cielo azzurro Tokyo

Nel cielo azzurro di Tokyo

Non ci sembrava vero quando Jacobs passò per primo al traguardo dei 100 metri, dovemmo rivedere il replay più volte per convincerci che, dopo i grandi mostri sacri del passato da Carl Lewis a Usain Bolt, toccasse proprio a un italiano!

L’Italia che a quella gara non era mai neppure arrivata in finale da…

…tempi immemorabili (Mennea nel 1980 nella specialità era arrivato in semifinale).

Inaspettato

Poi arriva questo ragazzotto di colore ed origini texane ma cresciuto in Italia fin da bambino, che addirittura ha anche più di qualche difficoltà a parlare inglese, a regalarci non solo la finale, ma addirittura la medaglia più ambita!

Lo abbiamo dovuto vedere più volte senza nemmeno respirare quello sprint pazzesco che ha regalato un successo insperato e, per questo, ancora più bello.

E già in Italia si gridava al miracolo:

tralasciando le attribuzioni di paternità geografica dell’atleta che provengono nientedimeno che dal presidente della regione Lombardia della Lega, ovvero di quel partito che più degli altri è assolutamente contrario all’immigrazione!

mentre tutti i “sani di mente” ponevano l’accento sul fatto che ormai le società sono multietniche e multirazziali, altrimenti non vedremmo, ad esempio, in Francia una quantità inimmaginabile di uomini e donne di colore, tanto nella società civile che sui vari campi sportivi.

Ma si sa, ormai tutto si butta in caciara (cioè in politica) ed ogni pretesto è buono per affermare i propri convincimenti o contrastare gli avversari.

Ragion per cui cercheremo di non cadere nella trappola e considerare questi atleti per ciò che sono, ovvero dei semplici figli della multirazziale società contemporanea.

Ma la cosa mica finisce qui

Con la vittoria di Jacobs ci sentivamo già sufficientemente appagati, mentre pochi minuti prima di quella gara un altro atleta (stavolta nato e cresciuto in Italia) ci regalava l’oro nel salto in alto:

Gianmarco Tamberi

In pochi minuti eravamo diventati la nazione che correva più veloce e saltava più in alto del mondo.

Ora non so se ti capaciti di quello che questa cosa vuol dire, ma di suo ha un’importanza enorme.

La avrebbe ovviamente per qualunque paese, ma per l’Italia di questo 2021 ne ha ancor di più.

Un paese che:

  • pare uscire come un gigante dal periodo più buio che l’umanità abbia passato
  • poche settimane prima era uscita vincitrice da una competizione sportiva europea nello sport più amato battendo l’Inghilterra
  • si qualifica alle Olimpiadi anche nel basket dopo non so più quanti secoli e fa pure una eccellente figura prendendosi il lusso di giocarsela punto a punto persino con i vice campioni del mondo (Francia)
  • complessivamente rafforzando un po’ dappertutto la propria presenza in ambito sportivo in discipline che per decenni non ci vedevano più ai vertici.

Nel frattempo arrivano anche altre medaglie, qualcuna pure particolarmente preziosa:

e tutti i telecronisti a dire in coro la stessa cosa:

“e non finisce qui”.

Pare una canzone di Mia Martini, “E non finisce mica il cielo”, e per la spedizione azzurra a Tokyo 2021quel cielo pare proprio un empireo.

Poi, insperatamente, ancora una volta come molte altre gare, arriva un’altra affermazione di quelle che nessuno ci credeva:

l’oro nella staffetta 4×100

In questa staffetta (manco a dirlo) corrono due atleti di colore, tra cui Eseosa Desalu (ma abbiamo detto di non buttarla in casciara, e allora niente).

C’è ovviamente ancora Jacobs che corre la seconda frazione e nei suoi 100 metri ne guadagna tanti, ma non basta ancora e Lorenzo Patta.

Finchè un sardo milanese, Tortu (quello della pubblicità della fibra ottica) fa capire che hanno scelto il testimonial giusto e si va a prendere (ancora una volta contro gli inglesi) l’ennesimo oro per i nostri colori.

È un tripudio azzurro e tutti continuano a dire: “e non finisce mica il cielo”.

E allora che questo cielo si riempia ancora “di sole e di azzurro”.

Di Dino De Angelis

Stretching yes or not

Stretching: yes or not?

Con la fine della stagione agonistica, ma soprattutto con l’inizio delle preparazioni precampionato per moltissimi preparatori e sportivi, torna in gran voga l’ormai vecchio dibattito sulla valenza dello stretching.

Fa bene? fa male? Non fa niente?

Una risposta assoluta come “si” o “no” a questa domanda, non solo è sbagliata a priori, ma anche del tutto assurda.

Innanzitutto è bene ricordare che con la parola stretching, spesso si intendono esercitazioni molto diverse tra loro, che inducono adattamenti differenti.

Credo si possa ormai affermare, senza molti dubbi, che in sport che non richiedono una particolare mobilità articolare, lo stretching statico (il più diffuso e conosciuto) eseguito in maniera maniacale, sia, se non negativo, per lo meno inutile.

E’ evidente, però, che per atleti giovanissimi che si avvicinano a qualsiasi tipo di disciplina non deve essere vietato.

Giovani stretching
Foto di Ketut Subiyanto
GLi abitudinari e i vari esercizi di stretching

Non bisogna però dimenticare che “molti atleti” sono “affezionati” ai loro riti preventivi e preparatori.

Spesso i possibili effetti negativi indotti dal divieto brusco, può superare quelli indotti dal fare, appunto, lo stretching statico.

Diverse sono le tecniche di stretching, come:

Lo stretching balistico

Molto in voga negli anni passati, consisteva nell’arrivare in posizione di allungamento molleggiando sui muscoli tesi.

Si forzano le parti del corpo in posizioni che oltrepassano il normale range di movimento (ROM), utilizzando lo slancio di un movimento oscillante.

Si arriva cioè in posizione di massimo allungamento, e poi si tenta di andare oltre questa posizione con un movimento brusco e violento.

Oggi questa metodologia è fortemente sconsigliata, perché si mettono a repentaglio l’integrità delle strutture muscolo-tendinee delle articolazioni interessate.

Lo stretching statico

E’ il più conosciuto.

Consiste nell’assumere lentamente una determinata posizione, diversa per ciascun muscolo o gruppo di muscoli, che va mantenuta per un periodo di tempo più o meno lungo.

Può essere attivo o passivo.

Quello Passivo differenzia dall’attivo, per l’intervento di altre persone o attrezzi che aiutano a raggiungere la posizione.

Lo stretching dinamico

Consiste nell’allungare un certo gruppo muscolare con oscillazioni e movimenti controllati.

L’escursione aumenta progressivamente fino a raggiungere il grado desiderato, per poi aumentare anche la rapidità del gesto.

Stretching dinamico
Stretching dinamico – da running studio
PNF “facilitazione propriocettiva neuromuscolare” o Isometrico

Esistono varie tipologie di stretching PNF, ma il più utilizzato consiste nell’allungare e contrarre la muscolatura durante la fase di stretching e approfittare della stanchezza della muscolatura che è stata contratta pochi secondi prima, per allungarsi sempre di più.

Quindi

Dire che lo stretching fa bene a priori, è sbagliato. Dire che lo stretching va evitato come la peste, è sbagliato.

Siamo dei professionisti con un bagaglio culturale che spazia dall’anatomia umana, alla fisiologia, biochimica, biomeccanico.

Pertanto siamo tenuti a conoscere nello specifico gli adattamenti indotti da tutte le diverse metodiche di stretching, e solo attraverso questa conoscenza saremo in grado di utilizzarle al meglio in base alla programmazione specifica per obiettivi.

Esempio

Molte tecniche di stretching statico, di cui oggi si parla tanto male, trovano un largo e positivo utilizzo in discipline che richiedono una grande mobilità articolare come la ginnastica artistica o il nuoto sincronizzato e la prevenzione ai traumi in quasi tutti gli sport.

Quindi, come già detto in tante riunioni tecniche e dibattiti in forum specializzati, avere conoscenze non vuol dire applicarle in modo indiscriminato senza rielaborarle alla luce delle proprie esperienze, degli anni di lavoro, di osservazione e di valutazione.

Un monito ai colleghi educatori – istruttori – preparatori fisici

Cerchiamo e continuiamo ad avere un approccio personale alle cose e di rielaborare le proprie conoscenze in modo elastico e funzionale: i libri e i testi non sono bibbie ma strumenti di notevole aiuto per permetterci di approfondire e studiare.

Vi invito infine a leggere alcune interessanti pubblicazioni sull’argomento del Prof. Gilles Cometti, un cardine nel nostro ambito.

Gilles Cometti
Gilles Cometti al lavoro con un atleta – da performancelab
Conclusione

Per quanto mi riguarda dedicare qualche minuto alla pratica dell’allungamento, in base alla mia esperienza pratica, ai miei approfondimenti ed alle mie continue partecipazioni a clinic specialistici,

va a completare quella che viene chiamata “programmazione ordinaria”.

di Tiziano Megaro


Il basket dei 24 secondi

Il basket dei 24 secondi

Parlando della pallacanestro di area FIBA si possano individuare alcuni turning points, ovvero alcuni cambiamenti regolamentari che hanno notevolmente cambiato il GIOCO.

La conseguenza è che ne sono state modificati gli approcci tecnici e tattici delle varie squadre e giocatori, nonché le strategie nella costruzione delle squadre.

Vediamo…

…quali sono, a mio avviso, quelli più determinanti.

Le modifiche nel tempo
  • 1984 introduzione del tiro da 3 punti;
  • 2004 il passaggio per i campionati FIBA dalla regola dei 30 secondi a quella dei 24 secondi.
    • Infatti, mentre in NBA, dopo un primo periodo in cui non vi erano limiti di tempo per concludere un’azione di attacco, nella stagione 1954/55 si decise immediatamente per i 24 secondi.
      • Nei paesi Europei, ma più in generale in quelli di area FIBA, ci fu prima il limite dei 30 secondi per poi adeguarsi alla regola NBA;
  • 2010 arretramento linea dei tre punti alla distanza di 6,75 mt e modifica delle dimensioni dell’area dei 3 secondi;
  • 2014 reset del cronometro a 14 secondi dopo un rimbalzo offensivo;
  • 2018 l’introduzione del concetto “passo zero”
    • ovvero la possibilità di compiere, in determinate circostanze, un passo senza mettere la palla a terra che non rientri nel conto per il fischio della violazione di passi.

Tralasciando per ora, ne parleremo magari nei prossimi articoli, i significativi effetti degli altri cambiamenti regolamentari (alla lista precedente aggiungerei anche l’introduzione dello “SMILE”).

Le conseguenze del cambiamento del limite di tempo

In queste righe vorrei sottolineare come il cambiamento del limite di tempo per l’azione offensiva abbia influenzato a tal punto la pallacanestro “moderna” da pensare ad un vero e proprio spartiacque!

Le conseguenze sono state diverse e di grande impatto.

Esse hanno riguardato per esempio:

  • la preparazione fisica;
  • la ricerca di giocatori con “nuove” caratteristiche fisiche e tecniche;
  • giochi di attacco più rapidi e più efficaci nei primissimi secondi;
  • difese più aggressive e con un grado di concentrazione più elevato e pronte da subito;
  • la costruzione dei roster delle squadre, in particolare l’utilizzo e l’importanza delle panchine (il cosiddetto SUPPORTING CAST).
Osservazioni personali

Parto proprio da quest’ultimo aspetto per condividere con voi alcune mie riflessioni.

La mia passione per questo sport è nata ben prima del 2004, quando le squadre erano composte da un quintetto base ben definito ed una panchina in cui era facile identificare il sesto uomo.

Quest’ultimo poteva tranquillamente far parte dello starting five, ma uscendo dal “pino” aveva un impatto sulla partita ancora maggiore tale da cambiarla.

Starting five
Foto di cottonbro

Il resto dei panchinari (il roster era di 10 giocatori) era soprattuto giocatori di ruolo (Role Player) con compiti ben specifici, spesso con mansioni chiaramente difensive, con l’obiettivo di far rifiatare il titolare e di supporto anche morale per i primi cinque.

In seguito l’evoluzione della pallacanestro ha influenzato la costruzione del roster.

Con la riduzione di ben 6 secondi per concludere un attacco, si è visto notevolmente velocizzare il gioco con una diminuzione dei tempi di esecuzione sia fisici che mentali, tale da richiedere sforzi più intensi con conseguenti riposi brevi ma più frequenti.

Ecco la necessità di avere 12 giocatori, ma soprattutto aumentare le cosiddette rotazioni e avere un maggior apporto dai giocatori definiti rincalzi.

Nasce anche una vera e propria nuova definizione, quella di “SECOND UNIT”, cioè quintetti che iniziano la partita subentrando, ma che hanno la possibilità di giocare diversi minuti e quindi essere determinanti.

Ovviamente parte tutto da un concetto di tempo ridotto, ma non è solo una questione fisica:

non invadendo competenze altrui, non credo di essere smentito dicendo che i lavori di endurance in pres-season sono stati sempre di più sostituiti da lavori più intensi e anaerobici e da una maggiore attenzione allo sviluppo della resistenza veloce.

Infatti essendo uno sport di situazioni, l’aspetto tecnico ha risentito in maniera importante di questo cambiamento.

Analizziamo più nel dettaglio alcuni effetti

COSTRUZIONE GIOCATORI

In giro per i campi europei, a tutti i livelli, si vedono sempre più dei veri atleti.

Giocatori che potrebbero competere in qualsiasi disciplina di atletica leggera per le loro capacità anche purtroppo a scapito di una tecnica e una conoscenza dei fondamentali non precisa.

Questo è il vero obiettivo dei nostri settori giovanili, ovvero formare giocatori che sappiano abbinare a doti fisiche e atletiche di primo livello una tecnica altrettanto eccellente.

Come?

Prima insegnando in maniera precisa il gesto, aumentando solo in seguito la velocità di esecuzione e di pensiero!

Sì di pensiero, perché il tempo per leggere la situazione e prendere una decisione si è notevolmente accorciato!

Facciamo solo un esempio pratico: Il tiro.

E’ fondamentale avere una tecnica che ci permetta di avere un rilascio della palla efficace ed efficiente, con la palla che esce dalle mani con la giusta rotazione e parabola, con la corretta coordinazione piedi, gambe, braccia e mani.

Ciò è possibile con ripetizioni e una metodologia di allenamento che gli allenatori ben conoscono.

E’ necessario, però, che, una volta acquisita la tecnica, essa venga eseguita in tempi rapidissimi.

  • Quanto tempo ha il giocatore per eseguire un tiro prima di essere ostacolato?
  • E quanto per mettere i piedi “a posto”?
  • Quanti tiri sono effettivamente liberi o senza la pressione del difensore?
  • Quanto tempo ha per decidere il tipo di tiro da effettuare in relazione alla situazione di gioco?

Pochissimo, sicuramente molto meno di quanto ne aveva con i 30 secondi a disposizione per concludere l’azione d’attacco.

Sicuramente ha meno libertà di movimento dovendo affrontare difese più atletiche che riempiono gli spazi molto più velocemente. (Basti pensare ai “CLOSE OUT”).

GIOCHI OFFENSIVI

Prima della variazione regolamentare era norma sviluppare giochi d’attacco nei cui primi secondi c’era soprattutto un movimento di palla non sempre accompagnato da quello dei giocatori, o comunque non tale da creare un vantaggio immediato da poter sfruttare andando a canestro o concludendo.

Il vero pericolo per le difese infatti arrivava negli ultimi secondi dell’azione

“la difesa deve lavorare il più tempo possibile”

Con i 24 secondi c’è stato uno sviluppo di set offensivi che dai primissimi istanti dell’azione permettono di mettere sotto pressione la difesa (concretizzare i vantaggi).

Alcuni consentono di raggiungere una conclusione dopo un solo passaggio e un movimento di un solo giocatore (si vedono sempre più isolamenti), altri hanno obiettivi chiari ed immediati che coinvolgono non tutti gli attaccanti (pensiamo a come nascono diversi pick&roll centrali).

Così come, (per necessità o per “pigrizia” di noi allenatori?), non è inusuale avere diverse chiamate dello stesso gioco a secondo del giocatore che vogliamo coinvolgere limitando, così, al minimo il tempo di esecuzione, ma anche la capacità di scelta dei nostri atleti.

Scelte che potrebbero rallentare l’esecuzione del gioco, con la conseguenza in questo caso, personale considerazione, di un impoverimento della qualità dell’attacco e del giocatore stesso.

Lo SWITCH tra le due fasi del gioco

Con un attacco pericoloso già nei primi secondi, con una ricerca sempre maggiore di attaccare in contropiede, attraverso anche transizioni offensive sempre più efficaci, è fondamentale avere giocatori in grado di passare da una fase all’altra immediatamente.

Da qui l’attenzione per le transizioni difensive e per costruire una mentalità difensiva che non sia passiva, ma anzi permetta di aggredire l’attacco nei primissimi metri del campo (con difese tutto campo, raddoppi, blitz sulla palla…)

In particolare le qualità atletiche di ormai tutti i giocatori, indipendentemente dai ruoli, e i meno secondi a disposizione dell’attacco, permettono di utilizzare cambi difensivi anche tra diversi ruoli.

Molto efficaci per spezzare il flusso in attacco e costringerlo a soluzioni rapide e meno efficaci, condizionato anche dalla SHOT CLOCK VIOLATION.

cambio difensivo
Le cosiddette SPECIAL PLAYS

Per le scelte difensive dette in precedenze, ma anche per gli ulteriori cambiamenti regolamentari (pensiamo il reset ai 14 secondi), non possono mancare nel playbook delle varie squadre quelle situazioni a gioco rotto o quelle rimesse, sia laterali che da fondo, per la ricerca di una conclusione veloce.

Ciò ha permesso una notevole specializzazione per queste chiamate “speciali”.

Conslusione

Il basket per sua natura e per come è stato ideato, è sempre incline ai cambiamenti, avvicinandosi a quelle che sono le richieste di modernità.

Si può tranquillamente affermare che sia uno sport “progressista”.

Così come lo devono essere tutti i suoi attori protagonisti, pronti ad adeguare la propria metodologia di lavoro, come abbiamo visto, sia dal punto di vista atletico che tecnico (non tralasciando il lavoro degli arbitri, a cui è richiesto di adattarsi ad un gioco più veloce e con più contatti).

In particolare con l’introduzione dei 24 secondi, il gioco ne ha sicuramente guadagnato in spettacolarità.

basket prima
da Ufficio Stampa FIP prima partita in Italia di pallacanestro (8 giugno 1919)

Sicuramente risulta essere più moderno e fruibile per un pubblico sempre più alla ricerca della giocata spettacolare e poco amante dei tempi morti.

Possiamo senza dubbio riconoscere e affermare che esista una pallacanestro ante e una post 2004.

di Sergio Luise

dual-career

Dual Career

Cos’è la dual career?

Chi bazzica nel mondo sportivo forse si sarà imbattuto nell’espressione dual career, ma al grande pubblico (e perfino ai diretti interessati) è perlopiù sconosciuta.

Letteralmente si traduce con “doppia carriera” e si riferisce a tutti coloro che percorrono contemporaneamente due strade.

Ad esempio…

…chi:

  • si occupa di tenere in ordine la casa ma ha anche un lavoro;
  • ha un impiego principale ma anche un hobby;
  • ha due attività e così via.

Nell’ambiente sportivo la definizione ha preso particolarmente piede poiché molto spesso gli atleti sono costretti a condurre, insieme alla carriera agonistica, quella scolastica prima e lavorativa poi.

Destreggiarsi tra due vite, quella sportiva e quella scolastica/lavorativa, non è assolutamente facile, richiede dedizione completa, impegno e molti sacrifici.

La routine di un atleta con dual career è estenuante:
  • la sveglia al mattino suona alle 5:00
    • quando il sole non è ancora sorto, per recarsi in società per il primo allenamento della giornata.
  • Tra le 8:00 e le 9:00 il ragazzo si farà una doccia rapidissima
    • e poi di corsa a scuola o al lavoro dove, anziché riposarsi e ricaricare le energie, dovrà mantenere alto il livello di attenzione e continuare ad impegnarsi mentalmente e/o fisicamente.
  • Dopo un pranzo veloce (al quale invece si dovrebbe prestare molta attenzione per fornire al corpo il giusto apporto di nutrienti) correrà verso un nuovo allenamento pomeridiano, spesso più intenso del precedente.
  • A sera il nostro atleta sarà esausto, eppure dovrà trovare il tempo e le energie per svolgere i compiti scolastici e frequentare famigliari e amici. Può accadere che sia troppo stanco e decidere di sacrificare il tempo con i compagni in favore di una bella dormita ma, se da un lato questo giova al suo corpo, dall’altro porta ad un impoverimento della sfera sociale e un accumulo di stress.
Condurre una simile vita è molto faticoso.

Perché, allora, la maggior parte degli sportivi preferisce la dual career?


Su questo argomento sono stati svolti vari studi che hanno portato alla luce numerose motivazioni.

La prima risulta essere il lavoro, visto come la necessità di avere una fonte di sostentamento alta rispetto allo sport.

Questa esigenza è così sentita per due ragioni:

  • da un lato, soprattutto per le discipline dilettantistiche, le vittorie da sole non bastano al sostentamento di una famiglia,
  • dall’altro c’è l’incertezza legata al raggiungimento o meno dello status di atleta d’elite
    • (al quale è legata un’entrata economica di peso molto variabile in base alla disciplina praticata).
L’atleta è anche costretto a tener conto della durata della sua carriera sportiva.

Quando questa sarà finita, termineranno pure i premi economici e dovrà trovarsi un impiego che difficilmente gli verrà concesso se non avrà portato a termine gli studi.

Assicurarsi un futuro al di fuori dello sport non è l’unica motivazione emersa dalle ricerche:

queste hanno evidenziato che molti atleti preferiscono essere coinvolti in entrambe le carriere perché ciò fornisce loro un maggiore livello di stimolazione cognitiva, soddisfazione personale e fiducia in se stessi.

Cosa dicono le ricerche

Gli studiosi hanno evidenziato che gli sportivi impegnati in dual career presentano un maggiore senso di unità di identità, un più alto livello di benessere psico-fisico e, quando la loro carriera giunge al termine, una migliore transizione dal mondo sportivo a quello lavorativo.

Da quanto detto appare evidente come sia importante favorire la doppia carriera, eppure nella maggior parte dei casi, soprattutto in Italia, questa viene scoraggiata.

Le barriere maggiori sono tre:


Per i giovani, queste sono le figure principali di riferimento e pertanto si lasciano influenzare dalle loro opinioni.

In particolare, tra gli allenatori è frequente l’idea che la scuola non sia importante, ma anzi una perdita di tempo che sottrae ore agli allenamenti.

Benessere
Foto di Andrea Piacquadio

Più o meno lo stesso è il pensiero dei docenti tra i quali è ancora molto vivo lo stereotipo dell’ “atleta stupido”, visto cioè come alunno meno cognitivamente dotato semplicemente perché si dedica con fervore all’attività fisica.

Conseguenze psicologiche

Queste idee sono quanto mai dannose per l’autostima e il senso di autoefficacia dei ragazzi e possono favorire sentimenti di inadeguatezza verso la scuola o lo sport, disistima di sé e depressione al punto tale da abbandonare uno dei due percorsi.

L’allontanamento da una carriera non rappresenta semplicemente la morte di un sogno e la perdita di una possibilità, ma ha conseguenze anche sulla psiche dei ragazzi.

La rinuncia a un percorso, infatti, fa nascere insicurezze che portano a una diminuzione dell’autostima e a un maggiore senso di incapacità.

Naturalmente questa situazione genera malessere che porta a un vero e proprio abbassamento della qualità della vita del ragazzo.

Nel caso della rinuncia allo studio, a carriera sportiva terminata, senza una laurea ed esperienze lavorative, lo sportivo avrà serie difficoltà a trovare un lavoro stabile.

Questo aumenterà le incertezze, lo stress e le ansie relative al futuro, fino ad arrivare a un’auto-svalutazione di sé che porterà a una diminuzione dell’autostima che potrà arrivare a veri e propri sintomi psicopatologici.

Nel caso dell’abbandono dell’attività sportiva,

il ragazzo vedrà distruggersi il sogno di vestire la maglia nazionale, si chiederà per sempre se:

  • avrebbe potuto farcela
  • si sentirà monco di un’esperienza di vita che aveva desiderato con fervore e per la quale stava lottando
  • si vedrà come un buono a nulla per non essere riuscito a portare avanti la dual career.
  • proverà un senso d’ inferiorità verso chi ce l’ha fatta

Dare agli atleti la possibilità di portare avanti la carriera sportiva, unita all’istruzione e/o al lavoro, significa dar loro la possibilità di sviluppare una personalità sana affinché possano svolgere il proprio ruolo nella società, garantirsi un reddito soddisfacente, arrivare alla gratificazione affettiva e sociale.

Conclusioni

Per raggiungere questo obiettivo bisogna puntare su ciò che nelle ricerche gli studiosi chiamano “facilitatori

Facilitatori

Quegli attori che, gravitando intorno allo sportivo, lo spronano a portare avanti entrambe le carriere.

Paradossalmente è emerso che si tratta degli stessi personaggi che costituivano le barriere: famiglia, insegnanti e allenatori.

Quando questi individui hanno pareri discordanti tra loro e sono contrari ad una delle due carriere, l’atleta ne è influenzato negativamente e può demoralizzarsi fino al ritiro da una delle due;

al contrario, quando gli adulti di riferimento lavorano in armonia, senza pregiudizi gli uni verso gli altri, allora il giovane trae beneficio dal clima sereno e aperto.

Per fare in modo che le principali barriere alla dual career si trasformino in facilitatori è necessaria

una rivoluzione culturale, non solo nel mondo scolastico, lavorativo e sportivo, ma nell’intera società italiana.

di Virginia Abbagnale

studente - atleta

Gli studenti-atleti in Italia

La pratica sportiva in Italia non è molto diffusa, tuttavia, se consideriamo i praticanti di tutte le discipline, giungiamo a una cifra piuttosto considerevole.

Il numero di ragazzi in età scolare che pratica sport è così elevato da permettere l’identificazione di una vera e propria tipologia di alunno chiamata “studente-atleta” che, tuttavia, è ancora sconosciuta, se non apertamente ignorata od osteggiata da una parte d’insegnanti…

Chi sono, esattamente, gli studenti-atleti?

Si tratta di ragazzi che praticano sport in maniera agonistica sottoponendosi a numerosi ed estenuanti allenamenti settimanali (spesso anche più di dieci) e che al contempo frequentano la scuola.

Va da sé che, a differenza dei compagni, questi alunni hanno poco tempo a disposizione da dedicare allo studio e spesso sono assenti per via di gare e ritiri con le squadre nazionali. 

Studenti atleti
Foto di Julia M Cameron
Il documento

Nel 2012 la Commissione Europea ha stilato un documento nel quale ha riconosciuto ufficialmente che gli studenti-atleti necessitano di speciali attenzioni psico-educative e pertanto la scuola deve introdurre percorsi specifici che vadano incontro alle loro esigenze.

Soltanto grazie a questo documento in Italia è stato avviato il programma sperimentale “Studenti-Atleti”.

Prevede la stesura di un Progetto Formativo Personalizzato che permette la personalizzazione dell’apprendimento sulle esigenze del singolo alunno, diversificando metodologie, tempi e strumenti.

L’iniziativa è sicuramente lodevole ma non bisogna pensare che sia il punto d’arrivo dell’inclusione dei giovani atleti a scuola.

Il programma, purtroppo, presenta diverse criticità: tre quelle fondamentali.

In primo luogo:

Secondariamente:

  • sebbene il Ministero dell’istruzione (ex MIUR) riconosca apertamente che gli studenti-atleti siano costretti a un numero superiore di assenze a causa di raduni e gare, non viene indicata nessuna soluzione al problema, lasciando l’iniziativa a presidi e insegnanti.

Infine:

  • il procedimento per partecipare al programma è molto lungo e macchinoso.
Ecco i perchè
  • Il ragazzo, di sua iniziativa, deve richiedere alla propria federazione un attestato che assicuri il suo status di atleta di interesse nazionale;
  • la certificazione deve essere presentata presso la segreteria scolastica;
  • la scuola deve compilare ed inviare la richiesta per la partecipazione alla sperimentazione;
  • il Consiglio di classe deve coinvolgere il docente referente dell’area BES (Bisogni educativi speciali) ed individuare un tutor scolastico;
  • per conoscere il referente sportivo deve mettersi in contatto con la federazione di appartenenza;
  • deve provvedere alla stesura del Progetto Formativo Personalizzato e farlo pervenire alla commissione esaminatrice che dovrà approvarlo;
  • per usufruire della piattaforma e-learning messa a disposizione dal Ministero dell’Istruzione, il consiglio di classe deve fare un’ulteriore richiesta.

Tutto ciò deve avvenire in tempi brevissimi (entro ottobre), mentre durante l’anno i docenti coinvolti dovranno partecipare ad una formazione professionale specifica.

Da quanto detto appare evidente come il PFP debba essere visto come un punto di partenza ma sicuramente non d’arrivo.

Innanzitutto, l’attuazione del progetto dovrebbe essere snellita, la partecipazione ampliata alle scuole secondarie di primo grado e andrebbe prevista una soluzione ufficiale per il problema delle assenze.

Infine, l’aspetto più importante è che la sperimentazione non resti tale ma si tramuti in legge.

Conclusioni

Finché ciò non avverrà, continueranno ad esserci disuguaglianze e disparità di trattamento da una scuola all’altra poiché tutto è demandato alla sensibilità e al giudizio personale dei singoli insegnanti che,

nella maggior parte dei casi, considerano lo sport come una disciplina di secondo livello al punto tale da spingere gli alunni ad abbandonare la carriera sportiva.

di Virginia Abbagnale

Trentesimo anno

30 – Trenta

È giunto anche per me l’anno n. 30.

Ho speso questi anni in palestre, campi di calcio, di tennis, di pallacanestro, piscine e piste di atletica leggera con bimbi, ragazzi e adulti, prestando il mio umile servizio di educatore – istruttore e preparatore fisico.

È stato, è e sarà sempre bello poterlo fare fin quando sarò in condizione. 

Quest’anno, più che mai, sento l’esigenza di condividere con tutti i miei amici e chi segue il mio blog, l’inizio del nuovo anno sportivo.

Dopo tanti campionati vissuti con lo Scafati basket, sarò il preparatore fisico della Virtus Arechi Salerno società che con la sua professionalità, organizzazione, serietà e voglia di crescere è riuscita a darmi i giusti stimoli e la giusta adrenalina.

Allenare i miei atleti  mi rende sempre più voglioso di programmare, sperimentare e rendere i loro allenamenti quanto più efficienti e funzionali possibili.

Ancora una volta  è ora di scendere in campo . 

Condizioni sulla sicurezza

Alcuni giocatori pensano, erroneamente, che giocare molte partite sia tutto ciò di cui hanno bisogno per restare in forma.

Il giocare, semplicemente, una partita non stimola adeguatamente quelle qualità fisiche necessarie per elevare le abilità specifiche del basket o a qualsiasi altro sport ad un livello più alto.

Oltre alle componenti di buona forma fisica e buona prestazione atletica, un giocatore…

di pallacanestro o un atleta in genere, deve adottare la filosofia dell’allenamento totale che include tutte quelle variabili atletiche che tratteremo nei prossimi approfondimenti compresa la sicurezza.

sicurezza

Prima di realizzare un qualsiasi programma di allenamento bisogna assicurarsi di mirare ai maggiori benefici fisici diminuendo al massimo le circostanze negative che potrebbero causare infortuni. Questo fa parte in effetti delle responsabilità dell’allenatore e del preparatore fisico, ma anche gli atleti devono fare la loro parte ed usare del buon senso.

Elenco alcune, generali, misure di sicurezza da seguire durante un programma di allenamento che come al solito possono sembrare banali ma che non si può, per nessun motivo, evitare:

  • Eseguire protocolli di propriocezione e mobilità;
  • Effettuare sempre una giusta attivazione, lo stretching (in dinamicità), prima dell’allenamento, ed il defaticamento dopo la seduta.
    • Al di là del condizionamento fisico di fondo, è fondamentale preparare il corpo all’attività sportiva con un incremento graduale e complessivo dell’impegno muscolare cardiovascolare che costituisce il “riscaldamento”.
      • Messo a regime, il corpo sopporta molto meglio carichi di lavoro intensi ma anche il graduale ritorno alle situazioni di riposo.
        • Attraverso un progressivo rallentamento dell’attività e attraverso il recupero di un tono muscolare più rilassato è un utile strumento di prevenzione dei danni da sport;
  • Evitare per qualsiasi motivo tiri a freddo dalla lunga distanza o qualsiasi gesto tecnico che necessita di un evidente sforzo muscolare;
  • Tenere il campo da gioco libero da ostacoli e pulito in caso di parquet;

L’interazione tra l’atleta e il terreno di gioco è stata studiata approfonditamente dalla biomeccanica con il duplice scopo di ottimizzare l’espressione del gesto sportivo e di ridurre l’incidenza di traumatismi.

mobilità

L’introduzione di materiali sintetici sempre più perfezionati ha modificato sensibilmente la natura e l’incidenza dei traumi di gioco.

D’altra parte i nuovi terreni hanno un differente comportamento dal punto di vista dell’aderenza della scarpa al terreno, che inizialmente ha prodotto un aumento dei traumi distorsivi.

Alcuni studi indicano nell’insieme un beneficio in termini di ridotta incidenza degli infortuni, attribuibile ai terreni sintetici rispetto a quelli naturali, soprattutto negli sport di squadra. Dobbiamo tenere conto, oltre che dei traumi acuti, dell’insidia delle lesioni micro traumatiche ripetute.

Un terreno rigido come un pavimento in cemento e linoleum assorbe ben poca dell’energia scaricata in salti ripetuti e perciò favorisce microtraumi del piede, dell’arto inferiore e della colonna. Ben diverso è l’effetto di un parquet elastico. La superficie inoltre può essere più o meno sdrucciolevole.

campo in cemento
fondo in cemento
campo in parquet
fondo in parquet
carpo in erba
fondo in erbetta

Alcune Federazioni sportive hanno adottato come regola la posa temporanea di terreni sintetici in tutte le competizioni (avviene per esempio nella pallavolo), con lo scopo di ottimizzare la presa del terreno e ridurre i possibili traumatismi

campo sintetico
fondo in sintetico
  • Far utilizzare scarpe che diano una corretta stabilità laterale, sufficiente ammortizzamento dei talloni e buon supporto plantare;
  • ll carico di lavoro va adeguato gradualmente alle capacità prestative del soggetto.

Questa affermazione apparentemente banale presuppone però una solida base di conoscenze tecniche che serve a poter giudicare il singolo atleta nello specifico momento.

L’uso di tabelle di lavoro standard può essere una piattaforma di partenza, ma rischia di non rispondere adeguatamente alle esigenze specifiche. Tanto un carico troppo lieve, quanto uno eccessivamente gravoso sono potenziali fonti di infortunio nella pratica dello sport.

Se un gran numero di giocatori è coinvolto nell’esercizio, bisogna comunicare efficacemente per evitare collisioni e quindi per quanto non completamente necessari, attrezzi come i coni, cinesini e gli adesivi che indicano i punti di tiro e le corsie di passaggio sul pavimento, aiutano ad eliminare la confusione e servono a mantenere il movimento fluido e sicuro.

Un aspetto, fondamentale, che, purtroppo, non viene preso molto in considerazione è quello di consentire un adeguato riposo e recupero agli atleti a secondo della forma dei singoli ed al livello di tolleranza dei lavori svolti nelle sedute.

Riposo

Riferimenti a G. Brittnham e Jurgen Weineck