Superallenamento

Periodizzazione – Superallenamento si…

ma programmato

Sottolineare quanto sia importante mantenere sotto controllo certi segnali, come la difficoltà a recuperare dopo una sessione di allenamento particolarmente dura, è di una importanza estrema.

I sintomi più evidenti sono:

  • irritazione muscolare che continua oltre le 48 ore dopo l’esercizio;
  • dolore cronico alle articolazioni;
  • sonno agitato e/o stanchezza dopo il sonno;
  • cambiamenti notevoli nelle normali funzioni del corpo;
  • mancanza di motivazione.

Se si nota qualcuno di questi, bisogna modificare:

  • l’intensità
  • la durata
  • la frequenza degli esercizi

e continuare ad osservare qualunque cambiamento.

In seguito a sedute di superallenamento è necessario inserire, in un programma di allenamento, un giorno o due alla settimana esclusivamente dedicati al riposo. 

Nel programma di periodizzazione è assolutamente previsto un paio di periodi di riposo “attivo “ che seguono la stagione pre – agonistica e la stagione regolare (o post – agonistica)

La periodizzazione
periodizzazione

E’ il programma pianificato di allenamento di un atleta o di una squadra durante tutto l’anno che culmina in un ottimale livello di condizionamento atletico o in una buona prestazione complessiva in un periodo prestabilito della stagione.

Nello specifico nel basket, che è uno sport in cui ogni partita conta, un allenamento stagionale teso a raggiungere il culmine della forma nei play – off, non è realistico.

Perciò un piano sistematico di allenamento fornisce delle variazioni:

  • Nell’ Intensità di allenamento (gradi di difficoltà dell’esercizio; la qualità del lavoro);
  • Nel volume (la quantità di lavoro);
  • Nella tecnica (abilità specifica al basket e capacità atletiche)

Le variazioni sono attuate per massimizzare l’effetto dell’allenamento e le prestazioni altamente positive.

Manipolando queste variabili, compreso l’allenamento della forza, è possibile preparare un piano efficace per la stagione da iniziare.

di Tiziano Megaro

importanza dell'idratazione

L’importanza dell’idratazione

Lo stato di idratazione è un fattore molto importante, sia per la salute, sia per la prestazione sportiva.

Poiché l’organismo adulto contiene fino al 50-60% d’acqua, tutte le funzioni corporee dipendono dallo stato di idratazione. Infatti, nell’acqua extra- e intra-cellulare sono diluiti e trasportati molti elementi, tra cui grosse molecole e piccoli ioni.

L’acqua è determinante per la regolazione della temperatura corporea, la digestione e il trasporto degli elementi nutrizionali e delle sostanze di rifiuto. Un buono stato di idratazione è basilare per il mantenimento delle cellule, dei tessuti, degli organi, dei sistemi, degli apparati e di tutte le funzioni vitali.

Durante la prestazione sportiva l’organismo viene spinto oltre il limite di normalità. Ciò significa che senza una buona idratazione è impossibile esprimere al massimo le specifiche potenzialità atletiche.

In pratica:

> Stato di Idratazione = > Prestazione > Recupero

< Stato di Idratazione = < Prestazione < Recupero

L’importanza di questa relazione vale soprattutto per:

  • Discipline ad alta intensità.
  • Discipline di lunga durata.
  • Discipline che provocano una sudorazione intensa o soggetti predisposti.

Funzione dell’Acqua e del Sudore

Tralasciando le funzioni vitali esercitate dall’acqua per il corpo umano, soffermiamoci sul ruolo dell’idratazione nella performance sportiva. 

Il movimento umano è basato sulla contrazione muscolare; alla fine di questo processo vengono prodotti calore e molecole di rifiuto.

Il trasporto dei nutrienti, dei sali e dei cataboliti si basa sul flusso sanguigno, mentre il calore viene disperso tramite la sudorazione.

Nonostante richiedano entrambi molta acqua, i due processi sono perfettamente in grado di coesistere.

D’altro canto, quando la regolazione termica impegna troppi liquidi, il volume del sangue diminuisce e la funzione di trasporto rimane compromessa lasciando “a secco” i tessuti.

Composizione, Dispersione e Performance

Il sudore è una soluzione idrosalina che contiene prevalentemente acqua, sodio e potassio; in misura inferiore magnesio e cloro. Viene prodotto dalle ghiandole sudoripare a partire dal plasma sanguigno.

La quantità media di sudore dispersa da un organismo in movimento è circa 1,5 litri/ora. D’altro canto, se la temperatura esterna è tale da richiedere un impegno fuori dal comune, l’escrezione può raggiungere i 4-5 litri/ora.

Il sudore non è l’unica via di espulsione dell’acqua; contribuiscono anche la diuresi e (in misura inferiore) la ventilazione polmonare. D’altro canto, il fisico è in grado di reagire alla disidratazione diminuendo la filtrazione renale e aumentando la sete.

sudore

La relazione tra perdita di liquidi e prestazione sportiva è molto stretta. Già con una deplezione pari al 2-3% rispetto al peso corporeo avviene un calo importante dei risultati.

Ad esempio, un un uomo adulto che pesa 70kg e perde 1,5-2,0 litri non è in grado di affrontare gli stessi sforzi rispetto al normale.

Migliorare l’Idratazione nello Sport

Non è certo una novità che per contrastare la sudorazione sia necessario bere di più.

In che modo?

Cosa Bere

Specifichiamo fin da subito che le bevande non sono tutte uguali.

Molti credono erroneamente che l’acqua rappresenti la bevanda migliore.

Tale supposizione è facilmente smentibile poiché, come abbiamo già visto, la composizione del sudore è diversa e più ricca rispetto all’acqua.

La bevanda ottimale dovrebbe contenere necessariamente potassio e magnesio.

Può essere prodotta anche a livello casalingo, miscelando vari ingredienti. Tuttavia, in commercio sono disponibili delle ottime formule che contengono tutti i nutrienti più utili.

Certi considerano l’utilizzo degli integratori alimentari idro-salini e/o multi vitaminici un atteggiamento “innaturale”. D’altro canto, analizzando lo sforzo atletico necessario alla maggior parte delle discipline, ci si rende conto che si tratta di attività tutt’altro che naturali (nessuna esclusa).

Gli integratori alimentari non possono certo sostituire una dieta sana ed equilibrata (cibi e bevande), ma consentono di fornire i principi nutrizionali “più critici” senza introdurre altri nutrienti dei quali talvolta non abbiamo bisogno (fibre, molecole antinutrizionaligrassiproteinezuccheri ecc).

integratore alimentare

Inoltre, bisogna considerare un altro fattore importantissimo, cioè il potenziale di assorbimento.

Alcuni pensano che l’acqua sia il liquido più facilmente assorbibile dall’organismo; non è corretto.

Infatti, le mucose assorbono meglio i liquidi a concentrazione isotonica o blandamente ipotonica. Per ottenere questa proprietà sono necessari diversi sali minerali e alcuni carboidrati.

Anche la temperatura è un fattore determinante per l’assorbimento. La bevanda dovrebbe essere molto fresca, facendo attenzione a non esagerare (ghiacciata non va bene!) scongiurando il rischio di crampi addominali, vomito, diarrea ecc.

Quanto Bere?

Può sembrare una banalità ma la risposta è: “né poco, né troppo”.

Bere poco favorisce la disidratazione e bere troppo causa altri problemi altrettanto nocivi.

L’eccesso di liquidi innesca la filtrazione renale. Tale processo richiede l’escrezione di sali minerali, soprattutto sodio e potassio.

Va ricordato che il sodio è generalmente presente in eccesso nella dieta, mentre il potassio in difetto.

Ecco che, nel tentativo di migliorare l’idratazione, bevendo troppa acqua si corre il rischio di peggiorare l’equilibrio salino compromettendo la prestazione sportiva.

Per evitare che ciò accada è sufficiente:

  • Ascoltare il senso della sete.
  • Bere poco più del volume di liquido espulso col sudore.
  • E’ sufficiente praticare una doppia pesata (prima e dopo l’allenamento) per conoscere l’entità della nostra sudorazione e compensarla negli allenamenti futuri.
  • Prediligere una bevanda idro-salina.
sali minerali

Per fare un esempio, se dopo un allenamento in palestra viene stimata una perdita di sudore pari a 2 litri, è necessario bere almeno 2,5-3,0 litri di liquido. E’ consigliabile che almeno 1/3 venga costituito da una bevanda idro-salina isotonica.

Quando Bere?

Comprendere quale sia il momento più adatto per bere non è semplice. Teoricamente, bisognerebbe prevenire la disidratazione bevendo molto, sia poco prima che durante l’attività. D’altro canto, entrano in gioco molte variabili di tipo soggettivo.

Non tutti sopportano i liquidi nello stomaco mentre praticano sport. Peraltro, le varie discipline possono risultare molto diverse tra loro.

Bere durante un allenamento di trekking è facile, pratico e presenta pochi effetti collaterali. Lo stesso non si può dire del nuoto di fondo o peggio dell’apnea subacquea profonda (durante la quale si trascorre molto tempo a testa in giù).

Immersi nell’acqua, soprattutto a testa in giù (come avviene nell’assetto costante dell’apnea subacquea profonda), avvengono facilmente: reflusso, rigurgito, nausea ecc.

Per evitare i molti inconvenienti del bere durante lo sport è necessario:

  • Bere a piccoli sorsi.
  • Prediligere bevande di facile assorbimento.
  • Evitare indumenti o imbragature scomodi o stretti.
Altre Considerazioni

Concludiamo rammentando che, oltre ai liquidi, l’attività motoria causa perdite anche di:

Nella scelta della bevanda, soprattutto in caso di attività molto intensa, prolungata e con sedute ravvicinate, è consigliabile prediligere un prodotto ricco di tutte le vitamine, potassio, magnesio, maltodestrine e nutrienti antiossidanti.

atleta beve

di Davide Antoniella

Forza tridimensionale

La forza tridimensionale e funzionale negli sport di situazione

L’effettore finale del movimento è il sistema muscolare, che trova nelle sue unità funzionali, i sarcomeri, i protagonisti del suo accorciamento in toto, spiegabile grazie alla teoria dello scorrimento dei filamenti.

I sarcomeri in quanto singola unità, devono sommarsi tra loro per creare il substrato strutturale motorio.

Sistema muscolare

Deve far riflettere come a partire da un evento “banale” quale lo scorrimento di Actina e Miosina, possa derivare una variabilità gestuale estremamente complessa. Per cui la chiave dell’allenamento o della prevenzione di un evento traumatico, deve orientarsi ad ottimizzare tutto quello che precede e consegue la formazione dei ponti trasversali a livello del muscolo e non concentrarsi sul mero rinforzo locale.

A questo possiamo poi aggiungere la maggiore complessità degli sport situazionali, grazie all’interazione del soggetto in questione con gli eventuali compagni di squadra, con l’avversario/i, con le infinite possibilità di variabili legate al gioco e di tutto ciò che ne consegue.

La sommazione dei sarcomeri, da un punto di vista teorico, si effettua in duplice modalità. La sommazione in serie e la sommazione in parallelo.

Se si considera il comportamento di due sarcomeri e si valuta il risultato complessivo di questi, le caratteristiche del movimento derivato di tale organizzazione sarà peculiare.

La sommazione in parallelo porterà ad un quadro di caratteristiche orientate ad un’espressione di forza maggiore, la sommazione in serie darà vantaggio sulla velocità di accorciamento (1).

La forza che il muscolo può esprimere non dipende esclusivamente dall’attività muscolare “pura”, ma può avere man forte dalle strutture passive perimuscolari.

La forza generata dal tessuto contrattile può esprimersi grazia a una duplice modalità di trasmissione, la quale, può essere di tipo diretto o indiretto.

Per cui possiamo avere (2):
  • Trasmissione Miotendinea, che si esprime agli estremi del muscolo.
  • Trasmissione Miofasciale, che può avere luogo lungo tutta la lunghezza del sarcomero.

Considerando il modello dello scorrimento dei filamenti e che a livello tendineo il movimento autorizzato sarà una trazione longitudinale al ventre muscolare, all’interno del ventre stesso le forze in gioco saranno di tipo tridimensionale.

I responsabili strutturali di questo sistema accessorio a quello longitudinale possono essere riconducibili all’Epimisio, Perimisio ed Endomisio. Per cui la forza, oltre che nascere dal sistema esclusivamente attivo, può nascere, grazie alle intime relazioni strutturali, anche dallo stroma connettivale (3).

epimisio endomisio perimisio
epimisio, endomisio e perimisio

La forza espressa da un singolo sarcomero dipende dal grado di sovrapposizione dei filamenti di actina e miosina. Essa è maggiore a lunghezze intermedie e tende a diminuire a mano che ci allontana da questa lunghezza ottimale.

Sulla base di questo sistema ausiliario di trasmissione di forza, un antagonista muscolare può essere fondamentale per l’ottimizzazione della produzione di forza da parte un dato muscolo, in quanto elemento di stabilizzazione.

In base a tale discorso si può capire come la forza sia angolo e gesto specifica, e di come più ci si allontani dalle caratteristiche tecniche di riferimento, più sarà difficile che la capacità allenante di un dato esercizio possa essere utile al miglioramento della performance.

Questo potrebbe indurre a far credere che esercizi aspecifici o di isolamento abbiano poco senso nell’ambito degli sport di situazione, ovviamente è un’affermazione che va contestualizzata al livello del soggetto (4).

Più un atleta è specializzato e più sarà preponderante la ricerca di una relativa specificità

Negli atleti evoluti si favorirà sempre più un approccio tendente all’ottimizzazione coordinativa gestuale, più che del miglioramento di parametri fisiologici. La stessa considerazione può essere usata per gli esercizi multiarticolari, nei quali potrebbe esservi uno stimolo eccessivo per determinati distretti ed irrisorio per altri.

Anche in tal caso la risposta va cercata nelle esigenze del singolo tramite una valutazione delle esigenze (5).

Considerare il vissuto dell’individuo, i traumi, infortuni, postura dinamica, caratteristiche trasversali, unitamente alle richieste dello sport praticato, è un primo approccio da considerare come riferimento operativo. 

Atleta forza tridimenzionale
CONCLUSIONI

A partire da questo piccolo cappelletto introduttivo, i riferimenti da considerare per orientare il lavoro possono essere riassunti dai seguenti punti:

  • Colloquio conoscitivo dell’atleta. (Considerare il suo vissuto, il suo stile di vita, la storia dei traumi, le sue esigenze)
  • Valutazione posturale soprattutto dinamica.
  • Valutazione delle richieste sport-specifiche. (Soprattutto angoli di lavoro, tipologie di forza maggiormente necessari, tempi di applicazione della forza, traumatismi principali della disciplina svolta)
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Bibliografia

  • C.Bosco. La forza muscolare. Aspetti fisiologici ed applicazioni pratiche.
  • Huub Maas and Thomas G. Sandercock. Force Transmission between Synergistic SkeletalMuscles through Connective Tissue Linkage.
  • Huub Maasa, Guus C. Baana, Peter A. Huijing. Muscle force is determined also by muscle relative position: isolated effects.
  • Schoenfeld BJ, Contreras BM. Is functional training really functional? ACSM Certified News 2010.
  • Schoenfeld BJ, Contreras BM. Do single-joint exercises enhance functional fitness? Strength Cond J 2012.

Autori: Antonio Di Stasio e Dario Mirra

Storia della preparazione atletica

Storia della preparazione atletica

Nuovo concetto di allenamento e suoi principi
Evoluzione preparazione fisica

La storia della preparazione atletica vede la sua comparsa, in modo sistematico, nel calcio intorno agli anni ’60; successivamente ha avuto una forte diffusione anche nelle altre discipline sportive.

La metodica di allenamento deriva…

dall’atletica leggera che, a quel tempo, era l’unico sport che aveva mutuato una cultura strutturata.

atletica-leggera

Questo intervento ha comportato un approccio aspecifico all’attività portando ad una stabilizzazione delle capacità degli atleti e ad una aumento del numero di infortuni.

Negli anni ’80 anche altri sport si affacciano ad un approccio “atletico “ ma con metodiche che nulla avevano a che fare con il modello prestativo.

Negli anni ’90, con la scoperta dei lavori di forza, anche per la pallacanestro, il preparatore ha assunto una rilevanza maggiore rispetto al passato.

Ciò nonostante, le metodiche non erano ancora specifiche anzi derivavano dai body builders con le stesse conseguenze derivanti dall’applicazione dei metodi dell’atletica leggera.

Da pochi anni è iniziata una piccola rivoluzione nell’area della preparazione fisica con l’introduzione di un concetto più moderno: “L’ALLENAMENTO FUNZIONALE”.

Alcuni studiosi hanno dimostrato quanto siano importanti gli aspetti coordinativi del gesto specifico rispetto all’esclusivo lavoro di aumento della forza muscolare, attraverso esercizi che niente hanno a che fare con i movimenti tecnici o la posizione che un cestista assume in campo.

L’allenamento funzionale quindi affiancherà l’allenamento tecnico – tattico del cestista attraverso programmi personalizzati e specifici.

Allenamento funzionale
PRINCIPI DI ALLENAMENTO

L’allenamento nasce dal modello di prestazione tipico del cestista e si sviluppa seguendo dei criteri che tengono in considerazione i requisiti fisici dell’individuo e la sua volontà.

Modello prestativo:

  • Energetico (fonti energetiche maggiormente utilizzate)
  • Biomeccanico (gesto che viene svolto, con partciolare riferimento al rapporto degli arti e anche delle componenti cinematiche e dinamiche)
  • Neuromuscolare (Percentuali di forza impresse e tempo di applicazione)

I parametri che definiscono il modello prestativo sono:

  • Durate della gara
  • Presenza di variazioni
  • Intensità e durata delle variazioni
  • Frequenza del gesto
  • Tempo di applicazione del gesto
  • Adattamento
  • Periodizzazione e progressione

Oltre agli elementi aggiuntivi che sono il riposo e la nutrizione.

L’obiettivo finale dell’allenamento è la gara, oltre per lo scopo agonistico ma anche perché è fondamentale conoscere, osservare e appuntare il comportamento dell’atleta in fase di gara in quanto ci indica la strada da percorrere per programmare l’allenamento.

Gara

(cit e rif.. Prof. Roberto Colli e prof. Gianni Cedolini)

Condizioni sulla sicurezza

Alcuni giocatori pensano, erroneamente, che giocare molte partite sia tutto ciò di cui hanno bisogno per restare in forma.

Il giocare, semplicemente, una partita non stimola adeguatamente quelle qualità fisiche necessarie per elevare le abilità specifiche del basket o a qualsiasi altro sport ad un livello più alto.

Oltre alle componenti di buona forma fisica e buona prestazione atletica, un giocatore…

di pallacanestro o un atleta in genere, deve adottare la filosofia dell’allenamento totale che include tutte quelle variabili atletiche che tratteremo nei prossimi approfondimenti compresa la sicurezza.

sicurezza

Prima di realizzare un qualsiasi programma di allenamento bisogna assicurarsi di mirare ai maggiori benefici fisici diminuendo al massimo le circostanze negative che potrebbero causare infortuni. Questo fa parte in effetti delle responsabilità dell’allenatore e del preparatore fisico, ma anche gli atleti devono fare la loro parte ed usare del buon senso.

Elenco alcune, generali, misure di sicurezza da seguire durante un programma di allenamento che come al solito possono sembrare banali ma che non si può, per nessun motivo, evitare:

  • Eseguire protocolli di propriocezione e mobilità;
  • Effettuare sempre una giusta attivazione, lo stretching (in dinamicità), prima dell’allenamento, ed il defaticamento dopo la seduta.
    • Al di là del condizionamento fisico di fondo, è fondamentale preparare il corpo all’attività sportiva con un incremento graduale e complessivo dell’impegno muscolare cardiovascolare che costituisce il “riscaldamento”.
      • Messo a regime, il corpo sopporta molto meglio carichi di lavoro intensi ma anche il graduale ritorno alle situazioni di riposo.
        • Attraverso un progressivo rallentamento dell’attività e attraverso il recupero di un tono muscolare più rilassato è un utile strumento di prevenzione dei danni da sport;
  • Evitare per qualsiasi motivo tiri a freddo dalla lunga distanza o qualsiasi gesto tecnico che necessita di un evidente sforzo muscolare;
  • Tenere il campo da gioco libero da ostacoli e pulito in caso di parquet;

L’interazione tra l’atleta e il terreno di gioco è stata studiata approfonditamente dalla biomeccanica con il duplice scopo di ottimizzare l’espressione del gesto sportivo e di ridurre l’incidenza di traumatismi.

mobilità

L’introduzione di materiali sintetici sempre più perfezionati ha modificato sensibilmente la natura e l’incidenza dei traumi di gioco.

D’altra parte i nuovi terreni hanno un differente comportamento dal punto di vista dell’aderenza della scarpa al terreno, che inizialmente ha prodotto un aumento dei traumi distorsivi.

Alcuni studi indicano nell’insieme un beneficio in termini di ridotta incidenza degli infortuni, attribuibile ai terreni sintetici rispetto a quelli naturali, soprattutto negli sport di squadra. Dobbiamo tenere conto, oltre che dei traumi acuti, dell’insidia delle lesioni micro traumatiche ripetute.

Un terreno rigido come un pavimento in cemento e linoleum assorbe ben poca dell’energia scaricata in salti ripetuti e perciò favorisce microtraumi del piede, dell’arto inferiore e della colonna. Ben diverso è l’effetto di un parquet elastico. La superficie inoltre può essere più o meno sdrucciolevole.

campo in cemento
fondo in cemento
campo in parquet
fondo in parquet
carpo in erba
fondo in erbetta

Alcune Federazioni sportive hanno adottato come regola la posa temporanea di terreni sintetici in tutte le competizioni (avviene per esempio nella pallavolo), con lo scopo di ottimizzare la presa del terreno e ridurre i possibili traumatismi

campo sintetico
fondo in sintetico
  • Far utilizzare scarpe che diano una corretta stabilità laterale, sufficiente ammortizzamento dei talloni e buon supporto plantare;
  • ll carico di lavoro va adeguato gradualmente alle capacità prestative del soggetto.

Questa affermazione apparentemente banale presuppone però una solida base di conoscenze tecniche che serve a poter giudicare il singolo atleta nello specifico momento.

L’uso di tabelle di lavoro standard può essere una piattaforma di partenza, ma rischia di non rispondere adeguatamente alle esigenze specifiche. Tanto un carico troppo lieve, quanto uno eccessivamente gravoso sono potenziali fonti di infortunio nella pratica dello sport.

Se un gran numero di giocatori è coinvolto nell’esercizio, bisogna comunicare efficacemente per evitare collisioni e quindi per quanto non completamente necessari, attrezzi come i coni, cinesini e gli adesivi che indicano i punti di tiro e le corsie di passaggio sul pavimento, aiutano ad eliminare la confusione e servono a mantenere il movimento fluido e sicuro.

Un aspetto, fondamentale, che, purtroppo, non viene preso molto in considerazione è quello di consentire un adeguato riposo e recupero agli atleti a secondo della forma dei singoli ed al livello di tolleranza dei lavori svolti nelle sedute.

Riposo

Riferimenti a G. Brittnham e Jurgen Weineck

Tipi di mobilità articolare

Tengo a sottolineare che i miei articoli si basano sia su un’ampia bibliografia, sia sul lavoro che ininterrottamente da trent’anni continuo a svolgere in palestra.

Il primo input che mi viene di lanciare, per poter poi approfondire grazie ai vostri interventi, è quello di evidenziare i vari tipi di mobilità articolare…

che viene suddivisa in:

  • Generale
  • Speciale
  • Attiva
  • Passiva
  • Statica
Mobilizzazione articolare

Si parla di mobilità articolare generale quando esiste un livello sufficientemente sviluppato di mobilità nei principali sistemi articolari (articolazioni delle spalle e dell’anca, colonna vertebrale). Si tratta comunque di un criterio relativo, perché il grado di sviluppo della mobilità generale può essere più o meno elevato a seconda del livello delle esigenze (atleta di alto livello o dilettante).

Invece si parla di mobilità articolare speciale quando viene riferita ad una determinata articolazione. Ad esempio, il giocatore di pallacanestro ha bisogno di una mobilità accentuata nelle articolazioni della spalla e dell’anca.

La mobilità articolare attiva è la massima escursione di movimento in una articolazione che il giocatore può raggiungere contraendo i muscoli agonisti (Gli agonisti sono i muscoli responsabili per primi della generazione del movimento) – e parallelamente estendendo gli antagonisti. (Gli antagonisti agiscono in opposizione al movimento generato dagli agonisti e sono responsabili del ritorno dell’arto alla posizione iniziale).

Invece la mobilità articolare passiva è la massima escursione del movimento in una articolazione che il giocatore può raggiungere per l’azione di forze esterne (forza di gravità, attrezzi, azione di un compagno) solo attraverso la capacità di allungamento o di rilassamento dei muscoli antagonisti. (La mobilità articolare passiva è sempre maggiore di quella attiva).
La differenza, sostanziale, tra mobilità articolare passiva e attiva viene definita riserva di movimento ed indica fino a che punto la mobilità articolare attiva può essere migliorata potenziando gli agonisti od aumentando la capacità di allungamento degli antagonisti.

Con mobilità articolare statica s’intende la capacità di mantenere una posizione di allungamento per un determinato periodo di tempo.
Esso svolge un ruolo determinante nello stretching.

tipi di mobilità articolare

La mobilità nei giocatori

Prevenzione dei traumi e delle lesioni da sport

“La mobilità articolare è la capacità e la qualità dell’atleta che gli permette di eseguire movimenti con grande ampiezza di oscillazione in una o più articolazioni con le proprie forze o grazie all’intervento di forze esterne”

Un concetto con lo stesso significato di mobilità articolare è quello di flessibilità.

L’articolarità e la capacità di allungamento vanno considerati invece componenti della mobilità articolare e quindi due concetti subordinati ad essa.

La mobilità articolare è un presupposto elementare per un’esecuzione qualitativamente e quantitativamente migliore di un movimento. La sua formazione ottimale, rispetto alle esigenze…

della pallacanestro, svolge un’azione positiva complessa sullo sviluppo dei fattori fisici della prestazione (forza, rapidità, ecc.) o delle abilità motorie di tipo sportivo (ad esempio i vari fondamentali tecnici). Inoltre influisce sullo sfruttamento completo del potenziale di prestazione esistente, sulla preparazione di allenamento e, in misura notevole, sulla prevenzione degli infortuni strettamente correlata con essa. Si tratta di funzioni molto importanti per il gioco della pallacanestro.

Se viene migliorata la mobilità articolare i movimenti possono essere eseguiti con maggiore forza e rapidità, perché viene opposta una minore resistenza da parte dei muscoli antagonisti.

Nella pallacanestro troviamo un tipo di sollecitazione che è caratterizzato, per la maggior parte, da brevi scatti, improvvisi cambi di direzione, arresti, salti, passaggi e tiri. Si tratta di movimenti molto dinamici, spesso aciclici, che esigono non soltanto una muscolatura molto potente, ma anche un’elevata elasticità e capacità di allungamento e rilassamento dei muscoli interessati, qualità che garantiscono una buona tollerabilità del carico e sono un elemento di prevenzione degli infortuni.

L’efficacia dell’allenamento della mobilità articolare per la prevenzione degli infortuni si può ricavare da tutta una serie di studi (cfr. Moller – Schober).

Secondo i su citati studiosi una buona rielaborazione del carico, tra gli altri fattori, è caratterizzata da una capacità individuale ottimale di rilassamento muscolare, che ad esempio viene influenzata positivamente dallo stretching.

Perciò una misura importante, ed indispensabile, di ogni preparazione immediata all’allenamento o alla gara, è rappresentata da un addestramento della mobilità articolare diretto a migliorare l’elasticità e la capacità di allungamento e di rilassamento.

Se si considera che il giocatore di pallacanestro mostra una tendenza alla formazione di squilibri muscolari il lavoro sulla mobilità articolare, integrato nell’allenamento indirizzato ad allungare i muscoli accorciati, rappresenta un’importante misura di prevenzione che impedisce l’insorgere di processi degenerativi a livello articolare e che si formano stereotipi motori sbagliati od alterati.

Un’efficace prevenzione degli infortuni, con azione sia a breve che a lungo termine, offre la possibilità di sfruttare completamente il potenziale individuale di prestazione e favorisce un migliore atteggiamento verso l’allenamento: se gli atleti non incorrono in infortuni per lunghi periodi di tempo possono sfruttare il loro potenziale in quanto si allenano regolarmente, senza interruzioni, e possono così sviluppare senza condizionamenti negativi la loro capacità di prestazione.

Gli atleti che non hanno problemi muscolari, di legamenti e di tendini, mostrano un atteggiamento mentale positivo verso un allenamento duro ed a lungo termine.

L’atleta eternamente infortunato, alla fine, comincia a dubitare che il suo duro lavoro d’allenamento paghi, visto che ogni volta deve ricominciare da capo, e diventa sempre più incline alla rassegnazione, a tutto discapito della sua motivazione verso l’allenamento.

Allenare in modo ottimale la mobilità articolare è possibile solo se si conoscono sufficientemente le sue basi anatomiche e fisiologiche.

Il core training

Core training

Da alcuni anni il termine core training è entrato a far parte del lessico di molti allenatori e terapisti. E’ credenza diffusa che questa metodologia di allenamento possa contribuire a migliorare le prestazioni in molti sport e ridurre l’incidenza d’infortuni.

Nonostante la sua popolarità, però, la letteratura scientifica non è in grado di offrire conclusioni definitive circa la reale efficacia di tale mezzo di allenamento che, sicuramente dannoso non è, se inserito in una programmazione adeguata agli obiettivi dell’allenamento.

Letteralmente nella lingua inglese CORE ha il significato di…

NUCLEO. Per muscolatura del nucleo (core muscles) si intende l’insieme dei muscoli, superficiali e profondi, che stabilizzano, allineano e muovono il tronco, in special modo gli addominali e i muscoli della schiena.

I muscoli maggiori sono i muscoli del pavimento pelvico, gli addominali laterali, il muscolo multifido, muscoli obliqui interni ed esterni dell’addome, muscolo retto dell’addome, sacrospinale (sacrospinalis), diaframma e muscolo lunghissimo. I muscoli minori sono: il grande dorsale, i glutei e il trapezio.

Push - up

L’argomento sarebbe davvero esteso se volessimo trattarlo nello specifico e ad ampio raggio (cosa che faremo successivamente) ma mi soffermo per sommi capi al “core training in pratica”.

I mezzi e gli strumenti oggi a disposizione per il core training sono molti e i professionisti dell’allenamento si trovano spesso a dover scegliere tra un gran numero di proposte operative.

Innanzitutto è possibile classificare gli esercizi in ampie categorie a seconda dei movimenti coinvolti:

  • Stabilizzazione: esercizi statici con elementi di stabilizzazione
  • Flesssione ed estensione: esercizi sul piano sagittale che enfatizzano i movimenti di flessione ed estensione
  • Rotazione: esercizi sul piano trasversale che enfatizzano i movimenti di torsione
  • Lanci e prese: esercizi dinamici che fanno lavorare il core su tutti e tre i piani dello spazio

Bisogna ricordare che non esiste un singolo esercizio in grado di attivare e allenare tutti i muscoli del core, ma solo una loro combinazione è realmente efficace per determinare degli adattamenti.
Gli strumenti a disposizione per l’allenamento sono numerosi e quasi tutti utili se usati correttamente. Quelli più, comunemente, usati sono:

  • Carico naturale
  • Palle mediche
  • Superfici instabili
  • Palle zavorrate (es. kettlebell) o pesi liberi
  • Elastici

E’ opportuno conoscere bene i vantaggi e gli svantaggi di ogni strumento applicandoli in modo adeguato e quando possibile combinandoli per raggiungere gli obiettivi dell’allenamento.

Per quanto riguarda la metodologia ci sono alcuni principi da seguire che potrebbero aiutare a pianificare correttamente l’allenamento.

Innanzitutto la scelta degli esercizi dipende, come detto in precedenza, dalla disciplina sportiva.

E’ fondamentale variare lo stimolo e creare un’opportuna progressione dei carichi di lavoro. In generale è opportuno cambiare una variabile per volta, modificando con gradualità i seguenti parametri:

  • Piani di movimento: una giusta progressione deve portare a eseguire esercizi sui tre piani dello spazio;
  • Ampiezza: negli esercizi dinamici l’escursione di movimento deve essere la più ampia controllabile;
  • Carico: aumentare in modo progressivo il carico aggiungendo e combinando i mezzi di allenamento mantenendo comunque il controllo del movimento;
  • Velocità di esecuzione: la velocità di movimento deve essere la massima controllabile dal soggetto;
  • Durata, frequenza e densità: numero di serie e ripetizioni, frequenza dell’allenamento e tempi di recupero.

In conclusione, nonostante la mancanza di solidi riscontri scientifici, il core training continua ad essere ampiamente utilizzato nella pratica sportiva e riabilitativa, lasciando aperto il dibattito sull’utilità di questo tipo di metodica.

E’ stato fatto riferimento a citazioni dei seguenti professori: Lorenzo Pugliese, Giuseppe Bellistri, Antonio La Torre ed il prof. Gambetta

Che cos’è la riabilitazione

Riabilitazione in acqua
Esercizi in acqua

Riabilitazione può essere definita

un processo di soluzioni dei problemi e di educazione nel corso del quale si porta una persona a raggiungere il miglior livello di vita possibile sul piano fisico, funzionale, sociale ed emozionale con la minor restrizione possibile delle sue scelte operative.

La riabilitazione non è quindi sinonimo di fisioterapia o rieducazione neuromotoria ma è parte integrante di un percorso riabilitativo, che rientra all’interno di un progetto comune in cui l’obiettivo finale del percorso, è il miglioramento della qualità di vita del soggetto.

Le problematiche possono raggrupparsi in rapporto ai settori che investono e possono sorgere:..

  1. nel campo prettamente meccanico del movimento con espressioni morfo-funzionali che investono il soma e l’apparato locomotorio;
  2. nel campo dell’ergonomia imputabile a qualche handicap dei meccanismi biochimici e metabolici che determinano le capacità di rendimento aerobico e/o anaerobico di un individuo;
  3. nel campo omeostatico della motricità a causa di un disarmonico equilibrio neuro-vegetativo;
  4. nel campo neuro e psicomotorio,
  5. nel campo traumatologico

La Rieducazione Funzionale e la Riabilitazione sono rivolte a tutti i soggetti che necessitano di programmi specializzati e personalizzati per il trattamento di patologie traumatiche o degenerative e il recupero dopo interventi a carico dell’apparato muscolo-scheletrico

Le tecniche di riabilitazione sono ben supportata da letteratura scientifica e da studi di efficacia su i vari interventi riabilitativi e come sono in grado di migliorare le performance motorie, la capacità di effettuare le varie attività quotidiane, di ridurre le disabilità e nel migliorare la partecipazione sociale. L’efficacia è dimostrata in tutti i setting riabilitativi se ben organizzata e programmata.

Per far questo la medicina riabilitativa deve prendere in considerazione:

  1. la valutazione del grado di difficoltà sia per quello che riguarda la diagnosi, sia per quanto concerne l’analisi delle componenti nei confronti della limitazione funzionale;
  2. il giudizio prognostico sul tempo e grado di recupero;
  3. l’impostazione del programma riabilitativo;
  4. l’applicazione pratica delle tecniche terapeutiche, compito per lo più riservato al personale terapista che deve agire sotto il controllo costante del medico e in collaborazione con lo specialista motorio.
  5. l’attività didattica indirizzata a chiarire bene al soggetto la differenza fra guarigione biologica e ripresa funzionale, dove per ripresa funzionale si intende il recupero della piena capacità motoria e tecnico-coordinativa dei gesti e della piena potenzialità e sicurezza mentale sui movimenti

Le terapie devono essere considerate sotto numerosi aspetti che sono:

  1. prevenzione delle complicanze;
  2. riduzione degli aspetti sintomatologici invalidanti per evitare le compensazioni (miglioramento del tono muscolare, ripristino del raggio di escursione articolare, ripresa delle capacità condizionali e coordinative)
  3. e ove necessario terapie conservative e protettive mediante l’applicazione di tutori bendaggi elastici etc.….
  4.  massima sinergia con il recupero fisico – motorio

Per potere contrastare in modo ottimale la varietà di sintomi e di problemi che si presentano durante il decorso di una riabilitazione è necessario un approccio interdisciplinare che coinvolge varie figure professionali – l’equipe riabilitativa – e variabili interventi riabilitativi.

  • Il medico è il coordinatore responsabile della condotta terapeutica da seguire e il consulente della condotta educativa.
  • Il fisioterapista è corresponsabile della condotta terapeutica, realizza le indicazioni del medico e mette in atto tutte le applicazioni che mirano alla riabilitazione del paziente.
  • Lo specialista motorio ha facoltà di operare nell’ambito dell’emergenza motoria delle capacità umane con strategie educativo-motorie rivolte agli aspetti qualitativi del movimento, alle abilità motorie relazionali e a quelle sportive, alla coordinazione motoria, alla prevenzione motoria, alla scarsa coordinazione, alle espressioni relazionali, ai disequilibri stato-cinetici, alla dinamica motoria nel suo complesso, ecc.., applicando attività motoria o attività motoria adattata in rapporto allo stato della persona .

In sintesi, deve mettere in atto tutte le sue conoscenze per migliorare ogni capacità del motorio che risulta deficitaria, somministrando alla persona attività motoria, più “volgarmente” ginnastica, anche con attrezzature e/o apparecchiature strumentali che non siano classificate mediche o fisioterapiche

Nel percorso di recupero che va dal momento dell’infortunio al ritorno all’attività, si definiscono diverse fasi affrontate dalle diverse figure professionali.

  • Riabilitazione ambulatoriale
    • supporto psicologico e impostazione di terapie fisiche, manuali, posturali, ecc.
  • Riabilitazione in acqua
    • articolarità, esercizi propedeutici alla deambulazione, tonificazione e potenziamento muscolare eseguiti in ambiente protettivo. Lavori aerobici-anaerobici
  • Riabilitazione in palestra
    • test di valutazione funzionale, tonificazione generale, recupero della deambulazione, lavori aerobici, esercizi propriocettivi
  • Riabilitazione all’aperto o in campo
    • programmi di tonificazione, coordinazione e destrezza specifica. Questa divisione deve comunque rimanere solo una convezione, che serve a pianificare e ad individuare le figure professionali preposte allo sviluppo e alla programmazione del percorso di recupero, nei suoi obiettivi

Un ruolo importante per una corretta evoluzione delle varie fasi è svolto dalla valutazione funzionale, strumento indispensabile per programmare, individualizzare monitorare e correggere le proposte di recupero

Le fasi del recupero funzionale sono:

  • Infortunio
  • Diagnosi
  • Cura (eventuale intervento chirurgico)
  • Riabilitazione
  • Riatletizzazione
  • Ritorno incondizionato all’attività

Entrando nello specifico è importante individuare un progetto riabilitativo che rispetti il succedersi di 5 fasi fondamentali:

  1. controllo del dolore e della infiammazione
  2. recupero dell’articolarità e della flessibilità
  3. recupero della forza e della resistenza muscolare
  4. recupero della coordinazione
  5. recupero del gesto.

Fase 1 – CONTROLLO DEL DOLORE E DELLA REAZIONE INFIAMMATORIA

È la fase dedicata all’avviamento di un programma di riabilitazione e si esplica nella risoluzione della sintomatologia dolorosa. In alternativa ai farmaci, in alcuni casi costituiscono un valido presidio le terapie fisiche

Fase: 2 RECUPERO DELL’ARTICOLARITÀ

L’obiettivo di questa fase è il raggiungimento del completo arco di movimento di un’articolazione o il ripristino di un movimento specifico senza dolore.

Fase 3: RECUPERO DELLA FORZA E DELLA RESISTENZA MUSCOLARE

Qui si lavora per il ripristino della forza con carichi progressivi che devono essere dosati come una vera e propria medicina. Il muscolo non deve diventare solo forte, ma deve sapersi allungare e proteggere l’articolazione. Soprattutto deve recuperare la sua giusta potenza

Fase 4: RECUPERO DELLA COORDINAZIONE

Ogni trauma o lesione che interessi i tessuti osteoarticolari determina alterazioni della percezione di cinestesia e Propriocezione, che deve essere ripristinata perché il recupero funzionale sia davvero completo.

Cos'è la riapbilitazione

Fase 5: RECUPERO DELL’ABILITÀ GESTO-SPECIFICA, DEL QUOTIDIANO

In questa fase emerge l’importanza dell’intervento di sedute sul campo per gli atleti o gli esercizi gesti specifici che simulano le attività di vita quotidiana per i pazienti non sportivi. In questa fase si viene a stabilire un netto collegamento con la fase precedente: solide basi neuromotorie presuppongono ottimi risultati gesto-specifici.

Quest’ultima fase è chiamata “Riatletizzazione” è l’ultima fase del percorso rieducativo, nella quale, sfruttando i principi dell’allenamento, si raggiunge il completo recupero delle capacità condizionali e delle abilità sport-specifiche dell’atleta o il recupero della gestualità quotidiana nel non sportivo. L’obiettivo finale, ovvero il completo recupero della gestualità e una condizione atletica che permetta il ritorno all’attività, non deve mai essere perso di vista, da nessuna delle figure professionali che in condizione ideale, lavorano e collaborano a stretto contatto, sotto il coordinamento funzionale del responsabile del percorso di recupero.

Troppo spesso vengono completamente eliminate alcune fasi e rapporti di collaborazioni tra figure professionali.

La riabilitazione è certo un discorso molto vasto, che si occupa di un’ampia gamma di problemi ma sicuramente ciò che accomuna tutte le casistiche sono la corretta diagnosi, la valutazione individuale e il rispetto dei tempi di recupero fisiologici del corpo.

È fondamentale non “correre troppo” con i tempi.

Sicuramente un atleta è più facile da recuperare perché’ la capacità di allenamento, l’abitudine muscolare ai carichi, e la capacità di recepire e ascoltare il proprio corpo sono più attive.

In realtà con gli atleti spesso si hanno tempi più brevi nel recupero dettati da una frequenza delle sedute maggiore, una maggior capacità all’allenamento, una diversa base muscolare, ma la differenza con una persona comune è solo in questo non nel percorso riabilitativo.

Inoltre nell’ambito sportivo la riabilitazione viene rispettata molto più diligentemente che nella popolazione normale. Questo enorme errore porta spesso a recidive, a lesioni su lesioni preesistenti, a fattori compensativi che determineranno alterazioni in altre strutture.

Anche nell’atleta questo può verificarsi ma è determinato da un altro motivo

una messa in campo precoce spesso per esigenze di risultato

Inoltre bisogna considerare che proporre schemi riabilitativi standardizzati, protocolli prestabiliti risulta essere non solo noioso ma spesso poco efficace perché non tengono conto che ogni persona reagisce e recupera in modo diverso da qualunque altra, anche se il problema fisico è lo stesso. Questo dipende da molteplici fattori, fisici, fisiologici, caratteriali e psicologici; ed è importante saperli valutare in modo corretto, proprio per personalizzare e finalizzare al meglio gli step del recupero.

La predisposizione personale, le caratteristiche psicologiche, la soglia del dolore, la motivazione, non sono elementi secondari che permettono di applicare gli stessi protocolli.

Quando un atleta o una persona comune subisce un infortunio è fondamentale rispettare tutti i fattori descritti e personalizzare la riabilitazione seguendo le tempistiche dettate dalla diagnosi e dalla valutazione del soggetto.

Possiamo così riassumere le componenti importanti di ogni RIABILITAZIONE:

  1. Diagnosi e analisi funzionale
  2. Identificazione della fase precedentemente in cui realmente si trova l’infortunato.
  3. Determinazione di un piano riabilitativo
  4. Determinazione del carico giornaliero di lavoro che il soggetto può sostenere, in modo da evitare sovraccarico o sottocarico.
  5. Descrizione al soggetto della differenza fra guarigione biologica e ripresa funzionale
  6. Impostazione nel periodo post-recupero di un programma di mantenimento preventivo dopo avere completato la fase di rientro all’attività.
  7. Lavorare in stretta collaborazione tra, medico, fisioterapista, specialista motorio e qualsiasi altra figura professionale necessaria.