La ricerca azione motoria

La ricerca – azione motoria

Non la verità di cui ci si crede in possesso, ma il sincero sforzo per giungervi determina il valore dell’individuo…L’illusione del possesso rende pigri e presuntuosi; solo la ricerca tiene desti e insonni”.

Gotthold Ephraim Lessing

La ricerca scientifica attribuisce una stretta relazione tra il corpo e la psiche, l’uno non esiste senza l’altra.

E’ una crudeltà separare ciò che è unito per natura ma, nonostante questo, i bambini, i ragazzi, gli adolescenti nella scuola italiana si muovono pochissimo. Ed è così che…

…si creano dei corti circuiti nell’apprendimento, a volte irreparabili.

L’animazione alla divergenza restituisce il corpo al movimento e il movimento alla psiche.

Il sistema scolastico, se vuole veramente formare la persona nella sua interezza, non può più rinunciare all’educazione motoria delegandola alle società sportive.

La socializzazione dei bambini nella scuola dell’infanzia si facilita con la corretta comunicazione non verbale dell’insegnante fatta di sorrisi e gesti accoglienti e si misura dall’ampiezza dell’apertura delle braccia che vogliono dire con chiarezza:

sei il benvenuto in questa scuola!

socializzazione
da informa giovani Ancona
Tutto parte da un dialogo centrato sul movimento.

L’insegnante è il digitus pueri, indica ai bambini la strada giusta da seguire cercando di fargli evitare buche, scivoloni e sbandamenti.

Nella scuola primaria, allo stesso modo, l’educazione motoria deve essere promossa per insegnare comportamenti organizzati, finalizzati e regolati, capaci di indirizzare l’istintiva esuberanza dei bambini.

Gli studenti imparano a stare meglio insieme vivendo negli spazi laboratoriali, allontanandosi ogni tanto dalla staticità dei banchi.

Le stesse attività considerate “di testa” come la lettura e la scrittura sono apprendimenti complessi che necessitano “del corpo”, dell’integrità delle aree motorie.

Per saper leggere è necessaria una buona organizzazione spazio-temporale e per saper scrivere una corretta postura e una coordinazione oculo-manuale, sono poi indispensabili una equilibrata lateralizzazione, un controllo neuromuscolare, un senso del ritmo, in sintesi:

una completa consapevolezza dei propri movimenti.

Il giusto incontro

Quando il laboratorio linguistico si incontra con quello motorio i risultati sono straordinari:

  • una corretta educazione motoria di base,
  • una buona percezione del proprio corpo
    • permettono al bambino di controllare, coordinare ed equilibrare i gesti motori per avviarsi ad un sereno apprendimento della lettura e della scrittura.

Legge e poi scrive, prima e meglio, il bambino che pratica un’attività motoria.

Le fasi del progetto di ricerca-azione prevedono:
  1. un’analisi dei bisogni e delle esigenze di formazione in relazione al contesto scolastico;
  2. l’individuazione dei traguardi, degli obiettivi e dei risultati di apprendimento;
  3. la pianificazione delle attività, dell’ambiente di apprendimento, della gestione del gruppo, delle scelte didattiche;
  4. la realizzazione dell’attività progettata e suddivisa in fasi di sviluppo;
  5. il monitoraggio e la verifica del processo di apprendimento;
  6. la documentazione e la valutazione dei risultati.

Il processo di insegnamento-apprendimento sarà basato su un approccio ludico che dia voce all’energia vitale positiva degli allievi capace di attivare e sostenere la loro maturazione e la loro socializzazione.

I docenti devono costantemente vivificare questa energia con la proposta di attività piacevoli, divertenti e, nello stesso tempo, formative.

Imparare giocando

Diventa sempre più necessario realizzare una “scuola ludica” nella quale il tradizionale schema di “imparare con fatica” si trasformi in “fare con piacere” e “apprendere con gioia”.

In tal modo la scuola può porre davvero l’alunno al centro del suo processo di formazione perché crea le condizioni ideali affinché ciascuno diventi attore della propria crescita, evidenziando le sue caratteristiche, le sue preferenze o, per dirla con Gardner, le sue intelligenze dominanti.

Una scuola così intesa apre percorsi educativi di grande interesse perché gli strumenti:

  • della conoscenza,
  • le abilità tecniche,
  • le competenze

vengono conquistate attraverso azioni di ricerca, di libera espressione creativa, di personale valutazione critica e non mediante l’azione ripetitiva e l’atteggiamento passivo di chi deve solo ascoltare per ripetere ciò che ha appreso.

La stessa dinamica educativa che, da sempre, ha caratterizzato un particolare modello di scuola caratterizzato da:

  • spiegazione,
  • approfondimento,
  • interrogazione,
  • valutazione

trova, così, le sue spinte di azione in:

  • identificazione di un problema,
  • ricerca degli elementi necessari per risolverlo,
  • valutazione dei risultati raggiunti
    • per l’assunzione concorde di un nuovo problema da affrontare.
Conclusioni

La società a tecnologia avanzata e a rapido sviluppo delle conoscenze nella quale viviamo pone alla scuola sfide continue che non possono essere ignorate trincerandosi nel valore della tradizione e nella visione quasi mistica dell’educazione.

La scuola dove configurarsi sempre più come un laboratorio ludico, dove ogni alunno possa fare le proprie esperienze nel confronto e, perché no, anche nello scontro con i compagni, ma sempre

in un clima di rispetto reciproco e di collaborazione.

di Pasquale Iezza

Staff tecnico

Lo staff tecnico

NELLA PALLACANESTRO

Lo staff tecnico di una squadra di pallacanestro è esso stesso un team.

Un team di persone o, se vogliamo essere più precisi, di allenatori con dei ruoli stabiliti, che seguono delle regole, che hanno lo stesso obiettivo ultimo ma con competenze e conoscenze diverse.

Devono saper lavorare insieme, condividere e, come del resto i giocatori della propria squadra, anteporre le esigenze del gruppo a quelle personali.

Non è solo composto da allenatori di basket.

Organizzazione tipo di uno staff tecnico

Al suo interno troviamo:

Possono crearsi dei piccoli sottogruppi con i propri coordinatori.

Se pensiamo alle organizzazioni più complesse, quelle delle NBA, lo staff tecnico è composto da decine di persone, ma in cima alla piramide c’è un solo capo ben definito: L’HEAD COACH, il capo allenatore.

Prima di quest’ultimo, che per me è un leader oltre che il capo di uno staff, partirei dagli altri componenti per condividervi le mie personali idee riguardo i ruoli e le competenze.

Il preparatore fisico

Ha la responsabilità, in pre-season, di far raggiungere la condizione fisica necessaria ad affrontare l’inizio del campionato, durante la stagione di conservarla per poi arrivare nella migliore situazione possibile alla fine del campionato.

É un lavoro complesso, che vive di diversi momenti lungo la stagione, alcuni richiederanno specifici lavori con carichi ed obiettivi mirati, altri saranno dedicati al recupero di eventuali infortunati e a ltri, ancora, saranno momenti di supporto e di sostegno emotivo.

Non è raro, infatti, che il preparatore sia colui al quale vengono richiesti consigli anche al di fuori del basket giocato, pensando anche che il corpo, il target del proprio lavoro, è una componente che va sempre allenata, anche lontano dal campo.

Nel basket attuale il preparatore lavora sempre più in sinergia ed in simbiosi con la parte tecnica.

Ogni programmazione, sia essa stagionale, mensile, settimanale o quotidiana, deve essere il risultato dell’interazione tra le due parti.

L’assistente allenatore

E’ una figura che, anche se alcune volte lavora lontano dai riflettori, nel basket moderno ha visto ampliare sempre di più le proprie mansioni, non soltanto sul campo di basket, ma anche dietro la scrivania.

In uno staff ve ne sono diversi, e spesso con ruoli specifici.

Infatti ci sono quelli con capacità di analizzare e produrre stats e video certificando così l’importanza delle voci statistiche.

In pratica:

peso ai numeri, non solo nella lettura delle partite e dei risultati, ma anche nella costruzione delle squadre e nella preparazione delle partite da affrontare.

Il basket è uno sport aperto alle contaminazioni e alle evoluzioni:

  • ha assimilato dal baseball l’importanza dei numeri
  • dal football, sport estremamente tattico e con alcuni aspetti tecnici in comune con la pallacanestro, si è adottata, invece, la specializzazione tra gli assistenti allenatori all’interno dello staff.

E’ sempre più comune, anche in società meno strutturate di quelle della NBA, trovare allenatori responsabili delle scelte difensive o di quelle offensive, nonché coordinatori del lavoro individuale (player development coach).

Questi assistenti hanno un contatto molto diretto con i giocatori, è necessario che si manifestino nei confronti di essi come dei capo allenatori a tutti gli effetti e devono essere riconosciuti dai giocatori come tali.

Obiettivi comuni

In soldoni non deve mai instaurarsi nella mente degli atleti la convinzione di avere di fronte un allenatore meno “valido” o meno importante del head coach.

Senza invadere le competenze né prevaricare i ruoli, ritengo che uno staff tecnico sia molto più forte e credibile quando si mostra alla squadra senza differenze di valori, quando parla un assistente è come se parlasse il capo allenatore!

L’assistente non deve, però, “solo” proporre soluzioni tecnico-tattiche ai problemi che si manifestano, ma, a mio parere, in alcuni determinati momenti,

deve anche favorire delle riflessioni, provocare cioè dei dubbi al capo allenatore.

Deve, quindi, alimentare e stimolare un confronto sulle idee dal quale deve uscire una sintesi che poi renda più forte le convinzioni e le scelte adottate.

È fondamentale non sbagliare i momenti.

Il capo allenatore è colui che decide, che si assume le responsabilità e le proposte o le considerazioni devono essere fatte prima della sua scelta, dopo di essa tutti devono lavorare nella stessa direzione affinché la resa sia la massima possibile.

Alla squadra va trasferita un’idea unica, consolidata e motivata!

Un aspetto del lavoro degli assistenti, in particolare di quelli più vicini al capo allenatore, che è meno tangibile e a volte sottovalutato, è il saper fare da connettori tra la squadra e il coach.

É un compito molto delicato, invece, che in alcune circostanze si manifesta attraverso il rafforzare i messaggi, sia tecnici che motivazionali, dell’allenatore nei confronti degli atleti, in altre raccogliendo i vari feedback proveniente dalla squadra.

Ed è qui che vorrei sottolineare come l’assistente debba anche avere la sensibilità per analizzare ciò che gli viene detto e filtrare i messaggi per l’head coach…

NON DEVE ESSERE UNA SPIA, NE’ DEVE ESSERE UN CONFIDENTE.

Deve capire ciò che è funzionale al raggiungimento dell’obiettivo comune, deve prevenire possibili problemi, risolverne altri.

L’Head Coach

E’ indubbiamente il capo dello staff.

head coach

Viene chiesto di:

  • prendere le decisioni e la responsabilità della gestione della squadra
  • coordinare il lavoro dei vari allenatori
    • come abbiamo visto non solo tecnico
  • deve dare una linea e stabilire un metodo di lavoro a cui tutti devono adeguarsi.
Leadership

Ritengo, però, che debba essere anche il LEADER della squadra, colui che non solo stabilisca le regole, ma che sia il punto di riferimento, non sia al di fuori del gruppo, ma parte integrante ed esempio per lo stesso!

Non deve necessariamente avere più conoscenze degli altri membri dello staff (pensiamo ad esempio, ma non solo, nei confronti del preparatore o del mental coach), ma deve avere una visione che sia Il 100% di ciò di cui ha bisogno la squadra.

Non può permettersi di non essere focalizzato sull’obiettivo comune, anzi deve avere la capacità di riportare eventualmente tutti sulla stessa “pagina del libro”.

Una dote importante è, per me, la sensibilità nel capire come e in che modo far rendere al meglio le risorse che ha a disposizione; le risorse non sono, ovviamente, solo i giocatori, ma anche i propri assistenti.

Come abbiamo detto in precedenza, essi hanno competenze e capacità diverse, fondamentale è metterli nelle migliori condizioni possibili per aumentarne l’efficienza.

Conclusioni

In ottica dell’obiettivo comune:

l’head coach potrebbe, per esempio, lasciare al proprio assistente la conduzione dell’allenamento settimanale o solo di alcune parti di esso.

La domanda

Potrebbe essere visto come un passo in dietro da parte del capo allenatore?

E’ un ottimizzare il lavoro e trasmettere alla squadra uno staff unito e completamente immerso nel raggiungere l’obiettivo.

Da leader deve sapere che uno staff coinvolto e contento del proprio ruolo è in grado di dare quel qualcosa in più che, in un lavoro dove ogni settimana c’è un confronto tra uomini prima che atleti e tecnici, può fare veramente la differenza.

di Sergio Luise

partecipare o vincere

Vincere o partecipare?

Il tabellone è lì, impossibile non guardarlo.

La cosa curiosa dei tabelloni segnapunti (e segnatempo) è che se potessero registrare gli sguardi, diventerebbero incandescenti a mano a mano che la partita volge verso la fine.

Se fossi un esperto in matematica direi che il tabellone lo si guarda in maniera inversamente proporzionale allo scorrere del tempo.

I giocatori, il pubblico, gli arbitri, gli ufficiali di campo (quelli più di tutti, per ovvie ragioni) sembra abbiano…

…tre differenti modalità di sguardi:

  • il primo per l’evento agonistico in sé che si svolge sul campo,
  • il secondo per il tabellone,
  • il terzo per il tavolo dei giudici (a cui ci si interfaccia per le operazioni amministrative della partita).

Ebbene sì, anche una partita ha le sue pratiche burocratiche da espletare.

Il tabellone

Eppure quel tabellone che fa sospirare e penare, dannare e gioire, quei piccoli cristalli rossi che si illuminano formando sostanzialmente numeri, tutta quella roba lì è un grande ingannatore.

Tabellone

Non perché sia bugiardo in sé (non c’è cosa più veritiera dei numeri, com’è noto), ma perché quel tabellone,

se si rischia di fare in modo che sia l’unico a decretare “la polvere o l’altare”, beh quella sì che può essere una cosa ingannevole.

Il risultato finale

Sto parlando del risultato finale.

Quale unico ed assoluto giudice di ogni valutazione ex post di una prestazione?

E sto anche cercando (e sarà impresa non poco faticosa) di dimostrare che quel tabellone deve iniziare ad avere un’importanza relativa e non già assoluta nelle valutazioni di uno staff tecnico e di una società circa la performance della squadra.

Va bene, lo ammetto che la questione è spinosa assai e che investe direttamente la vecchia dicotomia tra fare sport per il gusto di farlo e farlo esclusivamente per vincere.

E’ esattamente il metro con cui si valuta lo sport semiprofessionistico e professionistico.

È questione spinosa anche perché deve ribaltare uno degli assiomi più antichi dello sport e cioè che quest’ultimo è vero solo in funzione dei risultati e che nulla conta al di fuori di quelli, che chiunque viene valutato per quanto ha vinto, eccetera eccetera.

Che se mi permettete, questa è solo una delle variabili in gioco (importante certo, ma ce ne sono anche delle altre).

Quante volte:

  • ci siamo sentiti dire che la nostra squadra meritava di vincere?
  • il pubblico ci ha applauditi anche dopo una sconfitta?
  • gli allenatori avversari si sono sinceramente complimentati per la prestazione fatta anche quando siamo usciti dal campo con le pive nel sacco?
La formalità

Orbene, il mio tentativo da queste colonne sarà tutto teso a dimostrare che tutta quella roba lì, che è accaduta a tutti, certamente anche più di qualche volta, è tutt’altro che formale e che la vittoria non è assolutamente l’unico parametro di valutazione per arrivare a definire se la nostra programmazione, la nostra conduzione di una gara e – purtroppo – non l’epilogo della stessa non sono da buttar via soltanto perché alla fine il punteggio ci vede sconfitti.

Ovvio considerare che se abbiamo perso ci manca ancora qualcosa, ma facciamo veramente attenzione ogni volta ad entrare nel merito della prestazione per sottoporla ad una attenta scannerizzazione che riguarda i quaranta minuti di gioco e non, magari, l’ultimo sfortunato episodio.

Proviamo anche a mettere in atto un’altra strategia.

Quel tabellone fatto di led luminosi rossi che cambiano vertiginosamente con il variare del punteggio, dei tempi di gioco e dei falli, proviamo a guardarlo un po’ meno spesso.

Quel tabellone ci condiziona tremendamente, inconsciamente, subliminalmente.

Faccio un esempio.

A inizio terzo quarto siamo avanti di venticinque:

che effetto questa cosa produce sulle nostre emozioni agonistiche, nella stragrande maggioranza dei casi?

Ritengo che il tabellone sia paradossalmente un nemico più della squadra che è avanti nel punteggio di quella che è in svantaggio.

Quei numeri dicono cose che possono entrare prepotentemente in quella delicata cosa che sono le motivazioni agonistiche che molto spesso spostano gli equilibri con la stessa facilità con cu si ribalta la famosa “inerzia”.

Ovvero quella miscela chimica e psicologica che nessuno ha mai capito fino in fondo ma che tutti gli allenatori conoscono e la “sentono” nell’aria prima che la situazione venga poi di fatto ribaltata sul campo anche se fino a pochi minuti prima il risultato sembrava aver preso una direzione precisa.

Conclusione

 E allora, per concludere, qui nessuno vuole scomodare De Coubertin e assecondare quel suo cavalleresco e assai poco attuale aforisma,

in un’epoca nella quale, non solo nello sport, tutti vogliono spudoratamente vincere, sempre e comunque, con ogni mezzo, perfino quelli illeciti.

Tutto si giustifica nella moderna società della competizione sull’altare del “vincere e vinceremo”. (Duce, ci scusi la citazione).

Eppure sento che la vera e profonda ragione per giudicare cosa siamo veramente, cosa abbiamo realizzato veramente in quella partita, cosa serve veramente per trasformare quel granello di sabbia che è mancato nella valanga che occorre per superare la corrente:

sta nel superare il senso del punteggio decretato dal tabellone quando termina la sua corsa e dice 00:00.

Due considerazioni finali
  • La prima è che nessuno gioca mai a perdere e tutto questo non riguarda affatto l’aspetto delle giustificazioni o degli alibi per una sconfitta
    • quella sì, che sarebbe una cosa esecrabile.
  • La seconda è una parziale correzione della storia, ovvero del detto di De Coubertin e del senso che voleva dire.

Quel detto non è affatto farina del suo sacco: lo pronunciò per primo nella storia un filosofo greco che non avrebbe mai detto una cosa così scontata, perché quel filosofo disse in realtà:

L’importante non è vincere, ma partecipare con spirito vincente”.

Spirito vincente

E credetemi, meglio di questa frase per spiegare tutto quello che volevo dire in queste righe, non potevo trovare.

di Dino De Angelis