Tipi di mobilità articolare

Tengo a sottolineare che i miei articoli si basano sia su un’ampia bibliografia, sia sul lavoro che ininterrottamente da trent’anni continuo a svolgere in palestra.

Il primo input che mi viene di lanciare, per poter poi approfondire grazie ai vostri interventi, è quello di evidenziare i vari tipi di mobilità articolare…

che viene suddivisa in:

  • Generale
  • Speciale
  • Attiva
  • Passiva
  • Statica
Mobilizzazione articolare

Si parla di mobilità articolare generale quando esiste un livello sufficientemente sviluppato di mobilità nei principali sistemi articolari (articolazioni delle spalle e dell’anca, colonna vertebrale). Si tratta comunque di un criterio relativo, perché il grado di sviluppo della mobilità generale può essere più o meno elevato a seconda del livello delle esigenze (atleta di alto livello o dilettante).

Invece si parla di mobilità articolare speciale quando viene riferita ad una determinata articolazione. Ad esempio, il giocatore di pallacanestro ha bisogno di una mobilità accentuata nelle articolazioni della spalla e dell’anca.

La mobilità articolare attiva è la massima escursione di movimento in una articolazione che il giocatore può raggiungere contraendo i muscoli agonisti (Gli agonisti sono i muscoli responsabili per primi della generazione del movimento) – e parallelamente estendendo gli antagonisti. (Gli antagonisti agiscono in opposizione al movimento generato dagli agonisti e sono responsabili del ritorno dell’arto alla posizione iniziale).

Invece la mobilità articolare passiva è la massima escursione del movimento in una articolazione che il giocatore può raggiungere per l’azione di forze esterne (forza di gravità, attrezzi, azione di un compagno) solo attraverso la capacità di allungamento o di rilassamento dei muscoli antagonisti. (La mobilità articolare passiva è sempre maggiore di quella attiva).
La differenza, sostanziale, tra mobilità articolare passiva e attiva viene definita riserva di movimento ed indica fino a che punto la mobilità articolare attiva può essere migliorata potenziando gli agonisti od aumentando la capacità di allungamento degli antagonisti.

Con mobilità articolare statica s’intende la capacità di mantenere una posizione di allungamento per un determinato periodo di tempo.
Esso svolge un ruolo determinante nello stretching.

tipi di mobilità articolare

La mobilità nei giocatori

Prevenzione dei traumi e delle lesioni da sport

“La mobilità articolare è la capacità e la qualità dell’atleta che gli permette di eseguire movimenti con grande ampiezza di oscillazione in una o più articolazioni con le proprie forze o grazie all’intervento di forze esterne”

Un concetto con lo stesso significato di mobilità articolare è quello di flessibilità.

L’articolarità e la capacità di allungamento vanno considerati invece componenti della mobilità articolare e quindi due concetti subordinati ad essa.

La mobilità articolare è un presupposto elementare per un’esecuzione qualitativamente e quantitativamente migliore di un movimento. La sua formazione ottimale, rispetto alle esigenze…

della pallacanestro, svolge un’azione positiva complessa sullo sviluppo dei fattori fisici della prestazione (forza, rapidità, ecc.) o delle abilità motorie di tipo sportivo (ad esempio i vari fondamentali tecnici). Inoltre influisce sullo sfruttamento completo del potenziale di prestazione esistente, sulla preparazione di allenamento e, in misura notevole, sulla prevenzione degli infortuni strettamente correlata con essa. Si tratta di funzioni molto importanti per il gioco della pallacanestro.

Se viene migliorata la mobilità articolare i movimenti possono essere eseguiti con maggiore forza e rapidità, perché viene opposta una minore resistenza da parte dei muscoli antagonisti.

Nella pallacanestro troviamo un tipo di sollecitazione che è caratterizzato, per la maggior parte, da brevi scatti, improvvisi cambi di direzione, arresti, salti, passaggi e tiri. Si tratta di movimenti molto dinamici, spesso aciclici, che esigono non soltanto una muscolatura molto potente, ma anche un’elevata elasticità e capacità di allungamento e rilassamento dei muscoli interessati, qualità che garantiscono una buona tollerabilità del carico e sono un elemento di prevenzione degli infortuni.

L’efficacia dell’allenamento della mobilità articolare per la prevenzione degli infortuni si può ricavare da tutta una serie di studi (cfr. Moller – Schober).

Secondo i su citati studiosi una buona rielaborazione del carico, tra gli altri fattori, è caratterizzata da una capacità individuale ottimale di rilassamento muscolare, che ad esempio viene influenzata positivamente dallo stretching.

Perciò una misura importante, ed indispensabile, di ogni preparazione immediata all’allenamento o alla gara, è rappresentata da un addestramento della mobilità articolare diretto a migliorare l’elasticità e la capacità di allungamento e di rilassamento.

Se si considera che il giocatore di pallacanestro mostra una tendenza alla formazione di squilibri muscolari il lavoro sulla mobilità articolare, integrato nell’allenamento indirizzato ad allungare i muscoli accorciati, rappresenta un’importante misura di prevenzione che impedisce l’insorgere di processi degenerativi a livello articolare e che si formano stereotipi motori sbagliati od alterati.

Un’efficace prevenzione degli infortuni, con azione sia a breve che a lungo termine, offre la possibilità di sfruttare completamente il potenziale individuale di prestazione e favorisce un migliore atteggiamento verso l’allenamento: se gli atleti non incorrono in infortuni per lunghi periodi di tempo possono sfruttare il loro potenziale in quanto si allenano regolarmente, senza interruzioni, e possono così sviluppare senza condizionamenti negativi la loro capacità di prestazione.

Gli atleti che non hanno problemi muscolari, di legamenti e di tendini, mostrano un atteggiamento mentale positivo verso un allenamento duro ed a lungo termine.

L’atleta eternamente infortunato, alla fine, comincia a dubitare che il suo duro lavoro d’allenamento paghi, visto che ogni volta deve ricominciare da capo, e diventa sempre più incline alla rassegnazione, a tutto discapito della sua motivazione verso l’allenamento.

Allenare in modo ottimale la mobilità articolare è possibile solo se si conoscono sufficientemente le sue basi anatomiche e fisiologiche.

Il core training

Core training

Da alcuni anni il termine core training è entrato a far parte del lessico di molti allenatori e terapisti. E’ credenza diffusa che questa metodologia di allenamento possa contribuire a migliorare le prestazioni in molti sport e ridurre l’incidenza d’infortuni.

Nonostante la sua popolarità, però, la letteratura scientifica non è in grado di offrire conclusioni definitive circa la reale efficacia di tale mezzo di allenamento che, sicuramente dannoso non è, se inserito in una programmazione adeguata agli obiettivi dell’allenamento.

Letteralmente nella lingua inglese CORE ha il significato di…

NUCLEO. Per muscolatura del nucleo (core muscles) si intende l’insieme dei muscoli, superficiali e profondi, che stabilizzano, allineano e muovono il tronco, in special modo gli addominali e i muscoli della schiena.

I muscoli maggiori sono i muscoli del pavimento pelvico, gli addominali laterali, il muscolo multifido, muscoli obliqui interni ed esterni dell’addome, muscolo retto dell’addome, sacrospinale (sacrospinalis), diaframma e muscolo lunghissimo. I muscoli minori sono: il grande dorsale, i glutei e il trapezio.

Push - up

L’argomento sarebbe davvero esteso se volessimo trattarlo nello specifico e ad ampio raggio (cosa che faremo successivamente) ma mi soffermo per sommi capi al “core training in pratica”.

I mezzi e gli strumenti oggi a disposizione per il core training sono molti e i professionisti dell’allenamento si trovano spesso a dover scegliere tra un gran numero di proposte operative.

Innanzitutto è possibile classificare gli esercizi in ampie categorie a seconda dei movimenti coinvolti:

  • Stabilizzazione: esercizi statici con elementi di stabilizzazione
  • Flesssione ed estensione: esercizi sul piano sagittale che enfatizzano i movimenti di flessione ed estensione
  • Rotazione: esercizi sul piano trasversale che enfatizzano i movimenti di torsione
  • Lanci e prese: esercizi dinamici che fanno lavorare il core su tutti e tre i piani dello spazio

Bisogna ricordare che non esiste un singolo esercizio in grado di attivare e allenare tutti i muscoli del core, ma solo una loro combinazione è realmente efficace per determinare degli adattamenti.
Gli strumenti a disposizione per l’allenamento sono numerosi e quasi tutti utili se usati correttamente. Quelli più, comunemente, usati sono:

  • Carico naturale
  • Palle mediche
  • Superfici instabili
  • Palle zavorrate (es. kettlebell) o pesi liberi
  • Elastici

E’ opportuno conoscere bene i vantaggi e gli svantaggi di ogni strumento applicandoli in modo adeguato e quando possibile combinandoli per raggiungere gli obiettivi dell’allenamento.

Per quanto riguarda la metodologia ci sono alcuni principi da seguire che potrebbero aiutare a pianificare correttamente l’allenamento.

Innanzitutto la scelta degli esercizi dipende, come detto in precedenza, dalla disciplina sportiva.

E’ fondamentale variare lo stimolo e creare un’opportuna progressione dei carichi di lavoro. In generale è opportuno cambiare una variabile per volta, modificando con gradualità i seguenti parametri:

  • Piani di movimento: una giusta progressione deve portare a eseguire esercizi sui tre piani dello spazio;
  • Ampiezza: negli esercizi dinamici l’escursione di movimento deve essere la più ampia controllabile;
  • Carico: aumentare in modo progressivo il carico aggiungendo e combinando i mezzi di allenamento mantenendo comunque il controllo del movimento;
  • Velocità di esecuzione: la velocità di movimento deve essere la massima controllabile dal soggetto;
  • Durata, frequenza e densità: numero di serie e ripetizioni, frequenza dell’allenamento e tempi di recupero.

In conclusione, nonostante la mancanza di solidi riscontri scientifici, il core training continua ad essere ampiamente utilizzato nella pratica sportiva e riabilitativa, lasciando aperto il dibattito sull’utilità di questo tipo di metodica.

E’ stato fatto riferimento a citazioni dei seguenti professori: Lorenzo Pugliese, Giuseppe Bellistri, Antonio La Torre ed il prof. Gambetta