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Dual Career

Cos’è la dual career?

Chi bazzica nel mondo sportivo forse si sarà imbattuto nell’espressione dual career, ma al grande pubblico (e perfino ai diretti interessati) è perlopiù sconosciuta.

Letteralmente si traduce con “doppia carriera” e si riferisce a tutti coloro che percorrono contemporaneamente due strade.

Ad esempio…

…chi:

  • si occupa di tenere in ordine la casa ma ha anche un lavoro;
  • ha un impiego principale ma anche un hobby;
  • ha due attività e così via.

Nell’ambiente sportivo la definizione ha preso particolarmente piede poiché molto spesso gli atleti sono costretti a condurre, insieme alla carriera agonistica, quella scolastica prima e lavorativa poi.

Destreggiarsi tra due vite, quella sportiva e quella scolastica/lavorativa, non è assolutamente facile, richiede dedizione completa, impegno e molti sacrifici.

La routine di un atleta con dual career è estenuante:
  • la sveglia al mattino suona alle 5:00
    • quando il sole non è ancora sorto, per recarsi in società per il primo allenamento della giornata.
  • Tra le 8:00 e le 9:00 il ragazzo si farà una doccia rapidissima
    • e poi di corsa a scuola o al lavoro dove, anziché riposarsi e ricaricare le energie, dovrà mantenere alto il livello di attenzione e continuare ad impegnarsi mentalmente e/o fisicamente.
  • Dopo un pranzo veloce (al quale invece si dovrebbe prestare molta attenzione per fornire al corpo il giusto apporto di nutrienti) correrà verso un nuovo allenamento pomeridiano, spesso più intenso del precedente.
  • A sera il nostro atleta sarà esausto, eppure dovrà trovare il tempo e le energie per svolgere i compiti scolastici e frequentare famigliari e amici. Può accadere che sia troppo stanco e decidere di sacrificare il tempo con i compagni in favore di una bella dormita ma, se da un lato questo giova al suo corpo, dall’altro porta ad un impoverimento della sfera sociale e un accumulo di stress.
Condurre una simile vita è molto faticoso.

Perché, allora, la maggior parte degli sportivi preferisce la dual career?


Su questo argomento sono stati svolti vari studi che hanno portato alla luce numerose motivazioni.

La prima risulta essere il lavoro, visto come la necessità di avere una fonte di sostentamento alta rispetto allo sport.

Questa esigenza è così sentita per due ragioni:

  • da un lato, soprattutto per le discipline dilettantistiche, le vittorie da sole non bastano al sostentamento di una famiglia,
  • dall’altro c’è l’incertezza legata al raggiungimento o meno dello status di atleta d’elite
    • (al quale è legata un’entrata economica di peso molto variabile in base alla disciplina praticata).
L’atleta è anche costretto a tener conto della durata della sua carriera sportiva.

Quando questa sarà finita, termineranno pure i premi economici e dovrà trovarsi un impiego che difficilmente gli verrà concesso se non avrà portato a termine gli studi.

Assicurarsi un futuro al di fuori dello sport non è l’unica motivazione emersa dalle ricerche:

queste hanno evidenziato che molti atleti preferiscono essere coinvolti in entrambe le carriere perché ciò fornisce loro un maggiore livello di stimolazione cognitiva, soddisfazione personale e fiducia in se stessi.

Cosa dicono le ricerche

Gli studiosi hanno evidenziato che gli sportivi impegnati in dual career presentano un maggiore senso di unità di identità, un più alto livello di benessere psico-fisico e, quando la loro carriera giunge al termine, una migliore transizione dal mondo sportivo a quello lavorativo.

Da quanto detto appare evidente come sia importante favorire la doppia carriera, eppure nella maggior parte dei casi, soprattutto in Italia, questa viene scoraggiata.

Le barriere maggiori sono tre:


Per i giovani, queste sono le figure principali di riferimento e pertanto si lasciano influenzare dalle loro opinioni.

In particolare, tra gli allenatori è frequente l’idea che la scuola non sia importante, ma anzi una perdita di tempo che sottrae ore agli allenamenti.

Benessere
Foto di Andrea Piacquadio

Più o meno lo stesso è il pensiero dei docenti tra i quali è ancora molto vivo lo stereotipo dell’ “atleta stupido”, visto cioè come alunno meno cognitivamente dotato semplicemente perché si dedica con fervore all’attività fisica.

Conseguenze psicologiche

Queste idee sono quanto mai dannose per l’autostima e il senso di autoefficacia dei ragazzi e possono favorire sentimenti di inadeguatezza verso la scuola o lo sport, disistima di sé e depressione al punto tale da abbandonare uno dei due percorsi.

L’allontanamento da una carriera non rappresenta semplicemente la morte di un sogno e la perdita di una possibilità, ma ha conseguenze anche sulla psiche dei ragazzi.

La rinuncia a un percorso, infatti, fa nascere insicurezze che portano a una diminuzione dell’autostima e a un maggiore senso di incapacità.

Naturalmente questa situazione genera malessere che porta a un vero e proprio abbassamento della qualità della vita del ragazzo.

Nel caso della rinuncia allo studio, a carriera sportiva terminata, senza una laurea ed esperienze lavorative, lo sportivo avrà serie difficoltà a trovare un lavoro stabile.

Questo aumenterà le incertezze, lo stress e le ansie relative al futuro, fino ad arrivare a un’auto-svalutazione di sé che porterà a una diminuzione dell’autostima che potrà arrivare a veri e propri sintomi psicopatologici.

Nel caso dell’abbandono dell’attività sportiva,

il ragazzo vedrà distruggersi il sogno di vestire la maglia nazionale, si chiederà per sempre se:

  • avrebbe potuto farcela
  • si sentirà monco di un’esperienza di vita che aveva desiderato con fervore e per la quale stava lottando
  • si vedrà come un buono a nulla per non essere riuscito a portare avanti la dual career.
  • proverà un senso d’ inferiorità verso chi ce l’ha fatta

Dare agli atleti la possibilità di portare avanti la carriera sportiva, unita all’istruzione e/o al lavoro, significa dar loro la possibilità di sviluppare una personalità sana affinché possano svolgere il proprio ruolo nella società, garantirsi un reddito soddisfacente, arrivare alla gratificazione affettiva e sociale.

Conclusioni

Per raggiungere questo obiettivo bisogna puntare su ciò che nelle ricerche gli studiosi chiamano “facilitatori

Facilitatori

Quegli attori che, gravitando intorno allo sportivo, lo spronano a portare avanti entrambe le carriere.

Paradossalmente è emerso che si tratta degli stessi personaggi che costituivano le barriere: famiglia, insegnanti e allenatori.

Quando questi individui hanno pareri discordanti tra loro e sono contrari ad una delle due carriere, l’atleta ne è influenzato negativamente e può demoralizzarsi fino al ritiro da una delle due;

al contrario, quando gli adulti di riferimento lavorano in armonia, senza pregiudizi gli uni verso gli altri, allora il giovane trae beneficio dal clima sereno e aperto.

Per fare in modo che le principali barriere alla dual career si trasformino in facilitatori è necessaria

una rivoluzione culturale, non solo nel mondo scolastico, lavorativo e sportivo, ma nell’intera società italiana.

di Virginia Abbagnale

studenti - atleti

Tutelare gli studenti-atleti

…significa fare favoritismo?

La vita dell’atleta agonista non è affatto semplice, soprattutto quando va coniugata con la scuola/università o il lavoro.

A volte le difficoltà sono tali che i ragazzi gettano…

…la spugna e abbandonano uno dei due percorsi.

Molto spesso la scelta è obbligata dall’atteggiamento dei loro superiori:

che non fanno il minimo sforzo per comprendere le criticità di una dual career

  • scarsità di tempo,
  • stanchezza fisica e mentale,
  • frequenti spostamenti

né per venire loro incontro concedendo flessibilità sufficiente per conciliare le due vite.

Nel mondo della scuola, anche del lavoro, l’ostacolo maggiore all’integrazione degli studenti-atleti è rappresentato dai pregiudizi nei loro confronti.

delusione
foto da tredicesimoround.it

È molto diffuso il cosiddetto stereotipo “dell’atleta stupido”: la maggior parte dei professori cioè pensa che se un ragazzo si impegna tanto nello sport, allora lo studio non fa per lui.

Il pensiero inverso è diffuso tra gli allenatori, i quali pensano che se si dedica troppo alla scuola, non riuscirà a prepararsi a sufficienza per le gare.

Su quali basi scientifiche si fonda questa idea?

Nessuna!

Anzi si potrebbero fare molti esempi che è vero il contrario.

Si tratta, quindi, di una convinzione culturale, a priori e profondamente sbagliata, diffusissima in Italia, che impedisce una dual career serena.

La parzialità?

Un’altra credenza diffusa riguarda l’idea del “favoritismo”.

Finalmente negli ultimi anni a livello ministeriale sono stati presi dei tiepidi provvedimenti per sostenere gli studenti-atleti, ma molti docenti e dirigenti ostacolano i progetti perché li vedono come un favoritismo rispetto agli studenti che portano avanti un solo percorso di vita.

Prendendo in esame alcuni importanti documenti, è facile dimostrare come questa idea sia scorretta e che, al contrario, gli studenti-atleti si vedono negati i propri diritti di esseri umani, cittadini e studenti.

Leggi, articoli e costituzione

La “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani” delle Nazioni Unite, all’articolo 26 comma 1, recita:

“Ogni individuo ha diritto all’istruzione”,

e al comma 2,

“L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana e al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.”

Il diritto allo studio è definito come diritto di tutti, ma la verità è che nella quotidianità non è riconosciuto ai giovani atleti poiché, senza la comprensione di dirigenti scolastici e professori, spesso sono costretti a compromettere la loro istruzione per raggiungere i vertici nello sport.

Passando alla nostra Costituzione all’articolo 3, comma 2, è scritto che

occorre garantire a tutti le medesime opportunità rimuovendo ogni ostacolo che possa impedire il pieno sviluppo della persona.

Ne consegue che ogni individuo è libero di perseguire il proprio sviluppo come meglio crede senza per questo essere discriminato.


Ancora, l’articolo n. 34,

“la scuola è aperta a tutti”,

introduce il principio di uguaglianza di opportunità educative, a prescindere da qualsiasi differenza.

Purtroppo nella realtà avviene di frequente che gli atleti vengano discriminati per la loro scelta di vita, spesso proprio dalle figure che maggiormente dovrebbero sostenerli (insegnanti, allenatori, datori di lavoro).

La Legge di Riforma 53/2003 sottolinea il diritto di tutti gli alunni alla personalizzazione dei percorsi di apprendimento.

Di nuovo, si tratta di un diritto del quale devono godere tutti gli studenti, nessuno escluso.

Altre norme

È possibile rintracciare anche norme più specifiche come la direttiva del 27 dicembre 2012 che

riconosce specificatamente il diritto all’istruzione dei bambini con Bisogni Educativi Speciali.

I cosiddetti BES sono ragazzini che si trovano a vivere, per un tempo più o meno lungo e per qualsiasi motivo, una situazione che li ostacola nell’apprendimento e nello sviluppo.

Gli studenti-atleti rientrano a pieno titolo in questo gruppo di allievi.

La dual career, infatti, è un percorso che, sebbene comporti molti benefici, si accompagna anche a notevoli difficoltà le quali, se non adeguatamente fronteggiate, possono tradursi in disagio psico-fisico e/o in abbandono della carriera scolastica o sportiva.

Nonostante ciò ancora oggi l’inclusione viene in genere rivolta soltanto agli allievi che presentano svantaggi motori e/o cognitivi, economici o sociali.

Al contrario, come definito nell’ Index per l’inclusione:  

“l’inclusione si riferisce all’educazione di tutti i bambini, ragazzi con BES e con apprendimento normale”

perciò ne consegue che la scuola deve essere un ambiente che risponde ai bisogni di tutti i suoi utenti.

Ogni ragazzo deve avere il diritto di sviluppare tutte le sue potenzialità, mentali ma anche pratiche, fruendo allo stesso tempo dei percorsi didattici grazie ai quali potrà godere di un positivo inserimento nel tessuto sociale, civile e lavorativo.

Conclusione

Infine, se per gli alunni stranieri o con svantaggio socio-economico è riconosciuta e prevista a livello nazionale la stesura di un Piano Didattico Personalizzato, gli atleti, che godono degli stessi diritti di qualsiasi altro studente, devono avere la possibilità, non passeggera e legata a una sperimentazione come accade attualmente, di vedersi redatto un Progetto Formativo Personalizzato.

In modo che individui tutte le criticità della loro condizione, a partire dalle assenze superiori alla media fino ad arrivare al tempo limitato da spendere nello studio individuale.

La richiesta di maggiore comprensione e flessibilità in presenza di una doppia carriera non nasce dal desiderio di avvantaggiare gli sportivi ma ha come obiettivo quello di rispettare le leggi italiane, restituendo loro quello che è un diritto di tutti gli allievi:

apprendimento in un clima sereno, di disponibilità, condivisione, sostegno e collaborazione.

di Virginia Abbagnale