punti:
Colloquio conoscitivo dell’atleta. (Considerare il suo vissuto, il suo stile di vita, la storia dei traumi, le sue esigenze)
Valutazione posturale soprattutto dinamica.
Valutazione delle richieste sport-specifiche. (Soprattutto angoli di lavoro, tipologie di forza maggiormente necessari, tempi di applicazione della forza, traumatismi principali della disciplina svolta)
Sono Pasquale Iezza, cerco di svolgere al meglio il mio compito di Dirigente scolastico in una città collinare con un’aria purissima come i suoi bambini, Lettere, in provincia di Napoli.
Lavoro nella scuola da 35 anni e sono arrivato alla conclusione che è possibile creare nuovi giochisport.
Ho avuto questa intuizione sulla spiaggia di Vico Equense.
La mia schiena scottata dal sole era ormai diventata una perfetta piastra per la cucina cinese, potevo con semplicità trasformare un ghiacciolo…
in un gelato fritto. Sdraiato in quella posizione stavo osservando i nuovi esercizi di Acquagym che un bravo istruttore di educazione motoria faceva svolgere ad un gruppo di bagnanti. Ebbene sono rimasto quasi ipnotizzato dai movimenti, che avevano una cadenza fissa, divisa in otto tempi.
Alla quinta serie di esercizi stavo quasi per assopirmi e, per restare sveglio, e non farmi rosolare completamente dai raggi solari, attivai un residuo circuito cerebrale scuotendo repentinamente a destra e a sinistra la testa, come quando si oscilla velocemente il polso in modo da far ripartire gli orologi automatici.
Rimasi in uno stato di dormiveglia e fu proprio in quel momento, in uno stato di illuminazione, che pensai: “l’avventura delle idee deve partire dal movimento”.
Questo è stato il primo passo verso la creazione del nuovo giocosport: la Pallarmonica.
Il movimento è quasi sempre spezzettato in esercizi meccanici cadenzati in due, quattro, dodici e più spesso otto tempi, una successione precisa di azioni divise da seguire a ritmi regolari con un esperto di fitness da imitare a specchio.
Il frazionamento del movimento, il suo spezzettamento, e l’imitazione di un preciso modello da seguire, imbriglia l’ascolto del movimento libero, naturale, spontaneo, proprio di ogni persona.
La motricità così è paralizzata e perde la sua originalità, il suo pensiero, la sua emozione. Pensiero, emozione e movimento pagano, in parti uguali, i costi del condominio al nostro corpo, la coabitazione non è forzata, non si vive da separati in casa, ma loro stanno insieme in modo piacevole e produttivo.
Le emozioni e il movimento fanno maggiore confusione ma è proprio questa vivacità che alimenta il pensiero e facilita l’apprendimento.
Attraverso l’attività motoria una persona impara a percepirsi integralmente, ascolta le sensazioni, i pensieri, le emozioni, esplora il proprio corpo e le sue possibilità di relazionarsi al ritmo e all’armonia dell’ambiente esterno.
Il movimento permette l’unione del mondo interiore, affettivo ed emotivo, con quello esteriore, razionale e socio-ambientale. La mia visione scolastica innovativa è partita da questa giornata al mare.
La mattina dopo ho ideato un nuovo gioco sportivo, la PALLARMONICA, che facilita il superamento della divisione, tra ragazzi e ragazze, nella pratica delle attività motorie. La pallarmonica unisce creando armonia (da cui il nome del gioco).
L’armonia si realizza tra i giocatori della stessa squadra, obbligatoriamente un maschio ed una femmina (nel doppio due maschi e due femmine), che entrano in contatto, mano – mano oppure con una presa mano – avambraccio, per ricacciare la palla nel campo avversario e conquistare il punto.
Il gioco è semplice da imparare, è alla portata di tutti e favorisce l’inclusione, fondamentale è imparare a collaborare alla pari. Ho presentato la pallarmonica nelle classi quarte e quinte della scuola primaria e nelle classi prime della scuola secondaria di primo grado.
Il gioco ha suscitato da subito curiosità e tutti hanno voluto provare, attualmente è una delle pratiche sportive dell’Istituto e rientra nella programmazione degli insegnanti di educazione fisica.
L’intera comunità educante ha partecipato, nei vari anni scolastici, grazie a progetti promossi dal professore Tiziano Megaro, al primo torneo di pallarmonica cittadino.
Il nuovo giocosport è stato presentato, all’interno di una conferenza, alla tre giorni per la scuola a Città della Scienza a Napoli, per diffonderlo tra tutti i docenti della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado della Campania che avessero la voglia di esplorare e sperimentare nuove pratiche motorie.
La diffusione nelle scuole della pallarmonica, attraverso il supporto del portale “Movimento Divergente” (da configurare), sarà uno stimolo per motivare gli studenti a proporre altre idee relative a pratiche sportive originali e rispondenti ai loro bisogni motori.
Le nuove tecnologie permetteranno agli studenti, da subito curiosi, indagatori, costruttori, inventori, di avviare una ricerca sul movimento liberando la creatività e le loro intelligenze multiple.
Le proposte più votate sulla piattaforma verranno regolamentate e implementate nelle scuole del territorio nazionale.
Riprendiamo la nostra attività di divulgazione dopo la pausa esitva ricordando…
…con tutto il nostro affetto un amico prima di tutto ed un professionista di alto livello poi.
Purtroppo uno dei nostri autori non è più con noi.
Davide era molto conosciuto nel mondo sportivo per i suoi trascorsi.
Nel mondo della pallavolo aveva collaborato con diversi club.
Docente di scuola superiore, laureato in scienze motorie, preparatore atletico e prima ancora giocatore di pallavolo.
Davide Antoniella aveva talmente amato lo sport da farlo diventare il suo lavoro.
Aveva esportato le sue grandi conoscenze e capacità anche nel calcio con le sue esperienze nel Venezia di Spalletti, con il quale era ancora in contatto ed il Padova.
I requisiti necessari per giocare a basket a livello competitivo superano di gran lunga quelli necessari ad eseguire le normali attività quotidiane e anche a quelli richiesti nella maggior parte degli altri sport.
Una buona condizione di base da sola non può essere sufficiente.
Una buona elasticità, un buon allenamento del core e la forza sono elementi essenziali per la pratica della pallacanestro, si rende necessario sviluppare anche qualità associate ad una elevata prestazione atletica come:
Tutte e quattro queste qualità atletiche sono in parte determinate dal proprio bagaglio genetico e qualunque inesperto telecronista di pallacanestro definirà “atleta naturale” quei giocatori un po’ più dotati nella media.
Veramente troppi giocatori dotati geneticamente hanno permesso che quelle loro capacità si deteriorassero, mentre altri si sono spinti a limiti estremi del proprio potenziale atletico.
In altre parole se si vuole migliorare la propria velocità, potenza, agilità e coordinazione lo si può fare.
LA VELOCITA’
Velocità, rapidità e abilità nel saltare sono le qualità atletiche considerate più importanti nel basket.
I giocatori che mostrano movimenti eleganti, fluidi, agili ed esplosivi sul campo nel confronto degli avversari sono gli stessi che, generalmente, eccellono in questo sport.
Essi hanno sviluppato abilità superiori nei movimenti fondamentali che consentono loro di spostarsi dal punto A al punto B molto rapidamente.
Le componenti
La velocità ha due componenti di base:
la lunghezza del passo
(la distanza coperta da un solo passo)
la frequenza dell’andatura
(il numero di passi effettuati nell’unità di tempo)
La cadenza alla quale l’atleta muove le sue braccia e le sue gambe e la distanza che ogni andatura copre, determina la velocità di un atleta.
Idealmente un giocatore adotterà un alto livello di frequenza per accompagnare un’ampia andatura.
Questo risulta valido anche per movimenti diversi dallo sprint in linea retta, come ad esempio i movimenti laterali, gli arretramenti e i movimenti combinati della pallacanestro.
Tutti i giocatori hanno delle limitazioni personali che riguardano la velocità e il come muovono braccia e gambe.
Infatti sprinter di fama mondiale e corridori di medio livello sono sorprendentemente simili in termini di frequenza di andatura.
Dato per scontato che ogni atleta potrebbe migliorare la frequenza dell’andatura, da un punto di vista di risparmio del tempo, un maggiore progresso dello sviluppo della velocità viene ottenuto mettendo in evidenza il progredire di un’andatura “esplosiva”.
Importante assicurarsi, però, di non sacrificare la frequenza dell’andatura solo per aumentare la lunghezza del passo.
Se il più grande fattore di limitazione dello sviluppo della velocità è la lunghezza del passo, perché l’atleta allora non può correre semplicemente con un passo più lungo?
Credo che la risposta è che quello che l’atleta guadagna in lunghezza dell’andatura è controbilanciato da una perdita di efficienza nel movimento.
Chiunque può mettersi a correre con un passo più lungo, ma movimenti di scavalcamento, saltelli, oscillazioni e una frequenza ridotta di passi quasi sempre producono un’andatura a passo più lungo a scapito della velocità.
I tre punti chiave per migliorare la lunghezza dell’andatura sono:
Schemi di movimento fondamentali come il correre, il saltellare, lo schivare, il cambiare direzione, il saltare, il saltare in alto e il correre all’indietro sono comuni nel gioco del basket.
Una volta che si conosce l’importanza della specificità e si vuole sviluppare un’andatura più efficace ed ampia, c’è bisogno di includere un programma di esercitazioni ed attività tese al miglioramento della velocità e della rapidità nel piano di allenamento di un atleta, in modo da migliorare anche i movimenti specifici del basket ed incrementando l’appropriato sistema di energia nello stesso tempo.
In quest’articolo ho fatto riferimento ad appunti e concetti, in cui credo, di grandi preparatori fisici della NBA oltre che a teorie sperimentate di alcuni preparatori italiani.
Quella domenica in pole position c’era Ayrton Senna, a bordo della nuova macchina, una Williams Renault, ma alle prove di quel Gran Premio erano successi due episodi piuttosto strani.
Il venerdì
Durante le prove libere del venerdì la Jordan di Rubens Barrichello uscì di traiettoria alla Variante Bassa a causa della velocità troppo elevata.
Passò di traverso sul cordolo esterno e decollò, superando le gomme di bordopista e impattando contro le reti di protezione.
L’auto quindi rimbalzò all’indietro, si cappottò un paio di volte e infine si fermò ribaltata nella via di fuga ma il pilota si salvò.
Il sabato invece accadde di peggio.
La vettura guidata dal pilota austriaco Roland Ratzenberger, sul rettilineo all’uscita della curva Tamburello, subì la rottura dell’ala anteriore e divenne praticamente ingovernabile:
la corsa finì contro il muro esterno della successiva curva, intitolata a Gilles Villeneuve.
Nel fortissimo impatto la cella di sopravvivenza dell’abitacolo resse abbastanza bene, ma la decelerazione fu tale da far perdere immediatamente conoscenza al pilota, provocandogli una frattura della base cranica.
Secondo le leggi italiane l’autodromo sarebbe dovuto andare immediatamente sotto sequestro a causa dell’incidente mortale, per consentire al pubblico ministero competente di effettuare i rilievi.
Essendo però i medici riusciti a riattivare il cuore di Ratzenberger, il successivo decesso avvenne al di fuori del circuito e non comportò la sospensione del programma di gara.
Una serie di coincidenze non volute da nessuno che avrebbero decretato una serie di fatalità.
Senna
Così Senna aveva più di un motivo per essere preoccupato per quel gran Premio.
In quel momento aveva 34 anni ed era nel pieno della sua fulminante carriera di pilota di Formula 1.
Ed infine ecco accadere, prima della gara, il terzo episodio molto strano.
Prima di partire per la gara, Senna fece una cosa che non aveva mai fatto:
ma prima di indossare il casco, chiuse gli occhi e si immaginò qualcosa, come se avesse una specie di presentimento.
A noi piace pensare che quello che si immaginò fosse una specie di rivisitazione della sua vita, da quando era partito dal suo paese fino ad arrivare ad essere il pilota più veloce del mondo.
Spesso la coordinazione è ritenuta un equivalente dell’agilità, essa è la capacità di sincronizzare tutte le componenti e le doti atletiche dell’individuo. La coordinazione implica, così, il concetto di sinergia.
Un esempio che mi ha colpito nel mio percorso di studi ed in particolare sulla coordinazione è stato quello fatto dal quotatissimo…
Con questa metodologia quando si deve insegnare un movimento o un’azione e aderire cosi al concetto di sinergia, bisogna:
Mostrare e far capire l’intero movimento;
Scomporre il movimento nelle sue parti;
Padroneggiare ogni singola parte dell’intero movimento;
Riassemblare le parti per creare un movimento completo e migliorato.
Far allenare alla coordinazione di movimento consente l’armoniosa integrazione di tutti i movimenti in un’azione fluida, controllata ed efficace.
Praticando ogni movimento, o meglio ancora, ogni parte di ogni movimento, l’atleta intensificherà molto lo sforzo totale.
Tutto ciò serve a capire che l’agilità e la coordinazione possono essere apprese. Un atleta può migliorare efficacemente le proprie prestazioni e diminuire il rischio d’infortunio semplicemente migliorando agilità e coordinazione.
La prossima volta che guarderete una partita di pallacanestro vi invito ad osservare le schiacciate, i passaggi da dietro la schiena ed i tiri da 3 punti e fate uno sforzo per seguire le tracce dei movimenti di un giocatore, meglio ancora se si ha la possibilità di vederlo a rallentatore, prendendo nota come un giocatore si sposta da un punto A ad un punto B.
Se si osserva attentamente vedrete i fondamentali movimenti come saltare, operare i rimbalzi, correre, schivare e caracollare (volteggiare) in avanti, indietro e di lato.
Gli schemi motori fondamentali sono esercizi evolutivi che i bambini imparano da subito e che saranno utili come movimenti fondamentali per più avanzate e specifiche capacità sportive.
L’abilità a muoversi in modo efficace ed esplosivo è essenziale per una prestazione vincente nel basket.
Gli atleti naturali eseguono questi fondamentali schemi di movimento con un alto grado di profitto. Tali giocatori sono notevolmente esplosivi, ma i loro movimenti in campo sembrano fluidi e senza sforzo.
Questo perché gli allenamenti specifici sono continui e costanti.
Per la maggior parte degli esercizi in campo, come per la pallacanestro, richiedono movimenti come lo sprintare, gli spostamenti laterali di forza (scivolamenti), gli spostamenti indietro o difensivi, il correre indietreggiando, ed una gran varietà di salti.
Bisogna quindi allenare questi movimenti sostituendo quelli generali ad altri analitici, modificando continuamente la sequenza per mettere alla prova la capacità atletica di adattamento ad un costante mutevole stress fisico dell’atleta.
Secondo parte (esercizi di libera esplorazione del n. 26 al . n. 50)
Riprendendo e ripetendo il concetto della prima parte dell’articolo, gli esercizi di libera esplorazione motoria, di seguito elencati, non servono a dare delle risposte.
Ogni soluzione irrigidisce il movimento divergente, sono solo delle proposte che invitano a vedere il proprio corpo in movimento come il pennello di un artista.
Sono pensati per spingere i ragazzi ad ascoltare…
…l’energia dei propri impulsi spontanei profondi in modo da articolarli in movimenti espressivi, visibili e organizzati.
26. La rappresentazione
In circolo, si mette un oggetto al centro del cerchio ed ognuno, a turno, si relaziona con esso in movimento, ci gioca come vuole:
27. Il sogno in movimento
Ognuno, a turno, racconta con i movimenti il proprio sogno nel cassetto, cosa vorrebbe fare da grande; gli altri devono cercare di indovinarlo.
28. Il blocco motorio
Ci si divide a coppie, un ragazzo fa un movimento e poi si blocca in un posizione statica; l’altro risponde a questo movimento, quando si ferma, a sua volta, può ripartire il compagno e così via.
Il mobile e l’immobile
Ogni ragazzo, su invito dell’insegnante, deve prima rappresentare
un oggetto immobile:
tavolino
sedia
spaventapasseri
e poi un oggetto mobile:
treno
aereo
carrello della spesa
ecc…
29. I due schieramenti
Si dividono i ragazzi in due squadre che si dispongono una di fronte all’altra.
Ogni squadra ha, di volta in volta, un capitano che esegue dei movimenti.
I componenti della sua squadra avanzano verso l’altro schieramento compiendo prima tre passi in avanti e poi eseguendo il movimento proposto dal capitano.
L’altra squadra, una volta osservato il movimento, deve rispondere con un’azione motoria eseguita dopo tre passi in avanti che abbia una qualche relazione con quella dell’altro schieramento.
Tutti devono essere capitani almeno una volta.
30. Un cerchio per terra
Si dispongono a terra tanti cerchi quanti sono i ragazzi, ognuno all’interno del proprio.
Al via dell’insegnante tutti lasciano i propri cerchi e corrono esternamente ad essi, allo stop devono cercare di occupare il cerchio più vicino, nel frattempo ne è stato tolto uno.
31. Un cerchio alla testa
Ogni ragazzo ha un cerchio che fa rotolare liberamente nello spazio motorio.
Al via dell’insegnante ognuno deve lasciare il proprio cerchio e cercare di catturare quelli del compagno quando sono ancora in movimento, prima che cadano a terra, vince chi ne prende di più.
32. La sensazione in movimento
In circolo, l’insegnante dà ad ogni ragazzo un bigliettino sul quale è indicato un movimento, una sensazione da vivere, poi invita singolarmente i ragazzi a sentire quel movimento.
Le situazioni possono essere, ad esempio:
cammina come se fossi…
su un bel prato fiorito
sul ciglio di un burrone
su un campo minato
su un terreno pieno di chiodi
sulle uova
su una superficie elastica
sulle sabbie mobili
su un asse di equilibrio…
E’ importante che i ragazzi si immedesimino nella sensazione, vivano il movimento.
Ogni sensazione parte dall’interno e poi si manifesta.
E’ fondamentale imparare ad ascoltare il proprio corpo e le emozioni.
33. La scelta
L’animatore dà ad ogni ragazzo un foglietto sul quale c’è scritta una cosa da fare e tutti eseguono i movimenti suggeriti.
In una seconda fase ognuno, osservando gli altri, deve scegliere qualcuno che può avere una qualche relazione con il suo movimento.
Ad esempio, se su un foglietto c’è scritto “rospo” e su un altro “rana” si dovrebbe formare la coppia.
34. L’interessamento
Ci si divide a coppie.
Uno dei due partner delle coppie, con cinque movimenti, deve cercare di interessare l’altro che l’osserva.
Si possono utilizzare attrezzi codificati e non.
Se scatta l’interessamento i due ragazzi si relazionano con quei movimenti.
Si scambiano poi i ruoli.
Se una coppia non trova stimolante nessun movimento costruito nel suo interno può inserirsi nei movimenti di un’altra coppia e relazionarsi con essa.
35. Il marchingegno
In circolo, un ragazzo va al centro ed esegue un movimento automatico che ripete in continuazione.
Uno alla volta gli altri ragazzi possono inserirsi in questo movimento cercando di essere funzionali al marchingegno e ai suoi specifici ingranaggi.
Si può accompagnare ogni movimento con un suono o una parola.
36. L’intruso
In circolo, con gli occhi chiusi, ognuno si muove liberamente nello spazio.
L’animatore tocca sulla spalla un ragazzo che da quel momento deve compiere l’azione indicata su di un foglio.
37. Il suono del silenzio
A coppie, uno con gli occhi chiusi, l’altro che lo guida parlandogli.
Appena finisce di parlare, il compagno deve fermarsi e, per ripartire, deve sentire solo la voce della sua guida.
38. La guida
Ci si divide in coppie.
Un ragazzo ha gli occhi bendati e l’altro lo guida nello spazio scegliendo:
un suono identificativo
una parola
un verso di animale
il nome del compagno
ecc…
39. I diversi materiali
I ragazzi con gli occhi bendati devono immaginare di entrare in particolari spazi contenenti materiali diversi, ad esempio:
miele
piume
mattoni
fiori
ecc…
40. La strada da percorrere
I ragazzi bendati vengono invitati a camminare lentamente nello spazio, a trovare un punto preciso dove rivivere una loro sensazione.
Essi devono cercare di ricordarsi:
il posto
lo spazio significativo
le persone con cui stavano
il vestito che indossavano
i colori
i suoni
il profumo dell’aria
le parole dette e quelle pensate.
La creatività può percorrere anche la strada del passato.
41. Il racconto
L’animatore legge un racconto di situazioni particolari:
è una bella giornata.
C’è il sole, inizia a piovere, piove a catinelle, fa freddo.
Si forma una grande pozzanghera di acqua che si trasforma in una lastra di ghiaccio.
Scivoli su un sentiero pieno di fango, sassoso, cosparso di carboni ardenti, di lame taglienti.
Il passo diventa incerto, ecc…
Ogni ragazzo deve mimare un modo di andare avanti nel percorso immaginando di vivere le diverse sensazioni.
42. Il mestiere
I ragazzi devono far indovinare attraverso gesti mimici un tipo di lavoro ai compagni.
I vari mestieri individuati poi si mettono insieme se tra di loro si riesce a trovare un legame professionale.
43. La drammatizzazione
In circolo, un ragazzo va al centro e improvvisa una drammatizzazione.
I compagni cercano di capirne il significato, poi, nella fase di verbalizzazione fanno domande come:
Chi eri ?
Cosa stavi facendo ?
Dove ti trovavi ?
In questo modo, il ragazzo che ha eseguito l’improvvisazione prende maggiore consapevolezza di quello che ha fatto.
Quando gli viene chiesto di ripetere la drammatizzazione è in grado di stare più attento alla successione dei movimenti.
44. Il minollo
Sperimentare diversi modi di muoversi.
Ad esempio, quando si cammina provare a farlo:
sulle punte
sui talloni
sulle parti esterne dei piedi
con le anche alzate, lateralmente
all’indietro, rimbalzando
come un uomo primitivo
come un animale inventato da ciascun partecipante
tipo:
il minollo
il coccobrillo
il coccodrillo ubriaco
il canguro saltapasti
l’ornitorinco laringoiatra.
Si stimola, in questo modo, la fantasia dei ragazzi.
45. Il senso dell’umorismo
Osservare alcuni filmati dei grandi comici come Charlot e Totò e cercare di imitare i loro buffi movimenti.
Per esercitarsi all’umorismo basta entrare in una classe di bambini e fare tutto quello che ti dicono di fare.
Si entra così nel loro gioco, nel loro racconto per poi farlo evolvere inserendo le proprie conoscenze.
46. Cambiare gioco
Sentire come si trasforma un movimento passando da uno stato all’altro.
47. Abbattere i muri
I ragazzi formano un muro con i loro corpi all’impiedi tenendosi uniti molto stretti, senza lasciare spazi.
Da una parte e dall’altra del muro ci sono due ragazzi che devono tentare di comunicare tra loro.
Il muro cerca di ostacolare in tutti i modi questa comunicazione.
48. La meta
I ragazzi partono da un punto dello spazio e devono arrivare ad un altro stabilito in precedenza dall’insegnante.
Ogni ragazzo deve cercare di farlo camminando su due piedi avendo la possibilità di guardare in avanti in modo da fissare la meta.
Si invita a riflettere che la nostra attività più spontanea, il camminare guardando in avanti, in realtà, è una grande conquista evolutiva dell’umanità.
49. Collegare i movimenti
In circolo, due ragazzi vanno al centro ed eseguono due movimenti liberi.
Gli altri ragazzi, dal posto, devono cercare di legare i due movimenti.
Se qualcuno trova una valida soluzione va la centro e cerca di collegarli.
50. Il gioco di movimento
Dare ad ogni ragazzo due attrezzi diversi ed invitarli a creare con questi attrezzi un gioco di movimento.
Ed infine l’ultimo esercizio.
Il più semplice ma probabilmente anche il più efficace:
trovare durante la giornata mezz’ora per camminare all’aria aperta possibilmente in compagnia.
Per la prima parte dell’articolo (esercizi dal n. 1 al n. 25): cliccare qui
Quando la mia attività come preparatore fisico me lo permette, mi piace soffermarmi e osservare come i giovani colleghi si impegnano nel loro lavoro.
Rimango più attratto da chi lo fa in modo accurato e senza mettersi troppo in evidenza perché riesco ad immedesimarmi, andando indietro nel tempo, a quando mi accingevo a formare gli allievi che le società mi affidavano.
Le tecnologie che abbiamo a disposizione oggi sono di grande aiuto.
In passato si tentava di sbagliare il meno possibile mettendo in pratica ciò che si era studiato a volte immaginandolo (non c’erano video “da copiare”) a volte inventando nuovi esercizi da far eseguire.
Vado al dunque!
Uno strumento a cui tutti, o quasi, hanno partecipato o contribuito a realizzare negli ultimi anni, sono i cosiddetti webinar.
Purtroppo spesso l’unico obiettivo di chi li organizza è il guadagno a discapito della qualità per i fruitori finali: i ragazzi, gli allievi o gli atleti.
Poiché mi affascinava l’argomento mi sono imbattuto in un libro di Ann Handley e C.C Chapman “Content Marketing” dove si dispensano consigli e indicazioni su come utilizzare i mezzi informatici per fare business.
“I webinar sono seminari che si svolgono sul web, e possono essere visualizzati o ascoltati online.
I webinar si svolgono sulle piattaforme di conferenza online, che possono consistere in un’applicazione scaricata sul computer di ogni partecipante, oppure in una piattaforma web.
I partecipanti e le aziende amano i webinar perché possono essere: efficaci, interattivi e sociali, meno impegnativi, a buon mercato, ad ampio raggio e geograficamente neutri, utili e catalizzatori di comunicazione.”
Tutto vero o quanto meno detta così dà la voglia di partecipare o organizzarne uno subito, non credete?
Purtroppo no! Non è così!
La maggior parte dei webinar a cui ho partecipato da uditore mi hanno fatto spendere un bel po’ di soldi.
e per quelli gratuiti un bel po’ di tempo
Prendendo spunto da quanto letto nel libro e riportato alla mia esperienza, posso asserire che sia quelli gratuiti che quelli a pagamento si focalizzano più ad attirare le persone che al contenuto.
In realtà, a chi li organizza interessa più raccogliere nomi di potenziali clienti o utilizzare la piattaforma per vendere prodotti e servizi, compromettendone la credibilità.
Ciò mi ha portato ad essere scettico sul valore della gran parte dei webinar siano essi gratuiti o no.
Inoltre è necessario tenere alta la concentrazione del pubblico proponendo argomenti dai contenuti interessanti, pratici, essenziali e di facile comprensione.
“Quando si è online, bisogna tenere viva l’attenzione degli spettatori coinvolgendone solo gli occhi e le orecchie”, dice Shelley Ryan “altrimenti, si metteranno a controllare l’email e a leggere l’oroscopo”.
Come comportarsi quando si deve relazionare ad un webinar o cosa mi aspetto da un relatore?
Semplicemente:
Mostrare (evitando di raccontare) i protocolli di lavoro evidenziando come vanno eseguiti dai propri atleti.
Realizzare slide con informazioni essenziali ma con immagini in grado di stimolare sempre di più l’attenzione.
Presentare una unica idea in ogni slide per evitare di confondere, usando video e immagini autentiche magari prese dai propri lavori evitando di riciclare immagini viste e riviste.
Evitare l’autocelebrazione a favore della concretezza
Aumenta l’interesse delle donne per queste discipline
Grazie ai cambiamenti sociali degli ultimi trent’anni, l’interesse da parte delle donne nei confronti dell’esercizio fisico, amatoriale e agonistico, e in particolare per le attività di tendenza come il CROSSFIT, il POWERLIFTING, la corsa ad ostacoli (SPARTAN RACE), risulta essere più coinvolgente.
Il più delle volte, le motivazioni che portano una donna ad iscriversi in palestra sono date da un fattore…
estetico o da un fattore competitivo estremo, solo secondariamente per stare bene o per motivi di salute.
Nonostante sia ben noto il ruolo benefico dell’esercizio nella promozione della salute fisica e mentale, l’attuale tendenza generale è volta a volerne aumentare considerevolmente, durata, frequenza ed intensità.
Talvolta però l’atleta, nella convinzione di migliorare le proprie prestazioni, eccede con l’esercizio fisico e scompensa con il ridotto introito alimentare, arrivando a sbilanciare il fabbisogno energetico fino a compromettere il normale funzionamento del ciclo mestruale.
Bassa disponibilità di energia (con o senza disturbi del comportamento alimentare).
Ridotta densità minerale ossea (BMD) manifestata con osteoporosi e osteopenia.
Inibizione dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadico (HPG) e alterazione degli ormoni FSH e LH con conseguente disfunzione mestruale fino all’amenorrea vera e propria (FHA).
Viene definita “amenorrea delle atlete”, l’assenza di mestruazioni spontanee che si protrae per almeno 3 mesi.
Le amenorree delle atlete possono essere classificate in:
«Amenorree primitive», ovvero quando la donna non presenta la comparsa del menarca (prima mestruazione);
«Amenorree secondarie», nel caso in cui la mestruazione scompaia dopo un periodo più o meno lungo di flussi mestruali spontanei.
Vediamo differenze e cause delle amenorree delle atlete
L’amenorrea da esercizio fisico, assieme all’amenorrea da disturbi alimentari (come da bulimia e da anoressia nervosa), fa parte delle amenorree ipotalamiche funzionali.
Quest’ultime vanno differenziate dalle amenorree ipotalamiche da causa organica, che comprendono quelle secondarie a patologia tumorale, ischemica o flogistica.
Le cause più accreditate che possono determinare lo stato di amenorrea sono:
Inadeguata alimentazione.
Modificazioni ormonali dovute all’esercizio fisico, perché alterano la produzione di GnRH, importante “regolatore” del ciclo mestruale e di cortisolo (ormone dello stress).
La prevalenza di amenorrea tra le atlete non è ben documentata, ma è stimata tra il 5% e il 40% (2-3% della popolazione generale) a seconda del tipo di disciplina sportiva e del livello competitivo.
Gli sport più a rischio sono quelli che richiedono
Il rapporto con il cibo ritenuto troppo calorico, diventa una vera e propria ossessione fino a manifestare, in alcuni casi, sintomi anoressici.
Dal punto di vista clinico, i sintomi più significativi della scarsa disponibilità di energia legata anche a questo atteggiamento, sono i suoi effetti sul ciclo mestruale e sulla salute delle ossa.
Com’è noto, l’esercizio fisico incentiva l’attività degli osteoblasti, ovvero le cellule che producono matrice ossea, ma la carenza di estrogeni ne peggiora la struttura trabecolare.
Barrack et al. (2010) hanno dimostrato come le atlete di endurance (40%) abbiano, infatti, una densità ossea più bassa rispetto alle ballerine o alle ginnaste (10%).
Molti sono anche gli studi che hanno evidenziato quanto la quantità di massa scheletrica acquisita durante l’adolescenza, sia uno dei fattori più importanti nel determinare l’osteoporosi e il rischio di fratture nel corso della vita.
Approssimativamente il 50% della massa ossea viene acquisita proprio in questo periodo;
Il picco di massa ossea al collo del femore avviene all’età di 16 anni ma, nella colonna lombare, la massa ossea continua ad aumentare fino al terzo decennio di vita.
Durante i periodi di limitata disponibilità di combustibile, l’energia viene deviata o ripartita lontano dalla crescita e dalla riproduzione al fine di dare priorità ai compartimenti vitali per la sopravvivenza dell’individuo.
Questo dimostra l’enorme importanza di considerare l’allenamento in funzione delle fasi di crescita e di quanto sia fondamentale dosare attentamente l’attività motoria per quanto riguarda volume, intensità, tipo, recupero, progressione, frequenza e durata.
Diversi studi hanno dimostrato come ci siano numerose conseguenze se questa condizione interessa un lungo periodo
Aumentato rischio di infortuni muscolo-scheletrici
La combinazione di questi fattori influirà inevitabilmente sulle prestazioni e sulla qualità della vita aumentando il rischio di lesioni, depressione, irritabilità, diminuendo coordinazione, forza muscolare e concentrazione
In questo articolo vorrei portare in evidenza un concetto molto interessante sviluppato da alcuni autori riguardo alla specificità degli apprendimenti, ovvero quello dell’ipotesi del contesto-visivo.
Dopo una breve introduzione sul concetto di percezione visiva legata al movimento andremo ad analizzare uno studio interessante proposto dal gruppo di ricerca di A. Schmidt presso l’Università della California a Los Angeles e pubblicato sul Journal of Sport and Exercise Psychology nel 2008.…
Introduzione
Quando si parla di specificità si affronta un argomento molto complesso che richiede l’analisi di diverse componenti del movimento.
Frans Bosch definisce la specificità di un movimento (che poi si riflette nella sua trasferibilità) su cinque dimensioni, una delle quali riguarda quella percettivo-sensoriale.
All’interno di questa dimensione ritroviamo la percezione propriocettiva delle forze, delle posture, dei movimenti, e anche la percezione dell’ambiente circostante.
L’ambiente circostante è caratterizzato da due tipologie di informazioni.
Le “vuote” che devono essere processate dal cervello per far si che acquisiscano di significato.
Quelle che invece possiedono già un significato e sono percepite grazie a quella che viene definita “percezione diretta”, attraverso processi automatici ed inconsapevoli.
LA VIA DEL COSA E LA VIA DEL DOVE
Le visualizzazioni di oggetti che devono essere convertite in percezione nel cervello vengono solitamente definite “il cosa” del processo d’informazione.
Oltre al “cosa” esiste anche “il dove” dell’informazione, l’informazione del movimento, che invece è processata dal flusso dorsale della corteccia visiva.
Quello che sorprende è quanto le due vie siano effettivamente separate.
Il “cosa” dell’informazione viaggia lungo la via parvocellulare, mentre quella del “dove” lungo quella magnocellulare.
Il risultato di questa distinzione nelle vie del processo è che vi sia una significativa differenza tra i due flussi d’informazione.
Il “cosa” dell’informazione viene percepito consapevolente, mentre questo è in parte impossibile nel caso del “dove” dell’informazione, che è processato inconsapevolmente. (F.Bosch)
La via del “dove” è ultimamente conosciuta anche come la via del “come”.
Un termine che enfatizza la forte correlazione tra le informazioni visive sul movimento e la progettazione del movimento automatizzato controllato inconscio.
LE INFORMAZIONI DELL’AMBIENTE CHE GIÀ INCLUDONO LE INFORMAZIONI
Proprio come il “dove” dell’informazione, la percezione-diretta dell’informazione è principalmente processata inconsapevolmente.
LO STUDIO DI SCHMIDT
Questo articolo affronta lo spinoso e sempre molto acceso confronto tra il concetto di generalità e specificità nelle teorie dell’apprendimento e del controllo motorio.
Da sempre esiste questa dicotomia tra le teorie che sostengono l’esistenza di modelli generali di movimento.
Possibile poi attingere per lo sviluppo di abilità più specifiche, e le teorie che invece identificano nella specificità il processo migliore per l’acquisizione di abilità.
Nella parte iniziale dello studio vengono presentate due ricerche effettuate su giocatori di basket che identificano una caratteristica molto importante dell’apprendimento:
la specificità del contesto che determina i comportamenti.
Ricerca 1
La prima ricerca è stata effettuata su giocatori maschi della NCAA (Schmidt, Lee, & Young, 2005) e consisteva nel farli tirare a canestro da distanze sempre maggiori, comprese tra 9 e 21 piedi.
La tipologia di tiro che veniva richiesta era quella che prevedeva entrambi i piedi a terra, tipica del gesto del tiro libero.
L’ipotesi di partenza era che all’aumentare della distanza sarebbe aumentata la percentuale di errore, ed in effetti questo si verificò puntualmente.
L’aspetto interessante della ricerca è che alla distanza precisa di 15 piedi, quella del tiro libero (gesto tecnico molto ripetuto nel gioco del basket poiché previsto dal regolamento) il valore ottenuto si discostava da quella che era la previsione attesa.
Dimostrando un valore “anomalo” rispetto alle altre distanze che invece rispettavano la predizione (vedi figura 1).
Perché succede questo?
L’ipotesi degli autori fu quella appunto di un adattamento specifico a quel tipo di gesto, grazie alle innumerevoli ripetizioni effettuate durante la quotidiana pratica della disciplina.
Ricerca 2
La seconda ricerca presentata nella prima parte dell’articolo (Keetch et al., 2005) fu condotta invece su giocatrici femmine sempre di alto livello in cui gli autori, sulla base dei risultati del precedente studio.
Volevano verificare se al variare della tipologia di tiro, in questo caso inserendo un salto durante l’esecuzione, si verificasse la stessa cosa vista precedentemente.
Ripeterono quindi l’esperimento facendo tirare le giocatrici sia in modalità “tiro libero” che in modalità “tiro in sospensione”.
Nella figura 2 notate quello che si è verificato.
Solo nella modalità di esecuzione con i piedi a terra si verificò nuovamente questa differenza rispetto alla predizione.
Dimostrando un’altra volta la specificità di questo apprendimento che solo se eseguito in quel preciso modo manifestò un risultato maggiore grazie alle numerose volte che è stato praticato.
L’inserimento di una variazione come quella del salto impedisce alle giocatrici di attingere a quello specifico apprendimento e sfruttare l’abilità speciale del tiro dai 15 piedi.
CHE FINE HA FATTO IL MODELLO GENERALE DI MOVIMENTO?
Capite bene che questi risultati rendono difficile la vita a tutte quelle teorie che tendono a considerare l’esistenza di un modello generale di movimento dal quale poi si specializzino alcune forme di esso.
In questo caso la dimostrazione del fatto che una semplice variazione, come la presenza di un salto durante il movimento, abbia di fatto annullato “l’esperienza” di quella specifica tipologia di tiro.
Ci porta a considerare molto difficile la trasferibilità tra due gesti diversi, anche solo per qualche dettaglio, figuriamoci per quelli molto diversi tra loro.
Se esistesse uno schema di movimento generale del “tirare a canestro”, o addirittura semplicemente del “lanciare” diventerebbe difficile spiegare i risultati appena mostrati.
Questi risultati suggeriscono che anni di pratica sulla linea del tiro libero:
producono un’abilità che ha uno specifico vantaggio di controllo del movimento a quella particolare distanza
fornisce poco o nessun vantaggio rilevabile per qualsiasi altra distanza
indipendentemente dalla sua vicinanza alla linea di tiro libero.
L’IPOTESI DEL CONTESTO VISIVO
Ora le spiegazioni potrebbero essere due sul perché si sia manifestato questo specifico apprendimento.
Una che potremmo definire “ipotesi dei parametri appresi”, ovvero il fatto che gli atleti avendo ripetuto molte volte in carriera questo gesto specifico abbiano imparato esattamente la gestione dei parametri di movimento per eseguirlo al meglio:
quantità di forza,
velocità della palla,
velocità di estensione delle braccia,
grado di flessione delle ginocchia, ecc…
L’altra spiegazione invece la definiamo “ipotesi del contesto visivo”, ovvero il fatto che questo specifico apprendimento dipenda dall’aver sviluppato una comprensione del contesto estremamente precisa riguardante quindi:
la presenza del tabellone,
l’angolo di visuale rispetto al canestro,
tutto quello che riguarda la visione da quella specifica distanza in quel punto specifico del campo da basket.
Come fanno gli autori a stabilire quale delle due ipotesi sia la più probabile?
Conducono uno studio in cui a delle giocatrici di basket di alto livello viene chiesto di tirare a canestro dalla distanza di 15 piedi:
ma da diverse angolature, non solo da quella del tiro libero (90° rispetto al canestro).
Le giocatrici dovranno tirare a canestro da:
3 angolature diverse a sinistra dal canestro
(45°, 60°, e 75°)
tre angolature diverse a destra dal canestro
(105°, 120°, e 135°)
Se fosse confermata l’ipotesi dei parametri appresi non si dovrebbero registrare differenze poiché essendo la distanza la medesima, anche i parametri restano gli stessi.
Se fosse invece confermata l’ipotesi del contesto visivo dovremmo aspettarci dei risultati diversi poiché a quelle angolature cambierebbero le informazioni visive percepite dalle giocatrici durante l’esecuzione del tiro.
I risultati sono mostrati nella figura 3.
Soltanto nella posizione dei 90° rispetto al canestro, quella cioè specifica del tiro libero nel basket si registra un performance migliore di quella predetta.
Dimostrando come non sia esistente di per sé un’abilità legata ai parametri del movimento (aver appreso quanta forza, quale velocità, ecc) ma invece un’abilità estremamente legata alla posizione in campo ed alle informazioni disponibili da quella specifica posizione.
CONCLUSIONE
Questo studio ci da conferma di quanto nella matrice di specificità sia presenta una dimensione di carattere percettivo-sensoriale.
Quando vogliamo allenare qualcosa di “specifico” non possiamo non considerare il contesto nel quale stiamo riproducendo quel gesto.
Non possiamo non considerare le informazioni visive a disposizione dell’atleta come un elemento fondamentale dell’apprendimento.
Non esistono lavori specifici fatti in zone di campo diverse da quelle reali, con distanze diverse da quelle reali, in posizioni di campo diverse da quelle reali.
La dimensione di specificità ci obbliga a definire “specifico” soltanto ciò che
Dopo un anno di lezioni “in remoto”, finalmente ho parlato con…
…i miei studenti, li ho osservati, li ho guardati negli occhi, mi sono emozionato e ho trasmesso loro questo messaggio:
“Non ho la pretesa di farvi diventare dei giocatori di pallacanestro, vorrei solo che voi diventaste dei bravi Insegnanti, quindi ………. parleremo sì di basket, ma il mio obiettivo principale è quello di
Ho detto loro, volete diventare Insegnanti speciali?
Follow me…queste sono le raccomandazioni da seguire.
1) l’autorevolezza
Deve essere la vostra prima qualità.
Vi dà credibilità e vi fa diventare un punto di riferimento per i vostri allievi e ciò che dite, assume per loro un significato di “verità”.
Se ne accorgono subito e vedono in voi la serietà e vi seguono.
L’autorevolezza diventa progressivamente sicurezza e rafforza la vostra personalità che, con il passare del tempo, diventa
coerenza
convinzione
capacità
di svolgere bene il vostro ruolo all’interno del gruppo.
L’autorevolezza non è autoritarismo, non è “potere”, l’autorevolezza:
affascina, coinvolge ed emoziona.
2) la seconda qualità è la partecipazione.
La vostra deve essere una presenza attiva, animata dalla voglia di fare, di fare sempre meglio, di dare e di arricchire.
Questa voglia si misura con il desiderio di entrare in palestra, nel campo di gioco, in piscina, con entusiasmo e con la voglia di trasmettere e di coinvolgere: non deve essere una “routine”!
Guardateli negli occhi, vi diranno subito di quello che hanno bisogno.
La vostra partecipazione è condizionata dal modo di pensare, dallo sforzo di percepire o di far percepire qualsiasi esercizio o gioco in modo accattivante, interessante, curioso, in una versione sempre nuova, perché:
nulla rimane immutato e voi dovete coglierne le novità.
La vostra partecipazione deve essere anche affettiva e deve esprimere la voglia di trasmettere ciò che sapete e che avete raggiunto in anni di studi, di ricerche, di confronti, di approfondimenti e di aggiornamenti.
Il vostro deve essere un “sapere” che si coniuga con la passione e con il piacere di trasmetterlo agli altri.
Il “piacere di insegnare”, nessun lavoro, nessuna professione, senza il “gusto” di compierlo, può risultare gratificante, quindi efficace e proporzionato al gradimento dei vostri allievi, che lo dimostreranno stando attenti, coinvolti e appassionati a ciò che voi trasmettete.
3) la terza qualità è il ruolo, il vostro ruolo
Ogni ruolo ha una sua liturgia che deve essere mantenuta.
Non vi è concesso di diventare amici dei vostri allievi.
Il vostro ruolo è sacro, non è una missione e la sacralità del vostro ruolo è fondata su un sapere razionale, ha un sapore fascinoso, misterioso, perché il mistero rimane dentro il pensiero umano.
Voi non siete il padre o la madre dei vostri allievi, non siete il loro amico, non siete lo psicologo che li deve accompagnare nel cammino della fanciullezza.
Siete un uomo o una donna con l’incarico di fare il direttore d’orchestra dove ognuno degli orchestrali suona il proprio strumento (chi bene e chi male, ma tutti suonano) e voi avete il dovere di accompagnarli e di farli “crescere”.
E ricordatevi che dovete indossare un abito consono alla cerimonia, alla cerimonia dell’insegnamento e dell’apprendimento.
4) la quarta qualità è “fateli star bene”
La palestra, il campo di gioco, la piscina devono essere un’oasi di pace.
Fuori può regnare il caos, ma nella vostra palestra e nel vostro campo di gioco, i vostri allievi devono sentirsi al sicuro, deve regnare:
l’ordine
la giustizia
la stima
la collaborazione
la creatività
la voglia di sicuro,
fateli imparare.
Fateli stare bene i vostri allievi.
La palestra, il campo di gioco, la piscina sono un banco di prova per la vita futura e voi potete solo aiutarli ad essere pronti per affrontarla.
Fate capire loro che eccellere costa, imprimete nella loro mente che se vogliono veramente ottenere qualcosa di importante, devono impegnarsi e sacrificarsi.
Conclusioni
“Voi dovrete diventare degli Insegnanti, degli Istruttori, degli Allenatori, degli Educatori… “in gamba”.
Dovrete lasciare in eredità ai vostri allievi la gioia di giocare, di divertirsi e la voglia di migliorare! Dovrete saper “leggere” nei loro occhi ciò che desiderano e se sarete in grado.
Cercate di far diventare lo sport che praticano un’avventura e non una marcia forzata per eccellere.
Dovrete essere una guida preziosa:
camminate accanto a loro
lasciateli esplorare
inventare
creare
indagare
e, se sarete stati per loro degli Insegnanti “speciali”, non vi dimenticheranno mai e sarete ricordati
Non si è bravi Insegnanti se si conoscono 100 esercizi, si è bravi Insegnanti se si conosce a che cosa serve un esercizio, perché lo si propone e soprattutto che effetti produce.
Martedì e mercoledì: era come se fosse stata la mia prima volta da Insegnante!
Ciò che questa formula significa in termini semplici è che
Bisogna ricordare che potenza è definita come la massima quantità di forza che un muscolo può generare nel tempo.
Se la forza ha un ruolo vitale nell’equazione di potenza, ancora, alcuni allenatori e giocatori, commettono l’errore di confondere la forza con la potenza ed erroneamente giudicano la potenza in base alla quantità di peso che un giocatore può sollevare in palestra.
Questo non è un’unità di misura della potenza, ma piuttosto un indicatore della forza assoluta ed è di poco valore se non è subito trasferibile al campo di basket.
Per contro un atleta potente è in grado di unire la forza massimale con la velocità di movimento.
La forza esplosiva è anche chiamata dinamica o forza funzionale e dovrebbe essere lo scopo di ogni programma di allenamento di resistenza.
La pliometria
L’allenamento pliometrico è un modo estremamente efficace per unire la velocità alla forza ed ha come risultato la forza dinamica (energia).
saltare in alto
saltellare
passare la palla medica
fare torsioni e piegamenti addominali
sono solo alcuni delle centinaia di esercizi pliometrici che aumentano la componente rapida dell’energia.
Gli adattamenti fisiologici associati all’allenamento pliometrico sono di natura neuromuscolare.
La pliometria utilizza la naturale tendenza elastica del muscolo ed il potenziamento riflesso per produrre una forza più grande.
Si potrebbe pensare ai principi della pliometria come a quelli di un elastico che viene tirato e poi rilasciato.
Mentre l’elastico è tirato l’energia è immagazzinata nelle proprietà elastiche della gomma. Quando la tensione viene allentata, l’energia è trasferita in una uguale e opposta reazione.
La pliometria facilita il caricamento di un muscolo, o di un gruppo di muscoli, inducendo una rapida estensione che provoca una risposta neurologica che produce una più vigorosa contrazione reattiva.
Il processo di sviluppo della potenza nel basket deve essere rivolto al miglioramento della velocità, della forza e della meccanica del movimento.
Miglioramento della velocità
Per incrementare tutte le capacità motorie (ad esempio tutti i movimenti in avanti, indietro, laterale e quello combinato) bisogna indirizzare gli sforzi verso lo sviluppo di una notevole lunghezza del passo pur mantenendo una rapida frequenza dello stesso.
Questo permetterà di coprire più terreno e di mantenere nello stesso tempo il proverbiale “passo rapido” che gli allenatori considerano una caratteristica importante dei grandi giocatori di basket.
La potenza è la capacità di esercitare una forza esplosiva che può essere esercitata:
dal petto
dalle spalle
dai tricipiti
quando si esegue un passaggio all’altezza del petto
oppure la temporanea contrazione dei muscoli, che permettono le articolazioni delle anche, delle ginocchia e delle spalle appena prima di un salto verticale.
La velocità con la quale i muscoli coinvolti sono in grado di contrarsi e di esercitare forza è direttamente proporzionale all’energia prodotta.
In altre parole, più veloce è l’applicazione della forza, più grande è il potenziale per un aumento della potenza.
Un altro fattore è la quantità assoluta di massa o di peso che deve essere spostato.
Se si trasporta un peso eccessivo in forma di grasso extra, sarebbe molto conveniente elaborare un programma per la perdita del peso insieme ad uno specifico allenamento di potenza per aumentare la forza ed anche i tessuti muscolari dell’atleta in questione.
Con meno grassi e più muscoli si avrà il potenziale per effettuare movimenti in maniera più esplosiva.
Miglioramento della forza
La capacità di esercitare una forza in modo esplosivo – di muoversi con più potenza – richiede un’adeguate quantità di forza muscolare.
Di conseguenza, più grande è la forza dell’atleta, più grande è il potenziale per una aumento della produzione di forza.
La forza è importante per un giocatore di basket solo se si trasferisce subito sul campo da gioco.
E’ difficile ripetere in palestra i molti schemi di movimento che si eseguiranno durante una situazione di gioco o un allenamento.
L’allenamento di forza funzionale cerca di mettere in connessione il lavoro in palestra al campo di gioco.
I palloni medicinali, le piste ruotanti, i giubbotti zavorrati, lo step sono soltanto alcuni dei metodi alternativi di sovraccaricare il sistema nel tentativo di costruire la forza e la potenza in modo specifico per l’azione di basket.
Schemi di movimenti usati sul parquet come il correre all’indietro, lo sprintare, lo schivare lateralmente possono essere tutti migliorati sovraccaricando questi movimenti attraverso la pratica dei principi di allenamento della forza funzionale, inseriti nel programma di allenamento.
Conclusione
Usare i movimenti più efficaci per eseguire con successo una particolare abilità è essenziale per la realizzazione di una maggiore potenza.
Russell Ackoff, massimo studioso e pioniere nel campo delle scienze della complessità e del pensiero sistemico, esprime in questo video (estrapolato da un discorso molto più ampio) alcuni dei concetti fondamentali del pensiero sistemico. Pensiero che si oppone all’approccio riduzionista, al processo di semplificazione dei fenomeni, attraverso il quale spesso ci illudiamo di comprendere la realtà che ci circonda ma in realtà non facciamo altro che crearne un surrogato adatto alle nostre esigenze, al nostro modo di intendere le cose, che spesso, o quasi mai, corrisponde a quanto realmente avviene intorno a noi.
Ritengo che il pensiero sistemico debba essere il presupposto da cui partire, le fondamenta sulle quali costruire il proprio percorso da allenatore. Un percorso tortuoso, tutt’altro che lineare, pieno di imprevisti che vanno accettati perché parte integrante della realtà in cui viviamo.
Allenare significa accettare la complessità dei fenomeni e conviverci, tracciando un percorso a matita, pronti al continuo ri-modellamento sulla base di quella che sarà la nostra continua crescita nella comprensione di ciò che avviene intorno a noi.
Nella parte finale del suo discorso, il professor R. Ackoff dal concetto di complessità si sposta a quello di qualità. Un concetto spesso bistrattato e poco compreso.
La qualità, ci dice Ackoff non può prescindere dal valore. E questo a mio avviso, da allenatori che hanno a che fare spesso con ragazzi giovani e anche molto giovani, dobbiamo sempre tenerlo a mente.
La qualità del nostro percorso da allenatori non può e non deve essere misurata solo sulla base dell’efficienza (risultati) ma anche e soprattutto dai valori che promuove, nell’ottica del raggiungimento di obiettivi molto più grandi e importanti di quelli della semplice vittoria di un campionato.
Ho diviso in alcune parti il discorso di R.Ackoff e di seguito riporterò quanto espresso dal professore durante il suo convegno.
COS’È UN SISTEMA?
“La ragione del fallimento (il professore si riferisce ai processi di miglioramento della qualità dei servizi all’interno delle organizzazioni) è principalmente il fatto che non sono stati inglobati nel pensiero sistemico. Sono stati un’applicazione anti-sistemica. Ora lasciatemi spiegare cosa questo significhi.
Il sistema è un “tutto” che consiste in diverse parti ognuna delle quali può influenzare il suo comportamento o le sue proprietà. Voi per esempio siete un sistema biologico chiamato “organismo”, e voi siete costituti da parti, il cuore, i polmoni, lo stomaco, il pancreas, ecc e ognuna di queste può influenzare il vostro comportamento o le vostre proprietà.”
PARTI INTERDIPENDENTI
“Il secondo requisito è che ogni parte quando influenza il sistema dipende, per il suo effetto, da alcune altre parti del sistema, in altre parole, le parti sono inter-dipendenti. Nessuna parte del sistema, o nessun insieme di parti, hanno un effetto indipendente su di esso. Quindi il modo in cui il cuore ti influenza dipende da cosa stanno facendo i polmoni, da cosa sta facendo il cervello. Le parti sono tutte interconnesse; quindi un sistema è un “tutto” che non può essere diviso in parti indipendenti.”
LA PROPRIETÀ DEL “TUTTO”
“Le proprietà essenziali di tutti i sistemi sono proprietà che ha il “tutto” ma che nessuna della singole parti che lo compongono ha. Per esempio, un classico esempio di sistema elementare con il quale siete abituati ad avere a che fare è l’automobile: la proprietà principale di un’automobile è quella di saperti trasportare da un posto all’altro.
Nessuna parte dell’automobile può fare questo.
Le ruote non possono, l’asse non può, i sedili non possono, il motore non può! Il motore non può trasportarsi da solo da un posto all’altro! Ma l’automobile può.
Voi avete alcune caratteristiche tra le quali la più importante è la vita. Nessuna delle vostre parti vive, voi possedete la vita. Voi potete scrivere, la vostra mano non può scrivere; è facile da dimostrare, tagliatevi la mano, mettetela sul tavolo e guardate cosa riesce a fare! Niente! Voi potete vedere, i vostri occhi no, voi potete pensare, il vostro cervello no.”
IL TUTTO È MAGGIORE DELLA SOMMA DELLE SINGOLE PARTI
E quindi, quando un sistema viene diviso in parti perde le sue proprietà essenziali”
Se dovessi portare un’automobile in questa stanza e smontarla, anche se avessi tutte le singole parti non avrei comunque un’automobile!
Perché il sistema non è la somma dei comportamenti delle sue singole parti, ma il prodotto delle sue interazioni.
MIGLIORARE LE PRESTAZIONI DEL SISTEMA
Se avete un sistema di miglioramento che è diretto a migliorare le singole parti separatamente, potete essere assolutamente certi che la performance del “tutto” NON migliorerà.
La performance del sistema dipende da come le sue parti interagiscono, e non da come agiscono separatamente.
CREATIVITÀ È DISCONTINUITÀ
“La creatività è discontinuità! Un atto creativo rompe con la catena che l’ha preceduto. Non è continuo.”
Su questo concetto vorrei esprimere una mia personale considerazione sperando di stimolare qualche riflessione in merito.
Creativo è il giocatore che “rompe gli schemi”.
La creatività non è solo fantasia, non è una dote esclusivamente innata, ma è anche e sopratutto efficacia.
Risolvere problemi attraverso diverse strategie, anche le più stravaganti, questa è la creatività. E va allenata. E il modo migliore per farlo è consentire agli atleti d’interpretare le situazioni, di scegliere, di assumersi responsabilità, di sbagliare.
Creare è rompere con la routine, è “fare diversamente”. Da allenatori riserviamo degli spazi di allenamento per allenare questa caratteristica?
Se creare è rompere con la continuità, credo che una volte per tutte dovremmo smettere di pronunciare la frase “si è sempre fatto così”.
La frase peggiore, la più stupida, l’espressione più riduttiva e limitata di chi non vuole progredire. Creativo è colui che rompe con la continuità ci dice Ackoff, altro che continuare a fare quello che è sempre stato fatto.
FARE LE COSE BENE NON EQUIVALE A FARE LA COSA GIUSTA
“Quando noi guardiamo ai modelli di qualità e frequentemente lo facciamo guardando i Giapponesi e cosa hanno fatto con le automobili, non ci sono dubbi che loro abbiano migliorato la qualità dell’automobile. Ma è una tipologia sbagliata di qualità.
Peter Drucker ha fatto una distinzione fondamentale tra “fare le cose bene” e “fare la cosa giusta”. I giapponesi stanno facendo le cose bene, ma stanno facendo la cosa sbagliata. Fare bene la cosa sbagliata non è altrettanto positivo come fare male la cosa giusta.
Voi vedete come le automobili stanno distruggendo la vita urbana intorno a noi. Visitate solo Mexico City o qualsiasi altra delle più grandi città dove trovate grande traffico e il livello di inquinamento è cosi alto che i ragazzi devono essere tenuti a casa da scuola poiché non gli è consentito di uscire fuori di casa a causa dell’intensità dell’inquinamento. E poi noi parliamo della qualità delle automobili che guidiamo.