Principio di allenamento nel basket

PRINCIPI DI ALLENAMENTO NEL BASKET

SPECIFICITA’ E SOVRACCARICO PROGRESSIVO

Una conoscenza adeguata dei principi fisiologici impliciti nell’allenamento e nella competizione del basket è molto valida per allenatori e giocatori.

Non basta essere bene allenati; gli atleti devono affinare il proprio…

…corpo specificatamente per il basket.

Se si vuole migliorare il proprio tiro libero, cosa si fa, si gioca a golf? No.

Si effettueranno tanti liberi.

Lo stesso principio si applica al proprio allenamento fisico.

Mediante uno specifico adattamento il corpo cambia metabolicamente e/o meccanicamente (abilità di movimento) in risposta a una specifica esigenza.

Un atleta può essere ben allenato, ma è allenato specificatamente per il basket?

Ecco la premessa di specificità dell’allenamento.

Il basket è principalmente uno sport anaerobico ma richiede anche la collaborazione del sistema aerobico.

Un allenamento specifico per il basket, perciò, prevede l’utilizzo di uno schema che solleciti la produzione di energia anaerobica.

Per migliorare la capacità energetica si dovranno eseguire, quindi, brevi esercizi di grande intensità tutti adattati alla specificità dello sport in questione.

Le esercitazioni sul campo non sollecitano soltanto il sistema di energia anaerobica, ma molte di esse implicano capacità come:

un allenamento totale e specifico per il basket.

Il sovraccarico progressivo

Siccome le reazioni fisiologiche all’allenamento sono molto prevedibili e se il corpo è attentamente e progressivamente messo alla prova, avverranno appropriati adattamenti ed il corpo diventerà più forte.

Le reazioni fisiologiche all’allenamento sono molto prevedibili.

Se il corpo è attentamente e progressivamente messo alla prova, avverranno appropriati adattamenti ed il corpo diventerà più forte.

Questo è il concetto di sovraccarico progressivo.

Quando il corpo sperimenta uno stress fisico, a condizione che lo stress non sia troppo forte, il corpo stesso si adatterà a quello stress.

Esempio

L’adattamento può implicare una crescita muscolare (ipertrofia) frutto di ripetute sedute di allenamento di resistenza o può implicare una migliorata efficienza cardiorespiratoria frutto di allenamento aerobico.

Man mano che aumenta il livello di lavoro, aumenta anche la propria capacità di lavorare più a lungo e duramente.

Per contro, un periodo di inattività che produca un declino della capacità fisica influenzerà negativamente la forma e le prestazioni del giocatore.

Se si concede una lunga vacanza, all’atleta, durante il periodo di sosta e l’atleta fa poco o niente allenamento, si potrebbe sperimentare un effetto “contro allenante”.

contro allenante
Foto di Victor Freitas

Il corpo reagirà proprio come un braccio che è stato ingessato per alcuni mesi.

La sua capacità fisica diminuisce, perde la sua vitalità.

Mantenendosi in forma si potrà ottenere il massimo del proprio potenziale fisico.

Cosa più importante è che, sia che si sta in periodo di sosta, in periodo pre – agonistico o nella stagione agonistica, se si è ben allenati, il giocatore sarà meno soggetto ad infortuni oltre a ridurre la gravità del problema nel caso in cui incorra. 

In questo senso mantenere un buon allenamento di base funzionerà a proprio vantaggio se si ha intenzione di avere una lunga e tranquilla carriera nella pallacanestro.

Il principio del concetto

Per raggiungere un livello ottimale di tensione fisica, bisogna ricordare il principio del sovraccarico progressivo.

Man mano che il proprio livello di forma migliora, gradualmente, si aumenterà l’intensità della sollecitazione fisica a cui si sta sopponendo il proprio corpo.

Le tre variabili maggiori per determinare uno stress adeguato sono:

  • l’intensità
  • la frequenza
  • la durata

Manipolando queste variabili in maniera programmata e ponderata si otterranno i risultati sperati.

L’intensità

L’intensità è probabilmente il più importante di questi tre fattori.

L’intensità di una sessione di allenamento può essere commisurata sia dal grado di difficoltà che da considerazioni di tempo.

Data la natura anaerobica del basket, gran parte dello sforzo si esercita in brevi scatti, con brevi interruzioni all’interno.

Come abbiamo già detto e ridetto, in alcuni precedenti articoli, anche il sistema aerobico necessita di una grande attenzione.

Un sistema aerobico efficiente aiuterà il corpo a tollerare meglio aumenti del livello di acido lattico, faciliterà la sua eliminazione e aumenterà la velocità di recupero.

Questo a sua volta permetterà al giocatore di effettuare prestazioni ottimali più a lungo.

La frequenza cardiaca

Fondamentale avere, per qualsiasi tipo di allenamento, il ritmo cardiaco sempre sotto controllo.

Qualunque metodo si userà l’utilità di conoscere il ritmo cardiaco ottimale dell’atleta e il ritmo cardiaco di riserva è oltremodo importante per regolare l’intensità dell’allenamento ad un livello appropriato.

Durante l’esercizio anaerobico il ritmo cardiaco arriverà al 95% del massimo o ancora più su.

Le frequenze cardiache di 180 battiti al minuto sono comuni tra atleti, sani, impegnati nell’allenamento anaerobico.

E’ ovvio che un ritmo di lavoro di tale intensità non può essere sostenuto a lungo.

In modo facile molti giocatori imparano velocemente a moderarsi durante allenamenti particolarmente gravosi.

Un occasionale controllo del battito cardiaco subito dopo un esercizio rivelerà se essi stanno esercitando il massimo sforzo.

Durante le esercitazioni i giocatori spesso sbagliano più tiri che durante l’allenamento abituale.

Alcuni allenatori dovrebbero ricordare che, man mano che l’intensità di un esercizio aumenta, accuratezza e coordinazione diminuiscono.

Se è vero che lo sbagliare i tiri durante una esercitazione non dovrebbe essere incoraggiato è anche vero che l’allenatore dovrebbe essere sempre consapevole dello scopo di quella attività.

Conclusione
Riposo
riposo

Intensità e riposo devono essere commisurate alle esigenze dell’atleta ed ai requisiti della pallacanestro.

L’intensità degli esercizi determina:

– se il sistema di energia, che viene stimolato durante l’allenamento, è anaerobico o aerobico.

– il rapporto lavoro/riposo varieranno moltissimo secondo il periodo dell’anno.

(Cit. Johnson, B. Greg)

di Tiziano Megaro

Il pensiero sistemico

IL PENSIERO SISTEMICO

System Thinking – by Russel Ackoff

Russell Ackoff, massimo studioso e pioniere nel campo delle scienze della complessità e del pensiero sistemico, esprime in questo video (estrapolato da un discorso molto più ampio) alcuni dei concetti fondamentali del pensiero sistemico. Pensiero che si oppone all’approccio riduzionista, al processo di semplificazione dei fenomeni, attraverso il quale spesso ci illudiamo di comprendere la realtà che ci circonda ma in realtà non facciamo altro che crearne un surrogato adatto alle nostre esigenze, al nostro modo di intendere le cose, che spesso, o quasi mai, corrisponde a quanto realmente avviene intorno a noi.  

da tss.academy (teaching sport skills)

Ritengo che il pensiero sistemico debba essere il presupposto da cui partire, le fondamenta sulle quali costruire il proprio percorso da allenatore. Un percorso tortuoso, tutt’altro che lineare, pieno di imprevisti che vanno accettati perché parte integrante della realtà in cui viviamo.

Allenare significa accettare la complessità dei fenomeni e conviverci, tracciando un percorso a matita, pronti al continuo ri-modellamento sulla base di quella che sarà la nostra continua crescita nella comprensione di ciò che avviene intorno a noi.

Nella parte finale del suo discorso, il professor R. Ackoff dal concetto di complessità si sposta a quello di qualità. Un concetto spesso bistrattato e poco compreso.

La qualità, ci dice Ackoff non può prescindere dal valore. E questo a mio avviso, da allenatori che hanno a che fare spesso con ragazzi giovani e anche molto giovani, dobbiamo sempre tenerlo a mente.

La qualità del nostro percorso da allenatori non può e non deve essere misurata solo sulla base dell’efficienza (risultati) ma anche e soprattutto dai valori che promuove, nell’ottica del raggiungimento di obiettivi molto più grandi e importanti di quelli della semplice vittoria di un campionato.

Ho diviso in alcune parti il discorso di R.Ackoff e di seguito riporterò quanto espresso dal professore durante il suo convegno.

Quella che segue sarà dunque la traduzione letterale del video pubblicato in alto nell’articolo

COS’È UN SISTEMA?

“La ragione del fallimento (il professore si riferisce ai processi di miglioramento della qualità dei servizi all’interno delle organizzazioni) è principalmente il fatto che non sono stati inglobati nel pensiero sistemico. Sono stati un’applicazione anti-sistemica. Ora lasciatemi spiegare cosa questo significhi.

Prima di tutto: che cos’è un sistema?

Il sistema è un “tutto” che consiste in diverse parti ognuna delle quali può influenzare il suo comportamento o le sue proprietà. Voi per esempio siete un sistema biologico chiamato “organismo”, e voi siete costituti da parti, il cuore, i polmoni, lo stomaco, il pancreas, ecc e ognuna di queste può influenzare il vostro comportamento o le vostre proprietà.”

PARTI INTERDIPENDENTI

“Il secondo requisito è che ogni parte quando influenza il sistema dipende, per il suo effetto, da alcune altre parti del sistema, in altre parole, le parti sono inter-dipendenti. Nessuna parte del sistema, o nessun insieme di parti, hanno un effetto indipendente su di esso. Quindi il modo in cui il cuore ti influenza dipende da cosa stanno facendo i polmoni, da cosa sta facendo il cervello. Le parti sono tutte interconnesse; quindi un sistema è un “tutto” che non può essere diviso in parti indipendenti.”

LA PROPRIETÀ DEL “TUTTO”

“Le proprietà essenziali di tutti i sistemi sono proprietà che ha il “tutto” ma che nessuna della singole parti che lo compongono ha. Per esempio, un classico esempio di sistema elementare con il quale siete abituati ad avere a che fare è l’automobile: la proprietà principale di un’automobile è quella di saperti trasportare da un posto all’altro.

Nessuna parte dell’automobile può fare questo.

Le ruote non possono, l’asse non può, i sedili non possono, il motore non può! Il motore non può trasportarsi da solo da un posto all’altro! Ma l’automobile può.

Voi avete alcune caratteristiche tra le quali la più importante è la vita. Nessuna delle vostre parti vive, voi possedete la vita.  Voi potete scrivere, la vostra mano non può scrivere; è facile da dimostrare, tagliatevi la mano, mettetela sul tavolo e guardate cosa riesce a fare! Niente! Voi potete vedere, i vostri occhi no, voi potete pensare, il vostro cervello no.”

IL TUTTO È MAGGIORE DELLA SOMMA DELLE SINGOLE PARTI

E quindi, quando un sistema viene diviso in parti perde le sue proprietà essenziali”

Se dovessi portare un’automobile in questa stanza e smontarla, anche se avessi tutte le singole parti non avrei comunque un’automobile!

Perché il sistema non è la somma dei comportamenti delle sue singole parti, ma il prodotto delle sue interazioni.

MIGLIORARE LE PRESTAZIONI DEL SISTEMA

Se avete un sistema di miglioramento che è diretto a migliorare le singole parti separatamente, potete essere assolutamente certi che la performance del “tutto” NON migliorerà.

La performance del sistema dipende da come le sue parti interagiscono, e non da come agiscono separatamente.

CREATIVITÀ È DISCONTINUITÀ

La creatività è discontinuità! Un atto creativo rompe con la catena che l’ha preceduto. Non è continuo.”

Su questo concetto vorrei esprimere una mia personale considerazione sperando di stimolare qualche riflessione in merito.

Creativo è il giocatore che “rompe gli schemi”.

La creatività non è solo fantasia, non è una dote esclusivamente innata, ma è anche e sopratutto efficacia.

Risolvere problemi attraverso diverse strategie, anche le più stravaganti, questa è la creatività. E va allenata. E il modo migliore per farlo è consentire agli atleti d’interpretare le situazioni, di scegliere, di assumersi responsabilità, di sbagliare.

Creare è rompere con la routine, è “fare diversamente”. Da allenatori riserviamo degli spazi di allenamento per allenare questa caratteristica? 

Se creare è rompere con la continuità, credo che una volte per tutte dovremmo smettere di pronunciare la frase “si è sempre fatto così”.

La frase peggiore, la più stupida, l’espressione più riduttiva e limitata di chi non vuole progredire. Creativo è colui che rompe con la continuità ci dice Ackoff, altro che continuare a fare quello che è sempre stato fatto. 

FARE LE COSE BENE NON EQUIVALE A FARE LA COSA GIUSTA

“Quando noi guardiamo ai modelli di qualità e frequentemente lo facciamo guardando i Giapponesi e cosa hanno fatto con le automobili, non ci sono dubbi che loro abbiano migliorato la qualità dell’automobile. Ma è una tipologia sbagliata di qualità.

Peter Drucker ha fatto una distinzione fondamentale tra “fare le cose bene” e “fare la cosa giusta”. I giapponesi stanno facendo le cose bene, ma stanno facendo la cosa sbagliata. Fare bene la cosa sbagliata non è altrettanto positivo come fare male la cosa giusta.

Voi vedete come le automobili stanno distruggendo la vita urbana intorno a noi. Visitate solo Mexico City o qualsiasi altra delle più grandi città dove trovate grande traffico e il livello di inquinamento è cosi alto che i ragazzi devono essere tenuti a casa da scuola poiché non gli è consentito di uscire fuori di casa a causa dell’intensità dell’inquinamento. E poi noi parliamo della qualità delle automobili che guidiamo.

È un concetto errato di qualità.

La qualità deve contenere la nozione di valore non solo di efficienza.”

di Alberto Pasini

Il basket dei 24 secondi

Il basket dei 24 secondi

Parlando della pallacanestro di area FIBA si possano individuare alcuni turning points, ovvero alcuni cambiamenti regolamentari che hanno notevolmente cambiato il GIOCO.

La conseguenza è che ne sono state modificati gli approcci tecnici e tattici delle varie squadre e giocatori, nonché le strategie nella costruzione delle squadre.

Vediamo…

…quali sono, a mio avviso, quelli più determinanti.

Le modifiche nel tempo
  • 1984 introduzione del tiro da 3 punti;
  • 2004 il passaggio per i campionati FIBA dalla regola dei 30 secondi a quella dei 24 secondi.
    • Infatti, mentre in NBA, dopo un primo periodo in cui non vi erano limiti di tempo per concludere un’azione di attacco, nella stagione 1954/55 si decise immediatamente per i 24 secondi.
      • Nei paesi Europei, ma più in generale in quelli di area FIBA, ci fu prima il limite dei 30 secondi per poi adeguarsi alla regola NBA;
  • 2010 arretramento linea dei tre punti alla distanza di 6,75 mt e modifica delle dimensioni dell’area dei 3 secondi;
  • 2014 reset del cronometro a 14 secondi dopo un rimbalzo offensivo;
  • 2018 l’introduzione del concetto “passo zero”
    • ovvero la possibilità di compiere, in determinate circostanze, un passo senza mettere la palla a terra che non rientri nel conto per il fischio della violazione di passi.

Tralasciando per ora, ne parleremo magari nei prossimi articoli, i significativi effetti degli altri cambiamenti regolamentari (alla lista precedente aggiungerei anche l’introduzione dello “SMILE”).

Le conseguenze del cambiamento del limite di tempo

In queste righe vorrei sottolineare come il cambiamento del limite di tempo per l’azione offensiva abbia influenzato a tal punto la pallacanestro “moderna” da pensare ad un vero e proprio spartiacque!

Le conseguenze sono state diverse e di grande impatto.

Esse hanno riguardato per esempio:

  • la preparazione fisica;
  • la ricerca di giocatori con “nuove” caratteristiche fisiche e tecniche;
  • giochi di attacco più rapidi e più efficaci nei primissimi secondi;
  • difese più aggressive e con un grado di concentrazione più elevato e pronte da subito;
  • la costruzione dei roster delle squadre, in particolare l’utilizzo e l’importanza delle panchine (il cosiddetto SUPPORTING CAST).
Osservazioni personali

Parto proprio da quest’ultimo aspetto per condividere con voi alcune mie riflessioni.

La mia passione per questo sport è nata ben prima del 2004, quando le squadre erano composte da un quintetto base ben definito ed una panchina in cui era facile identificare il sesto uomo.

Quest’ultimo poteva tranquillamente far parte dello starting five, ma uscendo dal “pino” aveva un impatto sulla partita ancora maggiore tale da cambiarla.

Starting five
Foto di cottonbro

Il resto dei panchinari (il roster era di 10 giocatori) era soprattuto giocatori di ruolo (Role Player) con compiti ben specifici, spesso con mansioni chiaramente difensive, con l’obiettivo di far rifiatare il titolare e di supporto anche morale per i primi cinque.

In seguito l’evoluzione della pallacanestro ha influenzato la costruzione del roster.

Con la riduzione di ben 6 secondi per concludere un attacco, si è visto notevolmente velocizzare il gioco con una diminuzione dei tempi di esecuzione sia fisici che mentali, tale da richiedere sforzi più intensi con conseguenti riposi brevi ma più frequenti.

Ecco la necessità di avere 12 giocatori, ma soprattutto aumentare le cosiddette rotazioni e avere un maggior apporto dai giocatori definiti rincalzi.

Nasce anche una vera e propria nuova definizione, quella di “SECOND UNIT”, cioè quintetti che iniziano la partita subentrando, ma che hanno la possibilità di giocare diversi minuti e quindi essere determinanti.

Ovviamente parte tutto da un concetto di tempo ridotto, ma non è solo una questione fisica:

non invadendo competenze altrui, non credo di essere smentito dicendo che i lavori di endurance in pres-season sono stati sempre di più sostituiti da lavori più intensi e anaerobici e da una maggiore attenzione allo sviluppo della resistenza veloce.

Infatti essendo uno sport di situazioni, l’aspetto tecnico ha risentito in maniera importante di questo cambiamento.

Analizziamo più nel dettaglio alcuni effetti

COSTRUZIONE GIOCATORI

In giro per i campi europei, a tutti i livelli, si vedono sempre più dei veri atleti.

Giocatori che potrebbero competere in qualsiasi disciplina di atletica leggera per le loro capacità anche purtroppo a scapito di una tecnica e una conoscenza dei fondamentali non precisa.

Questo è il vero obiettivo dei nostri settori giovanili, ovvero formare giocatori che sappiano abbinare a doti fisiche e atletiche di primo livello una tecnica altrettanto eccellente.

Come?

Prima insegnando in maniera precisa il gesto, aumentando solo in seguito la velocità di esecuzione e di pensiero!

Sì di pensiero, perché il tempo per leggere la situazione e prendere una decisione si è notevolmente accorciato!

Facciamo solo un esempio pratico: Il tiro.

E’ fondamentale avere una tecnica che ci permetta di avere un rilascio della palla efficace ed efficiente, con la palla che esce dalle mani con la giusta rotazione e parabola, con la corretta coordinazione piedi, gambe, braccia e mani.

Ciò è possibile con ripetizioni e una metodologia di allenamento che gli allenatori ben conoscono.

E’ necessario, però, che, una volta acquisita la tecnica, essa venga eseguita in tempi rapidissimi.

  • Quanto tempo ha il giocatore per eseguire un tiro prima di essere ostacolato?
  • E quanto per mettere i piedi “a posto”?
  • Quanti tiri sono effettivamente liberi o senza la pressione del difensore?
  • Quanto tempo ha per decidere il tipo di tiro da effettuare in relazione alla situazione di gioco?

Pochissimo, sicuramente molto meno di quanto ne aveva con i 30 secondi a disposizione per concludere l’azione d’attacco.

Sicuramente ha meno libertà di movimento dovendo affrontare difese più atletiche che riempiono gli spazi molto più velocemente. (Basti pensare ai “CLOSE OUT”).

GIOCHI OFFENSIVI

Prima della variazione regolamentare era norma sviluppare giochi d’attacco nei cui primi secondi c’era soprattutto un movimento di palla non sempre accompagnato da quello dei giocatori, o comunque non tale da creare un vantaggio immediato da poter sfruttare andando a canestro o concludendo.

Il vero pericolo per le difese infatti arrivava negli ultimi secondi dell’azione

“la difesa deve lavorare il più tempo possibile”

Con i 24 secondi c’è stato uno sviluppo di set offensivi che dai primissimi istanti dell’azione permettono di mettere sotto pressione la difesa (concretizzare i vantaggi).

Alcuni consentono di raggiungere una conclusione dopo un solo passaggio e un movimento di un solo giocatore (si vedono sempre più isolamenti), altri hanno obiettivi chiari ed immediati che coinvolgono non tutti gli attaccanti (pensiamo a come nascono diversi pick&roll centrali).

Così come, (per necessità o per “pigrizia” di noi allenatori?), non è inusuale avere diverse chiamate dello stesso gioco a secondo del giocatore che vogliamo coinvolgere limitando, così, al minimo il tempo di esecuzione, ma anche la capacità di scelta dei nostri atleti.

Scelte che potrebbero rallentare l’esecuzione del gioco, con la conseguenza in questo caso, personale considerazione, di un impoverimento della qualità dell’attacco e del giocatore stesso.

Lo SWITCH tra le due fasi del gioco

Con un attacco pericoloso già nei primi secondi, con una ricerca sempre maggiore di attaccare in contropiede, attraverso anche transizioni offensive sempre più efficaci, è fondamentale avere giocatori in grado di passare da una fase all’altra immediatamente.

Da qui l’attenzione per le transizioni difensive e per costruire una mentalità difensiva che non sia passiva, ma anzi permetta di aggredire l’attacco nei primissimi metri del campo (con difese tutto campo, raddoppi, blitz sulla palla…)

In particolare le qualità atletiche di ormai tutti i giocatori, indipendentemente dai ruoli, e i meno secondi a disposizione dell’attacco, permettono di utilizzare cambi difensivi anche tra diversi ruoli.

Molto efficaci per spezzare il flusso in attacco e costringerlo a soluzioni rapide e meno efficaci, condizionato anche dalla SHOT CLOCK VIOLATION.

cambio difensivo
Le cosiddette SPECIAL PLAYS

Per le scelte difensive dette in precedenze, ma anche per gli ulteriori cambiamenti regolamentari (pensiamo il reset ai 14 secondi), non possono mancare nel playbook delle varie squadre quelle situazioni a gioco rotto o quelle rimesse, sia laterali che da fondo, per la ricerca di una conclusione veloce.

Ciò ha permesso una notevole specializzazione per queste chiamate “speciali”.

Conslusione

Il basket per sua natura e per come è stato ideato, è sempre incline ai cambiamenti, avvicinandosi a quelle che sono le richieste di modernità.

Si può tranquillamente affermare che sia uno sport “progressista”.

Così come lo devono essere tutti i suoi attori protagonisti, pronti ad adeguare la propria metodologia di lavoro, come abbiamo visto, sia dal punto di vista atletico che tecnico (non tralasciando il lavoro degli arbitri, a cui è richiesto di adattarsi ad un gioco più veloce e con più contatti).

In particolare con l’introduzione dei 24 secondi, il gioco ne ha sicuramente guadagnato in spettacolarità.

basket prima
da Ufficio Stampa FIP prima partita in Italia di pallacanestro (8 giugno 1919)

Sicuramente risulta essere più moderno e fruibile per un pubblico sempre più alla ricerca della giocata spettacolare e poco amante dei tempi morti.

Possiamo senza dubbio riconoscere e affermare che esista una pallacanestro ante e una post 2004.

di Sergio Luise

Il piacere dello sport

Le qualità per essere speciale

Per l’insegnante, l’istruttore, l’allenatore, l’educatore.
L’autorevolezza

Deve essere la tua prima qualità.

Ti dà credibilità e ti fa diventare un punto di riferimento per i tuoi allievi e ciò che dici, assume per loro un significato di “verità”:

se ne accorgono subito e vedono in te la serietà e ti seguono.

L’autorevolezza diventa progressivamente…

…sicurezza e rafforza la tua personalità che, con il passare del tempo, diventa coerenza, convinzione e capacità di svolgere bene il tuo ruolo all’interno del gruppo.

L’autorevolezza non è autoritarismo, non è “potere”, l’autorevolezza affascina, coinvolge ed emoziona.

Emozionali!

La seconda qualità è la partecipazione.

La tua deve essere una presenza attiva, animata dalla voglia di fare, di fare sempre meglio, di dare e di arricchire.

Emozionare
Foto di Allan Mas

Questa voglia si misura con il desiderio di entrare in palestra, nel campo di gioco, in piscina, con entusiasmo e con la voglia di trasmettere e di coinvolgere: non deve essere una “routine”!

Guardali negli occhi, ti diranno subito di quello che hanno bisogno.

Coinvolgili!

La tua partecipazione è condizionata dal modo di pensare, dallo sforzo di percepire o di far percepire qualsiasi esercizio o gioco in modo:

  • accattivante
  • interessante
  • curioso
  • in una versione sempre nuova,

perché nulla rimane immutato e tu devi coglierne le novità.

La tua partecipazione deve essere anche affettiva e deve esprimere la voglia di trasmettere ciò che sai e che hai raggiunto in anni di studi, di ricerche, di confronti, di approfondimenti e di aggiornamenti.

Il tuo deve essere un “sapere” che si coniuga con la passione e con il piacere di trasmetterlo agli altri.

Il “piacere di insegnare”, nessun lavoro, nessuna professione, senza il “gusto” di compierlo, può risultare gratificante, quindi efficace e proporzionato al gradimento dei tuoi allievi, che lo dimostreranno stando attenti, coinvolti e appassionati a ciò che trasmetti.

La terza qualità è il ruolo, il tuo ruolo.

Ogni ruolo ha una sua liturgia che deve essere mantenuta.

Non ti è concesso di diventare amico dei tuoi allievi.

Coinvolgere
Foto di Anton Belitskiy

Il tuo ruolo è sacro, non è una missione e la sacralità del tuo ruolo è fondata su un sapere razionale, ha un sapore fascinoso, misterioso, perché il mistero rimane dentro il pensiero umano.

Tu non sei il padre dei tuoi allievi, non sei il loro amico, non sei lo psicologo che li deve accompagnare nel cammino della fanciullezza.

Sei un uomo o una donna con l’incarico di fare il direttore d’orchesta dove ognuno degli orchestrali suona il proprio strumento (chi bene e chi male, ma tutti suonano) e tu hai il dovere di accompagnarli e di farli “crescere”.

E ricordati che devi indossare un abito consono alla cerimonia, alla cerimonia dell’insegnamento e dell’apprendimento.

Affascinali!

La quarta qualità è “falli star bene”.

La palestra, il campo di gioco, la piscina devono essere un’oasi di pace, fuori può regnare il caos, ma nella tua palestra e nel tuo campo di gioco devono sentirsi al sicuro.

Deve regnare:

Falli stare bene i tuoi allievi, la palestra, il campo di gioco, la piscina sono un banco di prova per la vita futura e tu puoi solo aiutarli ad essere pronti per affrontarla.

affascinare
Foto di Mary Taylor

Fai capire loro che eccellere costa, imprimi nella loro mente che se vogliono veramente ottenere qualcosa di importante, devono impegnarsi e sacrificarsi.

Accompagnali!

Conclusioni

“Tu devi essere un Insegnante, un Istruttore, un Allenatore, un Educatore “in gamba”, devi lasciare in eredità ai tuoi allievi la gioia di giocare, di divertirsi e la voglia di migliorare!  

Devi saper “leggere” nei loro occhi ciò che desiderano e se sarai in grado, fai diventare lo sport che praticano un’avventura e non una marcia forzata per eccellere.

Devi essere una guida preziosa, cammina accanto a loro, lasciali esplorare, inventare, creare, indagare e……… se sarai stato per loro “speciale”, non ti dimenticheranno mai e sarai ricordato per quello che sei stato e non per quello cha hai loro insegnato”.

di Maurizio Mondoni

Julio Velasco

Non si molla

Regola 1

“La prima regola che io metto è “Non si molla”. Mai.

Possiamo giocare male,…

…possiamo avere una brutta giornata, però non si molla.

Se si molla sono dolori…

Regola 2

La seconda è no alla cultura degli alibi, cioè

attribuire ad altri la responsabilità dei nostri fallimenti.

Regola 3

La terza regola è che l’errore fa parte dell’apprendimento,

Se i nostri figli dicono che il professore ce l’ha con loro non siamo noi a dover stabilire se è vero, piuttosto dobbiamo fargli capire che

bisogna imparare ad avere a che fare anche con chi ce l’ha con te.

Altrimenti succede che il nostro ragazzo non sbaglia mai e la colpa è sempre di qualcun altro.

Se vogliamo proteggerli dandogli ragione e dicendogli ci penso io, il sottotesto è che non pensiamo davvero che possano cavarsela.

Dare fiducia, anche per la loro autostima, vuol dire:

risolvitela da solo, so che puoi farlo.

Essere coraggiosi non significa non avere paura ma saperci convivere, saperla accettare.

Non direi di essere stato uno dei tecnici più grandi ma posso dire di essere uno dei più aggiornati.

Ho sempre cercato di rubare qualcosa.

Dai libri, dai film, dagli altri sport.

Sono un ladro di idee.

Julio Velasco

Accettare di perdere significa sapere perdere.

Invece nei comportamenti prevalenti c’è sempre un colpevole, c’è sempre un motivo:

  • l’arbitro
  • il tempo
  • il fuso orario…

Saper perdere significa non dare la colpa a nessuno, non dire niente…

Ho conosciuto centinaia di atleti.

Alcuni vincenti, altri perdenti.

La differenza?

I vincenti trovano soluzioni. I perdenti cercano alibi.”

di Julio Velasco

Esercizio di libera esplorazione

Esercizi di libera esplorazione: 50 idee

Secondo parte (esercizi di libera esplorazione del n. 26 al . n. 50)

Riprendendo e ripetendo il concetto della prima parte dell’articolo, gli esercizi di libera esplorazione motoria, di seguito elencati, non servono a dare delle risposte.

Ogni soluzione irrigidisce il movimento divergente, sono solo delle proposte che invitano a vedere il proprio corpo in movimento come il pennello di un artista.

Sono pensati per spingere i ragazzi ad ascoltare…

…l’energia dei propri impulsi spontanei profondi in modo da articolarli in movimenti espressivi, visibili e organizzati.

26. La rappresentazione

In circolo, si mette un oggetto al centro del cerchio ed ognuno,  a turno, si relaziona con esso in movimento, ci gioca come vuole:

è importante lasciare libera la fantasia per rappresentarsi l’oggetto in modi diversi.

27. Il sogno in movimento

Ognuno, a turno, racconta con i movimenti il proprio sogno nel cassetto, cosa vorrebbe fare da grande; gli altri devono cercare di indovinarlo.

E’ importante osservare tutte le fasi del movimento e le parti anatomiche che vengono utilizzate maggiormente.

28. Il blocco motorio

Ci si divide a coppie, un ragazzo fa un movimento e poi si blocca in un posizione statica; l’altro risponde a questo movimento, quando si ferma, a sua volta, può ripartire il compagno e così via.

Il mobile e l’immobile

Ogni ragazzo, su invito dell’insegnante, deve prima rappresentare

un oggetto immobile:

  • tavolino
  • sedia
  • spaventapasseri

e poi un oggetto mobile:

  • treno
  • aereo
  • carrello della spesa
  • ecc…

Ognuno deve sforzarsi di cercare soluzioni accettabili.

29. I due schieramenti

Si dividono i ragazzi in due squadre che si dispongono una di fronte all’altra.

Ogni squadra ha, di volta in volta, un capitano che esegue dei movimenti.

I componenti della sua squadra avanzano verso l’altro schieramento compiendo prima tre passi in avanti e poi eseguendo il movimento proposto dal capitano.

L’altra squadra, una volta osservato il movimento, deve rispondere con un’azione motoria eseguita dopo tre passi in avanti che abbia una qualche relazione con quella dell’altro schieramento.

Tutti devono essere capitani almeno una volta.

I due schieramenti imitano poi la danza tipica del popolo Maori, la Haka, resa celebre dalla nazionale di rugby della Nuova Zelanda: gli All Blacks.

30. Un cerchio per terra

Si dispongono a terra tanti cerchi quanti sono i ragazzi, ognuno all’interno del proprio.

Al via dell’insegnante tutti lasciano i propri cerchi e corrono esternamente ad essi, allo stop devono cercare di occupare il cerchio più vicino, nel frattempo ne è stato tolto uno.

Chi resta fuori viene eliminato e viene tolto un altro cerchio fino a quando ce ne sarà uno solo a terra.

31. Un cerchio alla testa

Ogni ragazzo ha un cerchio che fa rotolare liberamente nello spazio motorio.

Al via dell’insegnante ognuno deve lasciare il proprio cerchio e cercare di catturare quelli del compagno quando sono ancora in movimento, prima che cadano a terra, vince chi ne prende di più.

32. La sensazione in movimento

In circolo, l’insegnante dà ad ogni ragazzo un bigliettino sul quale è indicato un movimento, una sensazione da vivere, poi invita singolarmente i ragazzi a sentire quel movimento.

Le situazioni possono essere, ad esempio:

cammina come se fossi…

  • su un bel prato fiorito
  • sul ciglio di un burrone
  • su un campo minato
  • su un terreno pieno di chiodi
  • sulle uova
  • su una superficie elastica
  • sulle sabbie mobili
  • su un asse di equilibrio…

E’ importante che i ragazzi si immedesimino nella sensazione, vivano il movimento.

Ogni sensazione parte dall’interno e poi si manifesta.

E’ fondamentale imparare ad ascoltare il proprio corpo e le emozioni.

Quasi sempre siamo “sconnessi” e i pensieri ci impediscono di sentire quello che proviamo nel profondo di noi stessi.

33. La scelta

L’animatore dà ad ogni ragazzo un foglietto sul quale c’è scritta una cosa da fare e tutti eseguono i movimenti suggeriti.

In una seconda fase ognuno, osservando gli altri, deve scegliere qualcuno che può avere una qualche relazione con il suo movimento.

Ad esempio, se su un foglietto c’è scritto “rospo” e su un altro “rana” si dovrebbe formare la coppia.

E’ interessante notare i rapporti che si vengono a creare dove non c’è una precisa e scontata relazione.

34. L’interessamento

Ci si divide a coppie.

Uno dei due partner delle coppie, con cinque movimenti, deve cercare di interessare l’altro che l’osserva.

Si possono utilizzare attrezzi codificati e non.

Se scatta l’interessamento i due ragazzi si relazionano con quei movimenti.

Si scambiano poi i ruoli.

Se una coppia non trova stimolante nessun movimento costruito nel suo interno può inserirsi nei movimenti di un’altra coppia e relazionarsi con essa.

In questo modo si crea una relazione ed interazione espressiva con l’altro ed il gruppo.

35. Il marchingegno

In circolo, un ragazzo va al centro ed esegue un movimento automatico che ripete in continuazione.

Uno alla volta gli altri ragazzi possono inserirsi in questo movimento cercando di essere funzionali al marchingegno e ai suoi specifici ingranaggi.

Si può accompagnare ogni movimento con un suono o una parola.

Ognuno trova un’armonia tra il proprio sentire, pensare ed agire con quello dell’altro per costruire insieme la fantastica macchina.

36. L’intruso

In circolo, con gli occhi chiusi, ognuno si muove liberamente nello spazio.

L’animatore tocca sulla spalla un ragazzo che da quel momento deve compiere l’azione indicata su di un foglio.

A questo punto tutti possono aprire gli occhi e sempre muovendosi devono, cercare di capire chi sta eseguendo l’azione diversa e cosa sta rappresentando.

37. Il suono del silenzio

A coppie, uno con gli occhi chiusi, l’altro che lo guida parlandogli.

Appena finisce di parlare, il compagno deve fermarsi e, per ripartire, deve sentire solo la voce della sua guida.

E’ importante la modulazione dell’uso della voce.

38. La guida

Ci si divide in coppie.

Un ragazzo ha gli occhi bendati e l’altro lo guida nello spazio scegliendo:

  • un suono identificativo
  • una parola
  • un verso di animale
  • il nome del compagno
  • ecc…

Successivamente il ragazzo bendato rimane fermo e il compagno che lo guida si allontana da lui, poi, ad una certa distanza, ripete il suono identificativo in modo che possa essere raggiunto.

39. I diversi materiali

I ragazzi con gli occhi bendati devono immaginare di entrare in particolari spazi contenenti materiali diversi, ad esempio:

  • miele
  • piume
  • mattoni
  • fiori
  • ecc…

Poi, sempre con gli occhi bendati, si entra nella stanza dei segreti, dove si riconoscono gli oggetti smarriti esclusivamente attraverso il tatto.

40. La strada da percorrere

I ragazzi bendati vengono invitati a camminare lentamente nello spazio, a trovare un punto preciso dove rivivere una loro sensazione.

Essi devono cercare di ricordarsi:

  • il posto
  • lo spazio significativo
  • le persone con cui stavano
  • il vestito che indossavano
  • i colori
  • i suoni
  • il profumo dell’aria
  • le parole dette e quelle pensate.

La creatività può percorrere anche la strada del passato.

In questo caso esso viene arricchito con il nostro nuovo essere e viene modificato e reso attuale aprendo le ragnatele del nostalgico ricordo.

41. Il racconto

L’animatore legge un racconto di situazioni particolari:

è una bella giornata.

C’è il sole, inizia a piovere, piove a catinelle, fa freddo.

Si forma una grande pozzanghera di acqua che si trasforma in una lastra di ghiaccio.

Scivoli su un sentiero pieno di fango, sassoso, cosparso di carboni ardenti, di lame taglienti.

Il passo diventa incerto, ecc…

Ogni ragazzo deve mimare un modo di andare avanti nel percorso immaginando di vivere le diverse sensazioni.

Si stimola l’attenzione alla storia e la coordinazione tra le varie sequenze narrate.

42. Il mestiere

I ragazzi devono far indovinare attraverso gesti mimici un tipo di lavoro ai compagni.

I vari mestieri individuati poi si mettono insieme se tra di loro si riesce a trovare un legame professionale.

Alcuni lavori potranno essere anche caricaturizzati accentuando il loro lato ripetitivo.

43. La drammatizzazione

In circolo, un ragazzo va al centro e improvvisa una drammatizzazione.

I compagni cercano di capirne il significato, poi, nella fase di verbalizzazione fanno domande come:

  • Chi eri ?
  • Cosa stavi facendo ?
  • Dove ti trovavi ?

In questo modo, il ragazzo che ha eseguito l’improvvisazione prende maggiore consapevolezza di quello che ha fatto.

Quando gli viene chiesto di ripetere la drammatizzazione è in grado di stare più attento alla successione dei movimenti.

Si promuove l’apprendimento cooperativo.

44. Il minollo

Sperimentare diversi modi di muoversi.

Ad esempio, quando si cammina provare a farlo:

  • sulle punte
  • sui talloni
  • sulle parti esterne dei piedi
  • con le anche alzate, lateralmente
  • all’indietro, rimbalzando
  • come un uomo primitivo
  • come un animale inventato da ciascun partecipante

tipo:

  • il minollo
  • il coccobrillo
  • il coccodrillo ubriaco
  • il canguro saltapasti
  • l’ornitorinco laringoiatra.

Si stimola, in questo modo, la fantasia dei ragazzi.

45. Il senso dell’umorismo

Osservare alcuni filmati dei grandi comici come Charlot e Totò e cercare di imitare i loro buffi movimenti.

Per esercitarsi all’umorismo basta entrare in una classe di bambini e fare tutto quello che ti dicono di fare.

Si entra così nel loro gioco, nel loro racconto per poi farlo evolvere inserendo le proprie conoscenze.

Il racconto può diventare anche molto comico.

46. Cambiare gioco

Sentire come si trasforma un movimento passando da uno stato all’altro.

Ad esempio immaginare di giocare a pallavolo con un compagno e poi, improvvisamente, con lo stesso pallone, cambiare disciplina sportiva.

47. Abbattere i muri

I ragazzi formano un muro con i loro corpi all’impiedi tenendosi uniti molto stretti, senza lasciare spazi.

Da una parte e dall’altra del muro ci sono due ragazzi che devono tentare di comunicare tra loro.

Il muro cerca di ostacolare in tutti i modi questa comunicazione.

Questo esercizio facilita lo sfogo delle emozioni represse, trasformandole con l’aiuto del compagno.

48. La meta

I ragazzi partono da un punto dello spazio e devono arrivare ad un altro stabilito in precedenza dall’insegnante.

Ogni ragazzo deve cercare di farlo camminando su due piedi avendo la possibilità di guardare in avanti in modo da fissare la meta.

Si invita a riflettere che la nostra attività più spontanea, il camminare guardando in avanti, in realtà, è una grande conquista evolutiva dell’umanità.

Gli animali stanno curvi e guardano il suolo, l’uomo ha un viso “volto” verso l’alto.

49. Collegare i movimenti

In circolo, due ragazzi vanno al centro ed eseguono due movimenti liberi.

Gli altri ragazzi, dal posto, devono cercare di legare i due movimenti.

Se qualcuno trova una valida soluzione va la centro e cerca di collegarli.

Si stimola l’improvvisazione.

50. Il gioco di movimento

Dare ad ogni ragazzo due attrezzi diversi ed invitarli a creare con questi attrezzi un gioco di movimento.

Il gioco è utile per dare forma, corpo, suono al proprio immaginario.

Ed infine l’ultimo esercizio.

Il più semplice ma probabilmente anche il più efficace:

trovare durante la giornata mezz’ora per camminare all’aria aperta possibilmente in compagnia.

Ascoltare la natura e parlare con un amico guardandolo negli occhi oltre a stimolare il pensiero e la memoria permettono l’unione del movimento e della creatività.

Per la prima parte dell’articolo (esercizi dal n. 1 al n. 25): cliccare qui

LA REDAZIONE

di Pasquale Iezza

Lo sfondo integratore

LO SFONDO INTEGRATORE

Lo sfondo integratore è la migliore applicazione della didattica enattiva nella scuola dell’infanzia.

Ribalta la dinamica insegnamento – apprendimento in quanto pone lo studente nella condizione psicologica  di dover capire per poter prendere parte alla vita della sezione o della classe.

La motivazione ad apprendere non è attivata e supportata da premi o da castighi, ma dalla necessità di crescere insieme ai…

…compagni e, soprattutto,  con l’immagine adottata come sfondo.

Di solito si sceglie un personaggio fantastico che proviene dal mondo della fiaba, della fantascienza o della tradizione popolare.

Io ho scelto un giocatore di calcio fantastico:

Pelè e la sua ginga.

Organizzazione e scenario

Organizziamo la classe come un pianeta a forma di palla che ci contiene tutti e dove possiamo ammirare come nel mondo che ci sostiene i magnifici tramonti, annusare il profumo dei fiori e apprezzare la bellezza di un arcobaleno.

In un piccolo punto della Terra, alla periferia del mondo è nato Pelè, un vispo bambino brasiliano.

A lui piaceva giocare con la palla, fatta arrotolando stracci o fogli di carta, ogni bambino è invitato a costruire il suo pallone  appallottolando alcuni fogli di carta colorati.

Descrizione

Ogni pallone verrà scambiato perché Pelè non era egoista ma gli piaceva passare la palla.

Dopo aver esplorato la dinamica dei movimenti, quando si cammina, si accelera, quando si sta fermi o a riposo, si passerà a disegnare il protagonista.

L’insegnante leggerà lentamente la sua storia, ogni parola sarà scandita, quasi sillabata.

Si passerà poi ad osservare le illustrazioni del libro confrontandole con i disegni dei bambini. 

Una volta letto tutto il racconto le parole saranno riviste e analizzate, per consentire a ciascuno di decodificarle.

Si potrà  giocare con il suono e il tono della voce e saranno mimati tutti i movimenti della palla, per tradurre quelli poco comprensibili, alla ricerca dello stile ginga, l’azione tipica dei calciatori che sembrano danzare con la palla attaccata al piede.

Ogni bambino deve individuare le informazioni principali:
la ginga di Pelè da sportmagazine.it
  • chi (il personaggio),
  • che cosa fa (le sue azioni),
  • quando (in che tempo),
  • dove (in quale luogo)
  • perché (per quale motivo)”.
Mimo e drammatizzazione

La storia sarà successivamente mimata e drammatizzata, riconoscendo la fondamentale valenza comunicativa di queste modalità di apprendimento, che si aprono, trasversalmente, all’educazione motoria, all’organizzazione spazio-temporale, all’equilibrio delle forze ed al rispetto degli altri.

Ampio spazio sarò dato alle sensazioni, alle percezioni, alla riproduzione di semplici sequenze ritmiche.

Le attività manuali

Di fondamentale importanza anche la fase di rielaborazione attraverso le attività manuali, prima libere e poi in forma guidata, con l’impiego di materiali diversi:

  • pasta di sale,
  • creta,
  • cera,
  • di riciclo creativo

per agevolare la riproduzione del personaggio nelle diverse fasi del suo gioco con la palla.

Conclusione

Le avventure del grande calciatore daranno colore, così, a tutte le fasi del processo di apprendimento che è partito dalla conoscenza del proprio corpo per arrivare alla rappresentazione mentale, attraverso:

grande calciatore
Foto di Sides Imagery
  • la manipolazione e riproduzione dei movimenti della palla,
  • la gestione dello spazio e del tempo in relazione con gli altri,
  • l’analisi dei significati,
  • la riproduzione grafica,
  • l’interiorizzazione dell’esperienza,
  • la modifica dei comportamenti
  • la costruzione di nuove modalità di movimento con lo stile di gioco ginga.

Si può configurare, in sintesi, una esperienza completa che

ciascun gruppo di docenti vivrà come una stimolante “unità di lavoro”.

di Pasquale Iezza

200000 utenti per trainingconcept.it

Siamo “200000”

Ringraziare, chi sta seguendo il nostro blog in completo silenzio, chi con numerose email, chi semplicemente contribuendo con delle proposte, chi mostrando dissenso su alcuni concetti, non sarà mai abbastanza.

Siamo…

…ufficialmente arrivati a 200000 visitatori con articoli letti, in media, da più di 120000 naviganti.

Un ulteriore e sentito ringraziamento va a chi spende un po’ del suo tempo per pensare, scrivere, modellare il proprio articolo a beneficio di tutti e sposando in pieno la finalità della piattaforma.

Ci auguriamo di tramutare, un giorno, i 200000 visitatori in potenziali autori di altrettanti articoli a favore dell’istruzione, della formazione e della condivisione.

Colgo l’occasione di rispondere a chi, tramite email e messaggi privati, ha chiesto di aumentare le uscite settimanali.

Come già scritto in passato “il rallentamento delle uscite ci è stato consigliato dalla legge del web” che ci suggerisce:

”la qualità non deve essere mai superata dalla quantità”.

Un’idea, invece, è quella di riproporre, attraverso i canali social a giorni alterni, gli articoli che la piattaforma archivia, per farli rivivere, rileggere o semplicemente per permettere a nuovi utenti di usufruirne.

Il mio augurio, ed invito, rimane sempre quello di continuare ad invadere la nostra email con suggerimenti, nuovi argomenti nonché complimenti ma soprattutto:

inviate articoli da pubblicare e condividere con chi segue assiduamente il nostro blog.

Grazie, grazie ancora alla nostra comunità che oggi si arricchisce di 200000 utenti!

di Tiziano Megaro

Specificità e contesto

SPECIFICITÀ E CONTESTO-VISIVO

UN ESEMPIO DAL BASKET

In questo articolo vorrei portare in evidenza un concetto molto interessante sviluppato da alcuni autori riguardo alla specificità degli apprendimenti, ovvero quello dell’ipotesi del contesto-visivo.

Dopo una breve introduzione sul concetto di percezione visiva legata al movimento andremo ad analizzare uno studio interessante proposto dal gruppo di ricerca di A. Schmidt  presso l’Università della California a Los Angeles e pubblicato sul Journal of Sport and Exercise Psychology nel 2008.

Introduzione

Quando si parla di specificità si affronta un argomento molto complesso che richiede l’analisi di diverse componenti del movimento.

Frans Bosch definisce la specificità di un movimento (che poi si riflette nella sua trasferibilità) su cinque dimensioni, una delle quali riguarda quella percettivo-sensoriale.

Frans Bosch
Frans Bosch foto da: blog.performancelab16.com

All’interno di questa dimensione ritroviamo la percezione propriocettiva delle forze, delle posture, dei movimenti, e anche la percezione dell’ambiente circostante.

L’ambiente circostante è caratterizzato da due tipologie di informazioni.

Le “vuote” che devono essere processate dal cervello per far si che acquisiscano di significato.

Quelle che invece possiedono già un significato e sono percepite grazie a quella che viene definita “percezione diretta”, attraverso processi automatici ed inconsapevoli.

LA VIA DEL COSA E LA VIA DEL DOVE

Le visualizzazioni di oggetti che devono essere convertite in percezione nel cervello vengono solitamente definite “il cosa” del processo d’informazione.

Questa via ci consente di riconoscere gli oggetti attraverso il flusso ventrale della corteccia visiva.

Oltre al “cosa” esiste anche “il dove” dell’informazione, l’informazione del movimento, che invece è processata dal flusso dorsale della corteccia visiva.

Quello che sorprende è quanto le due vie siano effettivamente separate.

Il “cosa” dell’informazione viaggia lungo la via parvocellulare, mentre quella del “dove” lungo quella magnocellulare.

Il risultato di questa distinzione nelle vie del processo è che vi sia una significativa differenza tra i due flussi d’informazione.

Il “cosa” dell’informazione viene percepito consapevolente, mentre questo è in parte impossibile nel caso del “dove” dell’informazione, che è processato inconsapevolmente. (F.Bosch)

La via del “dove” è ultimamente conosciuta anche come la via del “come”.

Un termine che enfatizza la forte correlazione tra le informazioni visive sul movimento e la progettazione del movimento automatizzato controllato inconscio.

LE INFORMAZIONI DELL’AMBIENTE CHE GIÀ INCLUDONO LE INFORMAZIONI

Il cuore della teoria della percezione-diretta (J. Gibson) riguarda il fatto che nel “flusso ottico”:

il complesso spostamento della luce nel campo visivo come risultato del movimento relativo

è già incluso il significato della percezione.

Quindi non necessita di un ulteriore sforzo del cervello per processare l’informazione, creando una connessione diretta tra la percezione e l’azione.

(Teoria delle affordance: Leggi l’articolo ALLENARE LE AFFORDANCES su www.tss.academy) .

Proprio come il “dove” dell’informazione, la percezione-diretta dell’informazione è principalmente processata inconsapevolmente.

LO STUDIO DI SCHMIDT

Pubblicato nel 2008 sul Journal of Sport and Exercise Psychology dal titolo: “Especial Skills: Specificity Embedded Within Generality”

Questo articolo affronta lo spinoso e sempre molto acceso confronto tra il concetto di generalità e specificità nelle teorie dell’apprendimento e del controllo motorio.

Da sempre esiste questa dicotomia tra le teorie che sostengono l’esistenza di modelli generali di movimento.

Possibile poi attingere per lo sviluppo di abilità più specifiche, e le teorie che invece identificano nella specificità il processo migliore per l’acquisizione di abilità.

Nella parte iniziale dello studio vengono presentate due ricerche effettuate su giocatori di basket che identificano una caratteristica molto importante dell’apprendimento:

la specificità del contesto che determina i comportamenti.

Ricerca 1

La prima ricerca è stata effettuata su giocatori maschi della NCAA (Schmidt, Lee, & Young, 2005) e consisteva nel farli tirare a canestro da distanze sempre maggiori, comprese tra 9 e 21 piedi.

La tipologia di tiro che veniva richiesta era quella che prevedeva entrambi i piedi a terra, tipica del gesto del tiro libero.

L’ipotesi di partenza era che all’aumentare della distanza sarebbe aumentata la percentuale di errore, ed in effetti questo si verificò puntualmente.

L’aspetto interessante della ricerca è che alla distanza precisa di 15 piedi, quella del tiro libero (gesto tecnico molto ripetuto nel gioco del basket poiché previsto dal regolamento) il valore ottenuto si discostava da quella che era la previsione attesa.

Dimostrando un valore “anomalo” rispetto alle altre distanze che invece rispettavano la predizione (vedi figura 1).

Perché succede questo?

L’ipotesi degli autori fu quella appunto di un adattamento specifico a quel tipo di gesto, grazie alle innumerevoli ripetizioni effettuate durante la quotidiana pratica della disciplina.

Figura 1. Immagine tratta da: “Especial Skills: Specificity Embedded Within Generality” A.Schmidt, 2008
Ricerca 2

La seconda ricerca presentata nella prima parte dell’articolo (Keetch et al., 2005) fu condotta invece su giocatrici femmine sempre di alto livello in cui gli autori, sulla base dei risultati del precedente studio.

Volevano verificare se al variare della tipologia di tiro, in questo caso inserendo un salto durante l’esecuzione, si verificasse la stessa cosa vista precedentemente.

Ripeterono quindi l’esperimento facendo tirare le giocatrici sia in modalità “tiro libero” che in modalità “tiro in sospensione”.

Nella figura 2 notate quello che si è verificato.

Solo nella modalità di esecuzione con i piedi a terra si verificò nuovamente questa differenza rispetto alla predizione.

Dimostrando un’altra volta la specificità di questo apprendimento che solo se eseguito in quel preciso modo manifestò un risultato maggiore grazie alle numerose volte che è stato praticato.

L’inserimento di una variazione come quella del salto impedisce alle giocatrici di attingere a quello specifico apprendimento e sfruttare l’abilità speciale del tiro dai 15 piedi.

Figura 2. Immagine tratta da: “Especial Skills: Specificity Embedded Within Generality” A.Schmidt, 2008
CHE FINE HA FATTO IL MODELLO GENERALE DI MOVIMENTO?

Capite bene che questi risultati rendono difficile la vita a tutte quelle teorie che tendono a considerare l’esistenza di un modello generale di movimento dal quale poi si specializzino alcune forme di esso.

In questo caso la dimostrazione del fatto che una semplice variazione, come la presenza di un salto durante il movimento, abbia di fatto annullato “l’esperienza” di quella specifica tipologia di tiro.

Ci porta a considerare molto difficile la trasferibilità tra due gesti diversi, anche solo per qualche dettaglio, figuriamoci per quelli molto diversi tra loro.

Se esistesse uno schema di movimento generale del “tirare a canestro”, o addirittura semplicemente del “lanciare” diventerebbe difficile spiegare i risultati appena mostrati.

Questi risultati suggeriscono che anni di pratica sulla linea del tiro libero:

  • producono un’abilità che ha uno specifico vantaggio di controllo del movimento a quella particolare distanza
  • fornisce poco o nessun vantaggio rilevabile per qualsiasi altra distanza
    • indipendentemente dalla sua vicinanza alla linea di tiro libero.
L’IPOTESI DEL CONTESTO VISIVO

Ora le spiegazioni potrebbero essere due sul perché si sia manifestato questo specifico apprendimento.

Una che potremmo definire “ipotesi dei parametri appresi”, ovvero il fatto che gli atleti avendo ripetuto molte volte in carriera questo gesto specifico abbiano imparato esattamente la gestione dei parametri di movimento per eseguirlo al meglio:

  • quantità di forza,
  • velocità della palla,
  • velocità di estensione delle braccia,
  • grado di flessione delle ginocchia, ecc…

L’altra spiegazione invece la definiamo “ipotesi del contesto visivo”, ovvero il fatto che questo specifico apprendimento dipenda dall’aver sviluppato una comprensione del contesto estremamente precisa riguardante quindi:

  • la presenza del tabellone,
  • l’angolo di visuale rispetto al canestro,
  • tutto quello che riguarda la visione da quella specifica distanza in quel punto specifico del campo da basket.
Come fanno gli autori a stabilire quale delle due ipotesi sia la più probabile?

Conducono uno studio in cui a delle giocatrici di basket di alto livello viene chiesto di tirare a canestro dalla distanza di 15 piedi:

ma da diverse angolature, non solo da quella del tiro libero (90° rispetto al canestro).

Le giocatrici dovranno tirare a canestro da:

  • 3 angolature diverse a sinistra dal canestro
    • (45°, 60°, e 75°)
  • tre angolature diverse a destra dal canestro
    • (105°, 120°, e 135°)

Se fosse confermata l’ipotesi dei parametri appresi non si dovrebbero registrare differenze poiché essendo la distanza la medesima, anche i parametri restano gli stessi.

Se fosse invece confermata l’ipotesi del contesto visivo dovremmo aspettarci dei risultati diversi poiché a quelle angolature cambierebbero le informazioni visive percepite dalle giocatrici durante l’esecuzione del tiro.

I risultati sono mostrati nella figura 3.

Soltanto nella posizione dei 90° rispetto al canestro, quella cioè specifica del tiro libero nel basket si registra un performance migliore di quella predetta.

Dimostrando come non sia esistente di per sé un’abilità legata ai parametri del movimento (aver appreso quanta forza, quale velocità, ecc) ma invece un’abilità estremamente legata alla posizione in campo ed alle informazioni disponibili da quella specifica posizione.

Figura 3. Immagine tratta da: “Especial Skills: Specificity Embedded Within Generality” A.Schmidt, 2008
CONCLUSIONE

Questo studio ci da conferma di quanto nella matrice di specificità sia presenta una dimensione di carattere percettivo-sensoriale.

Quando vogliamo allenare qualcosa di “specifico” non possiamo non considerare il contesto nel quale stiamo riproducendo quel gesto.

Non possiamo non considerare le informazioni visive a disposizione dell’atleta come un elemento fondamentale dell’apprendimento.

Non esistono lavori specifici fatti in zone di campo diverse da quelle reali, con distanze diverse da quelle reali, in posizioni di campo diverse da quelle reali.

La dimensione di specificità ci obbliga a definire “specifico” soltanto ciò che

il più fedelmente possibile rispecchia le richieste a cui il giocatore è sottoposto durante la performance.

di Alberto Pasini

Superallenamento e riposo

Periodizzazione, superallenamento e riposo…

…ma programmato

L’importante nell’allenamento, ciò di cui l’atleta ha bisogno, non è solo l’attività sul campo e l’impegno fisico.

Per sostenere la filosofia dell’allenamento totale si ha la necessità, di considerare il riposo, una buona dieta ed una mentalità rivolta al raggiungimento di un’eccellente forma fisica.

Perché il corpo di un’atleta possa ricevere…

…benefici completi da un programma di allenamento, bisogna concedergli un adeguato riposo e un’ampia possibilità di recupero.

Non soltanto il riposo tra specifici esercizi all’interno di una seduta di allenamento, ma il riposo tra intere sedute di allenamento e quello tra fasi di allenamento (stagioni).

Per riposo non intendo riferirmi semplicemente al sonno, sebbene da 7 a 8 ore di sonno “notturno” sono caldamente raccomandate per la maggior parte degli atleti.

Il riposo

Il riposo riguarda anche quei giorni in cui non ci si allena, ci si allena ad intensità molto bassa o in modo piuttosto ibrido.

riposo

Ogni volta che si consente ad un sistema di energia o a un gruppo di muscoli altamente sollecitati di rilassarsi, ci si sta rilassando.

Bisogna sempre ricordare che l’adattamento fisico allo stress avviene durante il riposo.

E’ durante il riposo che il corpo si ricarica in preparazione ad uno sforzo successivo.

Così un adeguato riposo consente all’effetto dell’allenamento di essere “ottimizzato”.

Se si è dei fanatici dell’allenamento e non si permette al proprio corpo di recuperare tra le varie sessioni di allenamento:

si sperimenteranno spesso delle stasi e persino un declino del livello del proprio allenamento.

Come evitare queste battute d’arresto?

Non basta svolgere una lunga sequenza di esercizi ogni giorno, ma bisogna valutare l’efficacia di ogni esercitazione alla ricerca di eventuali sintomi di superallenamento.

Sottolineare quanto sia importante mantenere sotto controllo certi segnali, come la difficoltà a recuperare dopo una sessione di allenamento particolarmente dura, è di una importanza estrema.

I sintomi più evidenti sono:

  • irritazione muscolare che continua oltre le 48 ore dopo l’esercizio;
  • dolore cronico alle articolazioni;
  • sonno agitato e/o stanchezza dopo il sonno;
  • cambiamenti notevoli nelle normali funzioni del corpo;
  • mancanza di motivazione.

Se si nota qualcuno di questi, bisogna modificare:

  • l’intensità
  • la durata
  • la frequenza degli esercizi

e continuare ad osservare qualunque cambiamento.

In seguito a sedute di superallenamento è necessario inserire, in un programma di allenamento, un giorno o due alla settimana esclusivamente dedicati al riposo. 

Nel programma di periodizzazione è assolutamente previsto un paio di periodi di riposo “attivo “ che seguono la stagione pre – agonistica e la stagione regolare (o post – agonistica)

La periodizzazione
periodizzazione

E’ il programma pianificato di allenamento di un atleta o di una squadra durante tutto l’anno che culmina in un ottimale livello di condizionamento atletico o in una buona prestazione complessiva in un periodo prestabilito della stagione.

Nello specifico nel basket, che è uno sport in cui ogni partita conta, un allenamento stagionale teso a raggiungere il culmine della forma nei play – off, non è realistico.

Perciò un piano sistematico di allenamento fornisce delle variazioni:

  • Nell’ Intensità di allenamento (gradi di difficoltà dell’esercizio; la qualità del lavoro);
  • Nel volume (la quantità di lavoro);
  • Nella tecnica (abilità specifica al basket e capacità atletiche)

Le variazioni sono attuate per massimizzare l’effetto dell’allenamento e le prestazioni altamente positive.

Manipolando queste variabili, compreso l’allenamento della forza, è possibile preparare un piano efficace per la stagione da iniziare.

di Tiziano Megaro

Animazione e movimento divergente

Animazione al movimento divergente

Una corretta educazione al movimento divergente non mira a far correre il più velocemente possibile o a saltare il più in alto possibile ma…

…tende a sviluppare tutte le possibilità motorie della persona sin dalla sua infanzia migliorando le sue capacità relazionali, espressive e creative e avvicinandola al sentire le proprie emozioni.

Iniziare un’educazione in questo senso implica la massima autonomia di sperimentarsi in movimento, in modo che aumentino i propri vissuti motori, si delinea così l’attuale corpo in movimento.

L’immensità del bambino

Ogni bambino è un universo, ricco di:

  • curiosità,
  • idee,
  • interessi,
  • movimenti,

che va ascoltato singolarmente per fargli scoprire l’armonia tra il suo sentire, pensare e agire.

La voglia del bambino di esprimersi creativamente stimolerà le sue energie interiori.

L’ambiente in cui vive favorisce o inibisce questo processo.

Il secondo ambiente dopo il corpo di cui bisogna avere cura è il quartiere in cui si risiede che dovrebbe avere uno spazio attrezzato e vigilato dove i bambini possano giocare e socializzare.

Non si tratta di dare una verniciatura alle vecchie facciate ed un’aggiustatina generale, ma di cambiare completamente il rapporto con l’esterno valorizzando la strada.

La finalità dei giochi tradizionali

Il recupero dei giochi tradizionali di quartiere ha una grande valenza educativa, il bambino diventa protagonista attivo della sua città.

Nei quartieri soffocati dal cemento, dove ci sono palazzi addossati l’uno all’altro, dove non c’è luce, si ha un maggiore tasso di delinquenza. Il sorriso che il gioco regala è un antidoto contro l’aggressività.

Nell’educazione alla creatività, oltre a consegnare il gioco ai bambini, bisogna costruire loro anche un ambiente dove possano praticarlo.

Le finalità degli esercizi sono:
  1. arrivare a sentire il proprio corpo, a saperlo ascoltare
  2. acquisire naturalezza e spontaneità nel movimento
  3. ritrovare la spensieratezza e il divertimento nel giocare con gli altri
  4. migliorare le capacità relazionali con se, con lo spazio e con il gruppo
  5. esplorare le potenzialità espressive e creative.

Il laboratorio per il movimento divergente inizia con alcuni esercizi di libera esplorazione che stimolano l’organizzazione del sistema nervoso centrale.

La libera esplorazione

La cosa importante da fare è evitare forzature ed esercizi obbligati, ma è necessario lasciare il corpo libero di esplorare tutte le possibilità motorie, di trovare attraverso libere prove ed errori il suo adattamento migliore.

La finalità è portare verso l’esterno il proprio mondo interiore, è questo il significato della parola “espressione”. 

La libera esplorazione è una risposta del proprio corpo agli stimoli dell’ambiente, si sperimenta il modo in cui gli oggetti entrano in rapporto tra loro e già in questa fase si ha subito creatività.

E’ evidente che ognuno vede e sperimenta le relazioni in modo diverso ed originale rispetto ad un altro:

è fondamentale partire dal movimento spontaneo come è pure importante educare al rispetto dello spazio motorio dell’altro.

libertà di esplorazione
libera esplrazione

Agli esercizi di esplorazione motoria vanno associati poi quelli percettivi, di interiorizzazione del proprio corpo.

Il raffinamento percettivo arricchisce il rapporto con gli altri linguaggi espressivi.

Il corpo è la nostra casa farmaceutica su misura, è il primo ambiente salutare in cui siamo inseriti, una casa definitiva, non in affitto, è l’ambiente più adatto che madre natura ha dato ad ognuno di noi.

Questa casa va rispettata, curata, conosciuta, ma soprattutto rispettata senza accanirsi in complicate ristrutturazioni.

Educazione alla creatività motoria

L’educazione alla creatività motoria deve realizzarsi da subito considerando che nei primi otto anni di vita il cervello è in grado di assorbire nel migliore dei modi, senza sovrastrutture e meccanismi di difesa, le stimolazioni provenienti dall’ambiente esterno.

Nel bambino fino ad otto anni germogliano nuove fibre nervose nella corteccia frontale, che pianificano le azioni.

Questo permette ai neuroni di creare nuove connessioni e di sperimentare la loro flessibilità.

Tutti sono naturalmente predisposti ad essere creativi, ma per poterlo diventare veramente è bene esercitarsi in modo da svegliare i neuroni assopiti ed attivare così nuovi collegamenti cerebrali.

Le animazioni che stimolano la creatività motoria sono infinite, importante è cambiare spesso attività e provare nuove situazioni suggerite dal gruppo classe.

Il cerchio

Proprio per ascoltare tutti è necessario stare spesso in cerchio.

Il cerchio ha un valore fantastico perché in esso si ha la possibilità di osservare ognuno e di trasmettere agli altri le tensioni creative che si vivono.

L’approccio al movimento si sviluppa attraverso il gioco, la musica e il divertimento.

Conclusione

Per iniziare gli esercizi-gioco bisogna imparare a vedere la realtà non dando niente per scontato.

Dobbiamo pensare che i nostri movimenti non sono solo quelli che ogni giorno meccanicamente ripetiamo, ma che ce ne possono essere altri.

Impariamo a scarabocchiare i nostri movimenti e vediamo cosa ne esce fuori; molte opere d’arte sono nate così.

La cosa importante è pensare con i propri pensieri ed agire con i propri movimenti.

Appuntamento al prossimo articolo! Il prof. Pasquale Iezza proporrà più di 50 esericizi di libera esplorazione.

trainingconcept.it

di Pasquale Iezza

Competenze non cognitive

LA SCOPERTA DELL’ACQUA CALDA NELLA SCUOLA ITALIANA

Le “competenze non cognitive” diventano didattica!

Cosa significa che le “competenze non cognitive” diventano didattica?…

…Significa che finalmente nelle scuole italiane si insegnerà come gestire:

  • lo stress,
  • l’empatia,
  • il pensiero critico e creativo

ndr:

finalmente!!!???

Le competenze NON COGNITIVE

Sì del Senato alla proposta di legge che abilita all’utilizzo e alla valorizzazione delle “competenze non cognitive” in ambito scolastico.

E’ una proposta inclusiva che valorizza le competenze extradisciplinari, con l’obiettivo di incrementare le

“life skills”:

ndr:

Ovvero le abilità che portano a comportamenti positivi e che rendono l’individuo capace di adattarsi, di far fronte in maniera efficace alle sfide della vita di tutti i giorni.

A parte il fatto che molti Insegnanti (quelli bravi!) hanno già “in tasca” le “competenze non cognitive”.

Queste competenze se le sono fatte attraverso le conoscenze, con l’esperienza, con l’umiltà, con la perseveranza, frequentando Convegni, Forum e Corsi di formazione, anche perchè si sono accorti che non basta la laurea.

Le domande

Ma scusate un Insegnante “formato”:

ndr:

sic!

  • In Università non dovrebbe già essere in grado di “gestire” il gruppo classe?
  • Non dovrebbe già essere in grado di gestire l’ansia?
  • Di comunicare efficacemente?
  • Di gestire il pensiero critico e creativo?
  • L‘empatia?
  • L’empatia non si insegna, o ce l’hai o non ce l’hai?

Ma cosa mi venite a dire!!!

Praticamente ci si è accorti che fino ad ora non sono stati formati “BENE” gli Insegnanti e allora ecco che saltano fuori dal cilindro “le competenze non cognitive”.

La proposta

La proposta prevede una sperimentazione che sia inclusiva e che valorizzi delle competenze extradisciplinari, con l’obiettivo di incrementare le “life skills” (abilità che portano a comportamenti positivi e che rendano l’individuo capace di adattarsi, di far fronte in maniera efficace alle sfide della vita di tutti i giorni).

Il progetto “pilota” prevede che gli Insegnanti

ndr:

formati??!! da chi??!!

stimoleranno abilità non direttamente legate al processamento delle informazioni

ndr:

bisogna formare, non informare??!!

ma alle caratteristiche individuali, legate agli ambiti emotivi, psicosociali e a caratteristiche di personalità.

In pratica si insegnerà ai bambini, ai ragazzi e agli adolescenti come “saper vivere” stimolando la capacità di come:

  • gestire le emozioni,
  • gestire lo stress,
  • l’empatia

allenando il pensiero creativo e quello critico, cosa assolutamente indispensabile in una società soggetta costantemente agli attacchi di fake news e al peso dell’omologazione.

E poi ancora la capacità di prendere decisioni e risolvere problemi.

ndr:

è una scoperta dell’acqua calda!

Ulteriore domanda

Non pensate che molte famiglie e molti Insegnanti abbiano da tempo intrapreso questa strada?

Sì è vero ci sono Insegnanti (con la i minuscola) che:

  • non sanno gestire il gruppo classe,
  • non sanno insegnare,
  • puniscono,
  • poco empatici,
  • non sanno trasmettere
    • curiosità, interesse ed emozioni.

Forse, prima di dare loro in mano “le chiavi” dell’insegnamento non era meglio fermarli?

Conclusione

La proposta di legge introduce, quindi, l’avvio a partire dal 2023 ad una sperimentazione nazionale triennale per attività finalizzate allo sviluppo delle competenze non cognitive nei percorsi delle scuole di ogni ordine e grado.

Sarà un metodo che recupererà anche i soggetti più difficili e che potrebbe ridurre anche il fenomeno dell’abbandono scolastico.

ndr:

siamo anni luce indietro rispetto agli altri stati europei, come:

– nell’Educazione Fisica (pardon Motoria!) e nei programmi dei Corsi di formazione di molte Federazioni Sportive Nazionali.

prof. Maurizio Mondoni (un Insegnante empatico!)

di Maurizio Mondoni

Check - up 360

Importanza di un check-up a 360°

L’importanza di un check-up a 360° e la creazione di un documento che accompagni il soggetto durante le attività con un costante monitoraggio di ogni fase di crescita, di  pianificazione coordinata e mirata degli allenamenti, dell’alimentazione e delle necessità rilevate, permette…

  • di favorire uno sviluppo armonico
  • una precisa preparazione per la miglior performance
  • di contrastare molte patologie oggi esistenti 

affrontando tutte le età con un maggior benessere psico-fisico.

La sintesi dei dati emersi dal check-up, una volta analizzati e comparati tra loro dagli specialisti coinvolti, rappresenterà uno strumento per salvaguardare lo sviluppo armonico, individuare le capacità attitudinali e mirare agli obiettivi prefissati.

check - up

Queste informazioni servono a redigere un report personalizzato in cui vengono messe in evidenza le risposte ottenute e le aree che necessitano di un eventuale intervento:

  • preventivo
  • migliorativo
  • terapeutico
L’azione

L’intervento è multi-modale ed integrato e si compone di elementi medici, motori e psicologici e deve essere affidato a un team esperto in grado di seguire qualsiasi  persona non come un insieme di sintomi, organi, obiettivi tra loro scollegati.

Il check-up per troppo tempo è stato considerato utile solo per sportivi agonisti, già meno con sportivi amatoriali e pochissimo con frequentatori di palestre e assolutamente evitato con persone normali.

Oggi si parla di check-up a tutte le età e in tutti i settori sportivi, motori, medici e nella medicina anti-aging.

Questo ha permesso di comprendere l’importanza della pratica sportiva e dell’attività motoria.

Ottimizzazione del movimento

Il movimento non provoca così automaticamente benefici, ma in conseguenza di atteggiamenti sbagliati:

  • alcool e fumo
  • alimentazione sbilanciata
  • stress
  • cattiva gestione degli allenamenti nello sport agonistico di alto livello o amatoriale

causa anche danni e patologie cardiovascolari, cronico-degenerative, autoimmunitarie.

patologie cardio
Foto di EVG Culture

Affinché sia conseguito l’obiettivo della salute potenziata è indispensabile che l’attività fisica sia il più possibile personalizzata in modo da basarsi sulle caratteristiche del soggetto.

Inoltre, deve essere superata l’idea che a un maggior volume di attività fisica corrisponda maggior beneficio.

Anti – aging

Infatti, durante un allenamento l’organismo è sottoposto a uno stress che per essere positivo e comportare dei benefici fisiologici e di composizione corporea, deve essere equilibrato alle capacità soggettive e anche al riposo, durante il quale le modificazioni avvengono.

Spesso si ritiene anche erroneamente che lo sport amatoriale sia il meno pericoloso in quando dovrebbe richiedere bassi livelli di attività, mentre da molti viene praticato senza controlli, con carichi elevati, in età avanzate alzando enormemente gli effetti negativi e i rischi.

L’anti-aging ha introdotto il concetto di check-up anti-aging e fonda il suo programma sulla comprensione delle origini evoluzionistiche dell’invecchiamento.

Sostiene, infatti, che

il cosiddetto normale invecchiamento è un processo attraverso il quale la salute viene inesorabilmente compromessa, rendendo il soggetto più suscettibile alle malattie croniche.

Sostiene inoltre che

la vera salute non è semplicemente l’assenza di malattia, ma piuttosto la presenza di un benessere fisico, mentale ed emozionale.

Il proposito

L’obiettivo di questa nuova branca della medicina è quindi quello di fornire strategie scientificamente validate per frenare il processo dell’invecchiamento, per prevenire le malattie croniche e ottimizzare la qualità della salute.

E’ possibile stabilire quanto si sta realmente invecchiando e quale sia la corrispondenza tra la propria età anagrafica e l’età biologica.

Conoscere il proprio orologio biologico, entrare nella diagnostica precoce nonché il grado di alterazione dei markers biologici dell’invecchiamento, per elaborare un programma terapeutico e motorio personalizzato, che consentirà di migliorare la funzionalità dei sistemi dell’organismo e di rallentare, entro certi limiti, sono alcuni processi degenerativi legati all’invecchiamento.

anti - aging
Foto di Daniel Torobekov
Nello specifico

L’esercizio fisico equilibrato può essere considerato una vera e propria terapia.

La proprietà spiccatamente pleiotropiche sarà in grado cioè di andare a incidere contemporaneamente, sia in campo preventivo che terapeutico, su numerosi fattori di rischio o aspetti patologici.

E’ fondamentale analizzare e conoscere approfonditamente gli effetti dell’allenamento sul corpo umano per poter poi applicare la corretta attività  fisica.

Da questo emerge la necessità di un check-up, condotto da seri professionisti esperti, che deve prevedere analisi mediche, sportive e psicologiche per elaborare corretti protocolli personalizzati a seconda delle necessità e degli obiettivi da raggiungere.

I medici fanno la diagnosi e dettano le indicazioni per applicare protocolli motori corretti.

La prescrizione ottimale è determinata da una valutazione oggettiva:

analisi cliniche
Foto di Chokniti Khongchum

I protocolli non devono essere messi in pratica in modo rigido, applicando semplicemente calcoli matematici alle misure dei test e alle analisi, ma analizzando a fondo i risultati e incrociando i dati e le conclusioni dei vari specialisti.

La valutazione medica può comprendere:
  • Compilazione di questionari
  • Anamnesi completa
  • Esame fisico
  • ECG a riposo a 12 derivazioni
  • Pressione del sangue a riposo (anche con variazione di posizioni)
  • Analisi del sangue
  • Una prova da sforzo graduale con controllo elettrocardiografico
  • Accertamenti specifici a seconda delle necessità.

All’Istruttore spetterà il compito di erogare i protocolli, spiegarli con linguaggio accessibile, misurare i cambiamenti e comunicarli al medico, stabilire (con il medico) gli obiettivi, gestire l’attività di counseling.

Ruolo e valutazione dell’istruttore

Può comprendere:

  1. Anamnesi per raccogliere dati e avere informazioni da integrare e confrontare con quelle mediche
  2. Antropometria e plicometria da integrazione e comparazione di analisi clinica strumentale della composizione corporea e tomografica della bioimpedenza cellulare
  3. Analisi posturale con semplici sistemi di valutazione globale e analitica solo quando la globalità indica un malfunzionamento
  4. Esame della funzionalità dell’apparato locomotore e della locomozione con semplici test biomeccanici e di mobilità articolare
  5. R.O.M. (Range Of Motion) articolari e test di mobilità articolare e funzionalità articolare generali con studio biomeccanico degli esercizi e delle posture in relazione al soggetto
  6. Test submassimali organici e di forza all’aperto e in palestra per calcolare frequenza cardiaca, consumo di ossigeno, soglie, squilibri muscolari, valori di forza, confronti delle modalità di attivazione nervosa dei diversi muscoli coinvolti nel movimento e monitorare i cambiamenti e miglioramenti.
analisi
Foto di RF._.studio
Conclusioni

La specificità dei test e le varie strumentazioni sono utilizzate a secondo delle necessità individuali per poter applicare al meglio i protocolli di allenamento nel rispetto delle esigenze morfo-bio-strutturali evitando infortuni, sovraccarichi e con il massimo gradimento del soggetto.

Questo si intende per applicazione di protocolli studiati e individualizzati frutto di un attenta analisi dei dati forniti da un check up fatto da esperti nei vari settori.

di Davide Antoniella

Il movimento divergente a scuola

Il movimento divergente a scuola

Il movimento divergente deve essere materia di studio e di ricerca a scuola.

I vari insegnamenti devono comunicare maggiormente tra di loro e non restare chiuse nel loro compartimento stagno.

Il tecnicismo, la specializzazione, il pensiero convergente, il ripetere meccanicamente cose già apprese, non ci permette di seguire un percorso diverso.

Lo sviluppo del pensiero divergente arricchisce le nostre competenze comunicative e la nostra efficacia espressiva

Spesso il pensiero divergente è usato come sinonimo di creatività ma la capacità di creare è qualcosa di più complesso in quanto in essa intervengono fattori socio-culturali ed altri aspetti della personalità non solo cognitivi ma anche affettivi ed emotivi.

E’ certo però che il pensiero divergente indica la giusta direzione da seguire per arrivare al nucleo centrale della creatività in quanto i suoi tratti caratteristici sono:

  • la fluidità
    • facilita lo spostamento di un’idea da un luogo all’altro e da una produzione all’altra;
  • la flessibilità
    • un pensiero elastico, capace di piegarsi, di adattarsi alle differenti situazioni;
  • l’originalità
    • che non dipende e non ha somiglianza con esempi, modelli ed idee precostituiti, convenzionali, ed ha quindi una sua novità, un suo carattere proprio;
  • l’elaborazione
    • l’insieme delle operazioni (l’associazione delle idee, l’astrazione, l’immaginazione costruttiva e riproduttiva, il giudizio, il ragionamento, ecc…), con le quali organizziamo e trasformiamo il materiale fornito dall’esperienza.
Il percorso specifico

I tratti tipici del pensiero divergente sono gli stessi della dimensione della creatività ecco perché per diversi autori il pensiero divergente indica il pensiero creativo.

Le nuove strade non escludono le vecchie, ma si possono unire con esse illuminando alcuni tratti del circuito cerebrale, rendendo così, il traffico più vario e veloce.

Percorrere una strada in un solo senso di marcia non permette il confronto e la scelta e questo ostacola la possibilità di essere divergenti.

La creatività non è una capacità di pochi artisti, pittori, musicisti, inventori, scienziati, ma è una possibilità per tutti, ognuno è in grado di trovare nuove e diverse associazioni tra le cose ogni giorno.

La creatività è una dote innata che tutti posseggono ma che non in tutti si manifesta immediatamente ed istintivamente. 

Aiuta molto educare i bambini fin da piccolissimi alla ricerca personale, alla flessibilità, alla liberazione della creatività, perché loro, in particolare dagli zero ai tre anni, hanno una mente assorbente, “superassorbente”.

Maria Montessori

Si è dovuto aspettare l’arrivo di Maria Montessori che ha creato una “casa dei bambini”, un luogo di rivelazione e di espressione del bambino mediante:

  • la creazione di un ambiente a lui proporzionato;
  • una disciplina attiva che lo abitui ad essere padrone di sé, a sapersi imporre il limite dell’interesse collettivo e la forma delle buone maniere materiali;
  • la consapevolezza che il bambino ha un’intensa vita psichica, inconscia e subconscia e che è tanto grande nella sua piccolezza, è capace di intenzione e di pensiero, di azioni pratiche e creative;

la sua mente è assorbente, ma non come la spugna che lascia passare l’acqua e non la trattiene.

La mente del bambino, invece, arriva ad assorbire ed a conservare molte e difficili cose:

  • il linguaggio
  • le abitudini
  • i sentimenti

per cui occorre saper utilizzare questa forza creativa e inconscia.

Nell’ambito del movimento, Maria Montessori scrive:

Il movimento è essenziale alla vita; e l’educazione non può concepirsi come moderatrice o, peggio, inibitrice del movimento, ma solo come un aiuto a bene spendere le energie, e a lasciarle sviluppare normalmente”. “L’attività motrice, perciò, deve avere uno scopo ed essere connessa con l’attività psichica.  Esiste una stretta relazione tra il movimento e l’intelligenza avida di imparare. I bambini disordinati nei loro movimenti non sono soltanto bambini che non hanno imparato a muoversi: sono soprattutto bambini dalla mente denutrita, che soffrono di fame mentale.

Maria Montessori

La curiosità del bambino è il vero motore dell’apprendimento e questa curiosità nasce dalla stimolazione, dalla motivazione e non dall’ esigenza di riempire la sua mente con informazioni che spesso non capisce e che fa fatica a ricordare.

Conclusione

La scuola è impegnata in una costante, continua, inarrestabile, ricerca per individuare le formule organizzative e gli interventi educativi più efficaci affinché i bambini possano svincolarsi dalla dipendenza delle cose già fatte, già pronte, ed aprirsi a nuove possibilità  capaci di evolvere in un percorso che è sempre dinamico.

bambini a scuola
Foto di Max Fischer

Conoscere significa stabilire nessi, collegamenti, connessioni, essere capaci di fare sintesi in un mare di informazioni e questa capacità può essere insegnata solo a scuola e bisogna farlo il prima possibile.

I bambini devono essere educati fin dal momento della nascita, nei primi anni di vita, per alcuni neuro scienziati entro i tre anni si formano le sue modalità cognitive ed emotive che gli permetteranno di conoscere il mondo e di relazionarsi agli altri.

Ora finalmente con il decreto legislativo del 13 aprile 2017, n. 65 si è istituito il sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita ai sei anni.

di Pasaquale Iezza

La chimica dei fattori interni

La chimica dei fattori interni

Uno dei più classici oggetti che fanno parte della vita di un allenatore e che lo accompagna non solo la domenica, è il taccuino.

Sul taccuino l’allenatore ci scrive DI TUTTO.

Non si può fidare della sua sola memoria, e allora il taccuino serve a raccogliere ogni tipo di informazione che gli servirà a definire meglio il suo lavoro quotidiano e i suoi obiettivi.

Su quei taccuini si sono…

…vinte più partite di molte faticose sedute di allenamento e in quelle pagine non ci sono soltanto schemi ed esercizi.

Ci sono anche frasi e annotazioni che aiutano il coach a focalizzare meglio i suoi obiettivi.

Gli sbagli

Nei lunghi decenni in cui ho avuto la fortuna di allenare, trascrivevo ogni anno alla prima pagina di ogni nuovo taccuino la seguente frase, mutuata da un sillogismo aristotelico:

Allenare è scegliere. Scegliere è escludere. Escludere è sbagliare = Allenare è sbagliare.

Questo monito serviva a ricordarmi, ogni giorno della mia carriera, che un allenatore è, prima di tutto, quello che sbaglierà più di tutti.

La ragione di questo è molto semplice.

Il dubbio
Foto di Nathan Cowley

Il basket è lo sport in cui per eccellenza un allenatore opera delle scelte continuativamente:

mentre qui possiamo, sì e no, limitarci a dare dei piccoli input, soggettivi e limitati alla sola esperienza di chi scrive.

Le gerarchie

La dinamica insita nelle scelte di chi far giocare prima, chi dopo, e chi solo se scende la Madonna, la definizione di chi giocherà i minuti decisivi, sono decisioni connesse ad un altro sacramento non scritto che vige nello sport in generale e in particolare nel basket:

la presenza di gerarchie indispensabili.

Ogni squadra ha la sua intrinseca chimica dei fattori interni, nella quale si può intravedere chiaramente un mix tra giocatori di esperienza, giocatori di media affidabilità, la presenza di una o più star, e giovani.

Questo mix definisce le dinamiche di una squadra e la àncora ad un principio gerarchico che è necessario conoscere, definire e condividere.

Qui pure si aprirebbe un capitolo che si trova a metà strada tra la chimica e le dinamiche di gruppo.

La chiarezza

È altamente raccomandabile che l’allenatore chiarisca preliminarmente alla squadra il criterio gerarchico da lui individuato per risolvere immediatamente la prima e più importante minaccia a cui il gruppo è sottoposto:

non creare false aspettative e quindi ingenerare un processo di delusioni/demotivazioni.

Ciascun giocatore deve sapere esattamente il suo peso all’interno della squadra: “l’accettazione di quel ruolo (non in senso tecnico ma come rilevanza) definirà il grado di compattezza di tutto l’assieme”.

Giocatore esperto
Foto di Gustavo Linhares

Se sono un giocatore importante devo sapere che la squadra, l’allenatore e i compagni, si aspettano da me:

  • che giochi un certo minutaggio
  • che mi assuma determinate responsabilità
  • che porti sulle mie spalle un certo peso sul buon andamento della partita
    • e che sia pronto a farmi pienamente carico di tutto questo.

Se sono un giocatore giovane, arrivato per fare esperienza, devo sapere:

  • di non aspettarmi grandi minutaggi
  • che dovrò faticare per conquistare la fiducia di tutti
  • che devo aiutare gli altri ad allenarsi bene
    • tutto quello che verrà di più sarà guadagnato.
Il motivo della gerarchia

Dentro queste gerarchie si suddividono proporzionalmente anche le percentuali di merito/demerito che vanno redistribuite di pari passo con i successi o gli insuccessi della squadra.

La pallacanestro da questo punto di vista raramente ha commesso errori nell’attribuzione esatta delle responsabilità, nel fermo convincimento che è poi tutta la squadra a far fronte comune davanti ai successi o agli insuccessi.

La definizione delle gerarchie aiuta l’allenatore anche a compiere le scelte migliori nei famosi frangenti decisivi delle partite.

Se devo scegliere a chi affidare la conclusione che mi farà andare in paradiso o all’inferno, credo sia difficile che quella conclusione possa metterla nelle mani di un giovane con poca esperienza:

verosimilmente mi affiderò alle mani di chi quelle situazioni le ha già vissute molte volte.

Questo è quello che capita nella stragrande maggioranza delle squadre.

L’eccezione che conferma la regola

Poi un giorno, un allenatore di Caserta che allena la squadra della sua città, arriva a giocarsi una finale scudetto in trasferta a Milano, e sul time out della quinta e decisiva partita, a meno di due minuti dal termine della gara che avrebbe assegnato l’unico scudetto della storia ad una squadra del Sud, si avvicina non al giocatore esperto, ma ad un ragazzo poco più che ventenne e gli chiede:

Nando secondo te cosa facciamo adesso in difesa: uomo o uno tre uno?”.

di Dino De Angelis

fitness

Fitness di base per il basket

BUONA FORMA CARDIORESPIRATORIA

Nello sport il livello della prestazione distingue un campione dal resto dei praticanti.

Nel basket quanto meglio un giocatore riesce a palleggiare, tirare e passare, tanto migliori saranno le sue possibilità di successo ma queste abilità specifiche caleranno se il giocatore avrà una scadente forma fisica.

Molti operatori della comunità sportiva (dirigenti, allenatori, giocatori) equiparano il condizionamento atletico con la buona forma fisica.

Componenti fisiche necessarie

Essere in forma fisicamente non è soltanto essenziale da un punto di vista medico.

fitness

Le seguenti componenti di fitness sono comunque importanti per un serio giocatore e nello specifico di basket:

Per un’atleta, però, mantenere una capacità fisica oltre gli standard abituali di salute e benessere è essenziale per assicurare una prestazione ad altro livello per un prolungato periodo di tempo.

Sfortunatamente molti  giocatori professionisti che sembrano essere in buona forma prestano pochissima attenzione alla propria salute fisica, mentale, sociale ed emozionale e poi si chiedono perche le loro carriere si sono abbreviate.

Mentre la buona forma fisica è un indicatore della salute complessiva, è il condizionamento atletico che determina il livello al quale le capacità specifiche di uno sport possono essere eseguite ed elevare tale livello.

Buona forma cardiorespiratoria

Una buona forma cardiorespiratoria si estrinseca nell’efficacia con la quale il cuore e i polmoni distribuiscono il sangue, l’ossigeno e le sostanze nutritive ai tessuti corporei attivi durante il lavoro fisico.

L’esercizio aerobico (con presenza di ossigeno) migliora la funzione cardiorespiratoria ed aiuta a prevenire le malattie cardiache.

L’allenamento aerobico può essere svolto attraverso una qualunque attività che richieda l’utilizzo continuo di grandi gruppi muscolari

  • camminare;
  • fare jogging;
  • nuotare;
  • andare in bicicletta;
  • sciare;
  • praticare il canottaggio

da 20 a 60 minuti, da 3 a 5 giorni alla settimana ad intensità moderata.

nuotare
bici
Sciare

Un tale programma di allenamento migliorerà o manterrà la propria buona forma cardiorespiratoria.

Un sistema cardiorespiratorio allenato efficacemente è capace di sostenere uno sforzo di bassa intensità per lungo tempo poiché è in grado di:

  • consumare una grande quantità di ossigeno;
  • di far circolare l’ossigeno;
  • di utilizzare in modo aerobico l’ossigeno come fonte di energia per un periodo prolungato.

Il basket, d’altra parte, richiede brevi ma intensi periodi di attività, così che i giocatori spendono moltissima energia ad un ritmo veloce.

Le corse anaerobiche (con assenza di ossigeno) sono un altro aspetto della buona forma cardiorespiratoria e forniscono energia per attività ad alta intensità, cosi i sistemi di energia anaerobica devono essere parimenti sviluppati.

Eppure perfino atleti con una eccellente forma anaerobica possono lavorare a pieno ritmo soltanto per un breve tempo prima di dover interrompere.

Qui subentra in gioco la condizione aerobica.

di Tiziano Megaro

sport-e-cultura

Breve riflessione su come si costruisce una cultura sportiva

L’argomento è dibattuto da tempo senza che vengano individuate con una certa precisione modalità ed effetti.

Spesso si tira in ballo la scuola come organo maestro nell’inculcare i principi dell’educazione, ma…

…non sempre l’istituzione scolastica dà del tu allo sport in quel rapporto virtuoso tra educatori sportivi ed alunni.

Il recupero della cultura sportiva

E allora il problema di recuperare una adeguata “cultura sportiva” lo si tira in ballo ogni volta che assistiamo ai fischi dell’inno nazionale della squadra avversaria o a imprecazioni razziste nei confronti del giocatore che ha una pelle differente da quella a cui si è abituati a vedere a queste latitudini.

Se invece sei un praticante o un addetto ai lavori, come si usa dire, cultura dello sport vuol dire anche la capacità di individuare i tuoi limiti per sapere come e dove intervenire.

Di saper riconoscere la superiorità dell’avversario, la consapevolezza assoluta ed indistruttibile che nulla si ottiene senza un duro lavoro.

Se fai parte di questo mondo sai benissimo che non c’è nulla che si possa anteporre al riconoscimento del merito – ovvero di quella nozione che nel resto della società italiana viene completamente ignorata.

Insomma, lo sport è – o dovrebbe essere – “un’altra cosa”.

È sempre stato così.

Ci dovrebbero essere variabili talmente obiettive da impedire scorciatoie o facilitazioni per chi non ha le caratteristiche per andare avanti, come, in genere accade in altri contesti a cominciare dalla politica, ma non solo.

Le domande

Ma chi dovrebbero essere quelli maggiormente in grado di piantare semi nel terreno?

Di predicare una forma corretta di approccio alla materia sportiva?

Di fare, di un popolo di commissari tecnici, della gente capace di riconoscere cosa sia lo sport ed i suoi valori?

Chi sono queste figure?

Probabilmente coloro i quali hanno un approccio diretto nel mondo sportivo, coloro che hanno delle responsabilità tecniche o dirigenziali ed anche e soprattutto quanti hanno a che fare con la materia della divulgazione.

Il ritratto

Se mescoliamo assieme questi elementi, ne viene fuori un identikit molto chiaro.

L’identikit corrisponde perfettamente alla figura dell’allenatore, a maggior ragione quando questa figura ha sovente attenzioni mediatiche continue:

l’allenatore della nazionale di calcio.

Quel ruolo non si limita a selezionare i migliori giocatori, a coordinare sedute di allenamento e stabilire principi tecnico tattici per raggiungere i migliori risultati.

Quel ruolo ha una enorme responsabilità anche nei confronti della divulgazione di una certa cultura sportiva.

D’altronde il calcio è lo sport di gran lunga più visto e letto sui mass media e quel ruolo deve essere ben consapevole del fatto che le sue dichiarazioni rivestono un ruolo di enorme rilievo anche nei confronti dei praticanti e nelle tifoserie di altre discipline.

L’affermazione

A tal proposito ho ascoltato le dichiarazioni del Commissario Tecnico italiano dopo la scialba prestazione dell’Italia in Irlanda che non ha consentito alla nazionale di ottenere il passaporto per i prossimi campionati mondiali.

Il C.T. esprime fiducia sulle residue possibilità della nazionale e poi afferma un altro concetto che estrapolo letteralmente:

“Andremo ai Mondiali a marzo e magari lo vinceremo”.

Non lo può sapere, ma soprattutto non lo può dire.

Un C. T. non può rilasciare una dichiarazione simile.

Perché?

Non ci si aspetta da un uomo di sport che parli come un qualunque politicante che sta per affrontare delle elezioni e che deve mostrare sicurezza e spavalderia perché quegli atteggiamenti possono far presa sull’elettorato.

Un uomo di sport predica la cultura dell’impegno e del sacrificio.

Nessuno meglio di lui sa che solo attraverso quel banco di prova si possono ottenere risultati, non vende la pelle dell’orso prima di averla comprata, e poi quell’orso, a vedere bene, pare ancora vivo e vegeto per essere comprato.

Senza contare il fatto che quella dichiarazione ha un effetto devastante anche nei confronti dei suoi stessi giocatori, i quali psicologicamente sono assolti dalle loro responsabilità.

Un C.T. che non riconosca i limiti della sua squadra, che:

  • che afferma di aver tenuto il pallino del gioco per tutta la partita
    • dimenticando che non ha quasi mai impensierito la porta avversaria
  • le occasioni migliori sono capitate proprio agli avversari
    • pure se non hanno tenuto in mano il pallino del gioco,

non ha la necessaria lucidità per inquadrare bene che momento sta vivendo la squadra e tutto l’ambiente circostante.

Conclusione

Senza questa obiettività, senza un bagno di umiltà, si è persa una importante occasione di far capire, in un colpo solo, a pubblico e addetti ai lavori, che bisogna ripartire da altre basi, con atteggiamenti differenti e senza mostrare alcuna gratuita arroganza.

umiltà sportiva
Luis Enrique – umiltà sportiva da golditacco.it

Quando si vince c’è fin troppa euforia per costruire messaggi educativi:

la vittoria è esaltante e gioiosa, ma è la sconfitta – o la mancanza di risultati momentanei -il momento migliore nel quale:

si può costruire la cultura della consapevolezza, del miglioramento e del sacrificio.

E in questo caso l’occasione è andata clamorosamente sprecata.

di Dino De Angelis

Organizzazione lavoro

ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO DI STAFF

Seconda parte
(questo è il link alla prima parte “creare uno staff e lavorarci assieme”)

E’ il momento di entrare nell’ambito delle dinamiche collaborative all’interno dello staff nei vari periodi dell’anno.

Fare la squadra

Su ogni obiettivo di “mercato” cerco di incrociare informazioni, valutazioni (frutto di esperienze sul campo o di scouting video approfondito) ed idee con i miei assistenti per quanto riguarda la parte tecnica e col mio preparatore per gli aspetti fisico-atletici.

Studiare il gioco della squadra ed impostare il precampionato

Centrati gli obiettivi si passa ad una fase estremamente approfondita di conoscenza delle caratteristiche tecniche dei giocatori che formeranno la squadra.

Laddove possibile, per ogni giocatore, cerco col mio staff di scoutizzare più di un’annata e di individuare tutte quelle soluzioni che, inserite in un contesto collettivo, possano esaltarne le prestazioni individuali.

scouting 2
scouting

Sempre attraverso la collaborazione di tutti si fanno le scelte relative agli attacchi da utilizzare, ai concetti difensivi e, più in generale, alle regole che dovranno diventare patrimonio della squadra.

Quello che nasce in questa fase va comunque testato sul campo e non bisogna esitare a tornare sui propri passi nel caso ci si accorga che qualcosa è migliorabile o addirittura sbagliata.

Nulla è più coerente che cambiare le proprie idee sulla scorta di esperienze che smentiscano le certezze teoriche.

Contestualmente si lavora per organizzare il precampionato.

Con l’intero staff:

  • decidiamo quanti giorni prima delle gare ufficiali iniziare,
  • stabiliamo l’alternanza di lavoro tacnico-fisico,
  • i lavori congiunti e i giorni di riposo,
  • determiniamo i carichi di lavoro legandoli agli obiettivi tecnici stabiliti col club,
  • con gli assistenti programmo le date delle gare amichevoli,
  • stabiliamo gli obiettivi tecnico tattici dell’intero periodo e quelli settimanali
    • inserendoli in una logica di compatibilità col lavoro fisico.

A proposito dei carichi di lavoro  vorrei focalizzare un aspetto che differenzia di tanto la realtà del basket attuale da quella di ieri.

E’ innegabile che aumentare i carichi in certi periodi del precampionato possa inficiare il rendimento tecnico in alcune partite amichevoli ed a volte si rischia davvero di avere la squadra talmente “imballata” da subire sonore lezioni.

Questo ieri rappresentava un fattore di minimo rischio mentre oggi, nell’era del tutto e subito, può aprire profonde lacerazioni nel rapporto tra allenatore e club.

Io credo che il coach debba avere ben chiaro quello che è l’obiettivo finale senza farsi condizionare troppo ma è innegabile che il problema spesso esiste per cui sono convinto che vada fatto un ragionamento con se stessi  per stabilire se e fino a che punto si sia in grado di gestire situazioni simili.

Precampionato

La prima settimana di lavoro è solitamente conforme a quella prestabilita ma è frequente l’esigenza di  dover attualizzare le settimane successive in base ad una serie di criteri come:

  • la presenza o meno di infortunati,
  • il grado di  metabolizzazione del lavoro fisico fatto precedentemente o di assimilazione dei concetti tecnici,
  • l’esigenza di accelerare/decelerare a seconda delle risposte date dal campo,
  • la necessità di individualizzare i lavori di alcuni giocatori troppo indietro e troppo avanti.
programma allenamenti
da aiaroma.it

Tutto ciò deve essere frutto di analisi settimanali che lo staff deve assolutamente affrontare nella sua interezza.

Campionato

Inizia la fase più tattica.

Lo scouting degli avversari e la preparazione delle partite rappresentano una parte fondamentale e spesso decisiva del lavoro di staff.

Credo che il basket sia molto cambiato rispetto a un decennio fa o più.

Prima era frequente incontrare squadre capaci di fare scelte difensive diverse sulle stesse situazioni a seconda del giocatore, del lato di campo e di altri parametri di volta in volta analizzati.

Oggi questo è impossibile per l’eterogeneità anagrafica dei giocatori che compongono la squadra e per il processo di crescita tecnico-tattica degli stessi.

Credo sia molto più efficace avere poche regole, precise e facilmente metabolizzabili.

Di partita in partita si faranno piccoli adattamenti senza mai uscire dalle regole.

Sulla base di questo concetto  va impostato il lavoro di scouting e di valutazione delle scelte con gli assistenti ed il preparatore

In queste due fasi, PRECAMPIONATO e CAMPIONATO, il lavoro di staff si sviluppa in tre momenti differenti:

  • FUORI DAL CAMPO
  • IN CAMPO
  • IN PARTITA
Fuori dal campo
Scouting prossimi avversari

L’assistente addetto deve visionare almeno due gare dei prossimi avversari e produrre un report video che mi piace avere a disposizione subito dopo la partita precedente.

(Durante la settimana va scremato e mostrato alla squadra nella forma più breve e impattante possibile).

Deve contenere tutti gli attacchi usati in transizione e metà campo (da questi si estrapoleranno i 4/5 più usati su cui si lavorerà durante la settimana), le scelte difensive della squadra analizzata e le caratteristiche dei giocatori.

Scouting propria partita

A volte, se le circostanze lo richiedono, è opportuno produrre un video su se stessi.

Personalmente reputo che questo non vada fatto sistematicamente ma solo se c’è da enfatizzare qualche aspetto estremamente importante sia in negativo per correggere che in positivo per rafforzare la fiducia in qualcuno o qualcosa.

Programmazione

Con lo staff vanno valutate e decise le scelte tecnico-tattiche e programmata la settimana di lavoro.

Di giorno in giorno vanno preparati i piani di allenamento.

Infine, sulla base delle scelte tattiche e delle relative verifiche sul campo, si appronta il piano di partita definitivo.

IN CAMPO
Allenamenti

Gli assistenti devono conoscere a fondo il piano di allenamento e condurne parte a seconda delle capacità di ognuno.

Entrambi gli assistenti sulle 2 metà campo ed il primo assistente sul lavoro a tutto campo.

Il preparatore fisico avrà il proprio spazio in fase di attivazione e in eventuali lavori differenziati.

E’ ovvio che la profondità degli interventi degli assistenti dipenderà dalle capacità ed esperienza degli stessi.

Questo sia negli allenamenti di squadra che negli individuali e in quelli a gruppi per ruolo.

Se si hanno assistenti all’altezza si può anche assegnar loro la preparazione e lo sviluppo di una singola tematica tattica durante il corso dell’intero anno.

IN PARTITA
Riscaldamento

Lo conduce il preparatore o solo un assistente, sempre lo stesso.

Partita

Chiedo agli assistenti di parlarmi costantemente comunicando osservazioni e idee.

La stessa cosa dovrà fare il preparatore relativamente alla sfera fisica e alla fatica che “vede sulla faccia dei giocatori”.

Si può anche assegnare ad ogni assistente il compito di guardare  l’attacco o la difesa e, contestualmente, la redditività dei nostri attacchi e quella degli avversari.

Time out/Intervalli

Indicativamente:

  • i primi 20” per parlare con gli assistenti ed i restanti 40” per comunicare con la squadra nei time out;
  • 40” circa con gli assistenti e il resto  con la squadra durante gli intervalli tra quarti;
  • alla fine dei primi 20’ di gara ci si può dilungare un po’ di più ma non tanto da bloccare troppo la squadra in spogliatoio.

Ribadisco di essere assolutamente conscio che non in molte realtà è davvero possibile creare uno staff totalmente in grado di rendere pratiche le idee che ho esposto.

Io stesso, pur avendo avuto la fortuna di collaborare spesso  con assistenti e preparatori di buon livello, non ho sempre avuto la possibilità di lavorare con uno staff completo.

Lapalissianamente concludo,

meglio scegliere bravi tecnici e brave persone che bravi tecnici e basta.

di Domenico Sorgentone

Creare uno staff

CREARE UNO STAFF E LAVORARCI ASSIEME

Prima Parte

Tanti anni da capo allenatore di squadre senior hanno fortificato in me la convinzione che avere uno staff tecnico di alto livello sia la base imprescindibile per impostare una o più  stagioni proficue per il mio lavoro,…

…per il lavoro dei miei collaboratori, per il miglioramento tecnico-fisico dei giocatori che ho a disposizione e per l’ottenimento dei risultati che ogni club legittimamente si aspetta.

Introduzione

Cosa siamo noi allenatori se non manager a cui viene richiesta la capacità di saper utilizzare al meglio le risorse umane che gli vengono messe a disposizione ?

Domenico Sorgentone
Coach Domenico Sorgentone – da roseto.com

Usare le capacità tecniche dei giocatori, per dare un gioco alla squadra, che non sia solo imposto ma che prenda spunto da ciò che i tuoi giocatori sanno fare meglio, è l’unico modo, a mio modo di vedere, per riuscire ad ottenere un risultato tecnico il più vicino possibile al reale potenziale della squadra.

Allo stesso tempo, saper utilizzare i componenti dello staff, secondo le proprie attitudini e fornendo loro le giuste motivazioni che nascono dal reale coinvolgimento nelle scelte e nel lavoro quotidiano, è la via migliore per far si che chi collabora col coach diventi un reale valore aggiunto.

Per ultimare il discorso generale prima di entrare nel merito, vale la pena specificare che le condizioni di professionalità e di organizzazione delle società per cui si lavora sono talmente diversificate.

E’ impossibile per me dare dei concetti comuni a tutti per cui mi limiterò ad indicare i criteri che ho seguito nelle mie esperienze lavorative.

Formare uno staff

Ho sempre cercato di avere al mio fianco persone conosciute direttamente o attraverso le informazioni di colleghi.

Non sempre è possibile portare con sè uno o più componenti dello staff.

E’ quasi sempre possibile, però, conoscere a fondo i collaboratori che una società ti propone attraverso le loro esperienze pregresse.

Vanno, comunque, valutate anche sulla base delle proprie idee sulle persone che forniscono le informazioni.

Costruire una buona rete informativa è un aspetto fondamentale del lavoro di un allenatore perché  può fornire i mezzi per poter scegliere un giocatore o un collaboratore riducendo al minimo la possibilità di errore.

I ruoli fondamentali per formare uno staff che sia in grado di coprire la totalità degli aspetti necessari  sono tre, anche se qualcuno ha la fortuna di poterlo arricchire di ulteriori figure funzionali alla logistica dell’allenamento (appoggi, videoripresa, scouting ecc.).

Nell’ordine (non di importanza) sono:

Le caratterisitche

La caratteristica comune che cerco nei due assistenti è essenzialmente riferita ad una buon livello di conoscenza tecnico-tattica mentre  per tutte le altre qualità mi baso su criteri di complementarietà.

Almeno uno dei due deve:                            

  • essere un professionista per ragioni di tempo utilizzabile
  • avere buone conoscenze informatiche e capacità di match analysis
    • per lavorare sui video propri o degli avversari
  • avere inclinazione verso il lavoro individuale di miglioramento dei giocatori
  • essere un ex giocatore di buon livello
    • perché molti di loro sono in grado di percepire umori e situazioni di possibile rischio nei rapporti tra giocatore e giocatore e tra giocatore e staff.
    • Inoltre sanno guardare le cose dalla prospettiva dell’atleta oltre che da quella dell’allenatore. 

Attenzione però, non mi riferisco a tutti gli ex giocatori ma a quelli ormai formati e temprati dal campo in qualità di tecnici.

La scelta del preparatore fisico

Nella ricerca del preparatore tendo a guardare, con molto interesse,:

  • chi è in possesso di  una conoscenza approfondita della pallacanestro e delle sue specificità tecnicofisiche
  • chi ha una buona dose di esperienza settoriale 
  • colui che ha la capacità di saper mediare tra le proprie esigenze di carichi e tempi di lavoro e quelle dell’allenatore.

Questo ultimo aspetto è secondo me essenziale.

Tanti anni di carriera mi hanno insegnato che qualsiasi allenatore/preparatore che si rispetti è portato ad “accaparrarsi” più ore di allenamento possibili a scapito dell’altro aspetto del lavoro.

Saper mediare con razionalità evita squilibri dannosi e ottimizza la qualità del lavoro.

Tutto quello che ho scritto in relazione alle competenze ed alle qualità che cerco nei miei collaboratori è importantissimo:

ma niente raggiunge l’importanza che ha la statura umana delle persone di cui cerco di circondarmi.

Nota della redazione

Nella seconda parte dell’articolo, che pubblicheremo la settimana prossima (giovedi 12 giugno 2025), si entrerà nell’ambito delle dinamiche collaborative all’interno dello staff nei vari periodi dell’anno.

di Domenico Sorgentone

didattica enattiva

Interventi educativi

la didattica enattiva

L’educazione dei bambini è un compito che spetta a tutti, alle famiglie, alla comunità, alla scuola, allo Stato, è un’educazione quindi integrata dove ognuno è responsabile allo stesso modo.

L’educazione dei bambini è il compito più nobile che ogni persona ha se vuole sentirsi uomo.  

Non esiste un metodo perfetto, IL METODO, quel metodo da applicare ad ogni situazione e in ogni classe, capace di…

…risolvere ogni problema, altrimenti basterebbe un libretto delle istruzioni tradotto nelle varie lingue del mondo.

Avere un metodo serve però per facilitare il lavoro degli insegnanti, degli educaotori sportivi e per indicargli delle strategie in grado di motivare i bambini e i ragazzi allo studio e alla ricerca. 

Didattica enattiva

Negli interventi educativi spesso manca la lucidità del metodo d’insegnamento.

Si riporta tutto a schemi predefiniti e a regole precostituite, mentre invece alla base ci deve essere la disponibilità dell’insegnante a sperimentare, a scegliere non una nuova metodologia ma un nuovo modo di verificare, di fare vera, la sua pratica didattica.  

La didattica enattiva dall’inglese to enact significa “mettere in atto”.

metodo insegnamento
Foto di RODNAE Productions

Si fonda sull’ “imparare facendo” (learning by doing) e sull’adozione della corporeità saldamente connessa alla mente.

Una sorta di “mente incorporata”, una mente assorbente in continuo collegamento con le sensazioni che provengono dal mondo esterno e che la rendono attiva ed interattiva.

Il processo enattivo è quel profondo gioco di scambio tra interno ed esterno attraverso il quale l’atto cognitivo non è scindibile dall’atto esperienziale e dalla risonanza emotiva.

Il sentimento è conoscenza, l’educazione emotivo-sentimentale serve ad incanalare le nostre pulsioni naturali, istintuali, nel comportamento consapevole che ci permetterà di scegliere tra il bene e il male, tra ciò che è grave e ciò che non lo è.

Di conseguenza nell’azione educativa:

si contestualizzano e accentuano la motivazione ad un apprendere pragmatico, per cui il “sapere” e il “saper fare” confluiscono positivamente nel “saper essere”, e le “conoscenze” e le “abilità” si realizzano nelle “competenze”.

Oltre l’acquisizione

La costruzione delle competenze è proprio la possibilità di utilizzare le conoscenze e le abilità per poterle trasferire da un dominio all’altro in modo da impostare e risolvere un problema.

Pensiero, emozione e movimento pagano in parti uguali l’affitto al nostro corpo, la coabitazione non è forzata ma necessaria e piacevole.

Le emozioni e il movimento fanno maggiore confusione ma è proprio questa vivacità che alimenta il pensiero e facilita l’apprendimento.

Nella didattica enattiva l’essenziale di ogni apprendimento non è l’acquisizione:

  • di conoscenze
  • l’accumulo di abilità
  • lo sviluppo di capacità

ma è la possibilità di usare quello che è stato appreso per  risolvere situazioni nuove e concrete.

La didattica privilegiata, in tal senso, è di tipo laboratoriale “per problemi”, “per situazioni autentiche”, improntata all’operatività che porterà ad essere curiosi di ogni novità.

Facendo si impara prima e meglio:

se poi il fare diventa un co-fare, un collaborare allora l’apprendimento sarà più piacevole e più simile  ad un’esperienza di sport di squadra.

Il gruppo è chiamato a “risolvere un problema” impegnandosi in un  progetto nel quale ognuno coopera secondo le proprie potenzialità e attitudini.

In questo contesto lo studente non solo diventa l’attore del processo conoscitivo, ma si abitua anche a comunicare, a confrontarsi e ad organizzare con gli altri.

Le sorelle Agazzi

La didattica enattiva saldando la corporeità con i processi mentali avvia una didattica per competenze che vede gli insegnamenti scolastici finalmente interconnesse in modo da attivare un insegnamento trasversale e in rete e non più lineare e sequenziale. 

Mente e corpo formano un tutt’uno che consente un “insegnamento in situazione” in cui le funzioni manipolative, rappresentative e simboliche vengono apprese attraverso una sperimentazione continua che ogni alunno fa nella sua vita di relazione con i compagni e con l’insegnante e nel contatto attivo con le cose.

Ogni cosa ha la sua importanza, questa è stata l’intuizione delle sorelle Agazzi che con le loro cianfrusaglie, costituite da tutto il materiale occasionale che i bambini raccoglievano per strada e tenevano in tasca perché suscitava il loro interesse, organizzavano le attività didattiche.

I bambini scelgono a volte gli oggetti più impensati che stimolano la loro inventiva.

E’ inutile dar loro degli attrezzi già precostituiti.

Ricordo di un bambino che con i tappi di sughero, solo perché il sughero gli ricordava il sugo buonissimo della mamma, aveva inventato una bellissima storia alla corte del re Ragù dove il ballo preferito era la salsa.

La didattica enattiva trova la sua migliore realizzazione nella metodologia della ricerca-azione, intesa come una ricerca per l’azione, per cui il tema viene avvertito come problema in modo che crei una tensione ad apprendere.

Un’altra metodologia efficace legata ai principi della didattica enattiva è il coaching.

Un metodo finalizzato al miglioramento delle prestazioni e al raggiungimento di obiettivi di maggior valore tramite la scoperta e lo sviluppo delle potenzialità personali.

Affidandosi al “coach” lo studente che ha delle potenzialità latenti impara a scoprirle e ad utilizzarle.

Coaching
Foto di cottonbro

Il coach, quindi, è un facilitatore del cambiamento, una persona che stimola e indirizza le energie dello studente e lo aiuta a prendere consapevolezza delle sue intelligenze.

La tenerezza

La didattica enattiva per potersi realizzare fa leva sull’unica qualità indispensabile per un educatore, una dote naturale che non si può acquistare né acquisire in nessun corso di formazione: la tenerezza.

In una delle ultime lettere che Vincent van Gogh scrisse al fratello Theo si legge: 

«Voglio che la gente dica delle mie opere: “sente profondamente, sente con tenerezza.».

Sentire con tenerezza è probabilmente il testamento spirituale ed artistico del grande pittore olandese.

Non è un sentire con l’orecchio, Vincent se ne taglierà uno in una sua crisi depressiva per poi donarlo ad una cameriera di una casa di prostitute, ma è un sentire con un orecchio interno, incorporato, un terzo orecchio, capace di percepire le nostre sensazioni profonde per poi arrivare a sentire quelle degli altri.

Un’interazione funzionale con l’ambiente e con lo stato d’animo di chi ci sta vicino e chiede disperatamente senza parole il nostro aiuto.

E’ necessario imparare ad esercitare la tenerezza soprattutto quando si lavora con i bambini, con i ragazzi, con gli adolescenti in via di formazione per sentire quello che loro sentono.

Questa empatia permette di essere antenne di ciò che stanno vivendo, di essere collegati con le loro emozioni per cercare di camminargli a fianco senza essere visti come importuni invasori.

La testimonianza

Platone nel Simposio tesse un bellissimo elogio alla tenerezza dicendo che Eros stabilisce la sua dimora nell’anima degli uomini, ma non in tutte indiscriminatamente: se ne incontra una caratterizzata dalla durezza, si allontana, mentre se si imbatte in un’anima caratterizzata dalla tenerezza vi si trattiene.

Siccome dunque è sempre a contatto, con i piedi e con tutto il resto, con quello che vi è di più tenero tra le cose tenere, Eros è il più tenero degli esseri. Simile tende al simile.

Gli studenti vivono nel periodo della pubertà una fase erotica per cui vanno appassionati, ogni insegnante può imparare a camminare e a fermarsi su questo terreno tenero, e non c’è niente di più tenero, di più delicato, di più fragile e di più bello dei bambini, dei ragazzi, degli adolescenti in formazione.

Educare ci porterà a:
  • cambiare i nostri castelli mentali pieni di idee negative
    • di forze distruttive, di tensioni accumulate, di passati troppo presenti,
  • costruire una vita serena ed equilibrata valutando le cose con ottimismo e col giusto umorismo
  • avere relazioni fiduciose con gli altri compensando i piaceri con i doveri
  • svolgere attività stimolanti e fantasiose
  • ritrovare la semplicità nelle cose per una sana gioia di vivere.

Con i bambini bisogna scegliere la dimensione organizzativa che dia spazio alle situazioni di libera esplorazione inserendo il lavoro percettivo nei tempi giusti e con modalità ludiche.

Dopo ogni movimento il cervello non è più lo stesso, nel suo interno alcuni neuroni si svegliano e questo lo arricchisce di nuova vita.

Esplorare

L’esplorazione di nuove azioni motorie ci darà altre possibilità di esistenza, allargherà le nostre conoscenze sul mondo, ci aprirà ad una maggiore scelta tra i comportamenti ed alla fine tutto questo ci porterà alla nostra coscienza autentica, ci farà toccare la libertà.

Non c’è nessun movimento che si può comprendere fino in fondo se non lo si vive completamente.

Una persona che non esplora il suo corpo in tutti i suoi movimenti non si conoscerà mai a fondo.

Se all’improvviso si svegliano un certo numero di cellule nervose del cervello esse potranno finalmente vivere, destandosi dallo stato di letargo nel quale le abbiamo confinate.

La mattina, appena ci alziamo dal letto, possiamo partire dal semplice spazzolarci i denti con la mano che di solito non si usa.

Ricordiamoci che non ci sono gesti sbagliati, goffi, e neanche giusti e perfetti, perché tutti i movimenti hanno significati e sviluppi imprevedibili.

Circle-time, brainstorming, team-teaching. mastery-learning, problem-solving, cooperative-learning, role-play, know-how con questi termini i pedagogisti di tutto il mondo hanno cercato di sintetizzare un preciso programma educativo ed organizzativo.

Conclusione

La lingua inglese offre grandi possibilità di usare poche parole che rimandano a vasti significati e allora anche io utilizzo la versatilità di questa lingua cambiando “brain” con “motion”, (è un cambio-scambio visto che la mente e il movimento interagiscono in continuazione), produco il mio

motionstorming”, una tempesta, questa volta, di movimenti.

di Pasquale Iezza