Ciclo mestruale

Donna: ciclo mestruale e preparazione fisica

Le donne che praticano attività fisica con continuità aumentano, nonostante permanga il gap di genere: secondo il CONI, nel 2016, la differenza maggiore è stata del 22.9% nella fascia d’età tra i 18 e i 19 anni (Centro Studi CONI, 2017).

Il ciclo mestruale è senza dubbio uno dei processi che più differenziano la fisiologia della donna da quella dell’uomo:…

non testimonia solo la corretta funzionalità del sistema riproduttivo, ma spesso viene visto come indice dello stato di salute della donna.

Antoniella con allieva
Il prof. Antoniella con un’allieva
Regolamentazione e controllo

Il suo controllo è regolato da un complesso apparato neuro-endocrino che coinvolge oltre all’ovaio anche sistema nervoso centrale, ipotalamo e adenoipofisi.

Combinare il calendario del ciclo mestruale con quello degli allenamenti o delle competizioni è uno dei problemi che ogni mese assillano l’atleta donna.

I volumi d’allenamento, le richieste estetiche sport-specifiche e lo stress psicologico possono rompere l’equilibrio ormonale nelle atlete d’élite, essenziale per la periodicità del ciclo.

Gli effetti esercizio-indotti sono solitamente reversibili e tendono a ripristinare il rilascio pulsatile di GnRH e delle altre gonadotropine tramite riposo, adeguato apporto calorico e aumento della massa grassa.

I numerosi piani pluriennali di allenamento ad elevata intensità, la specializzazione precoce ed i contesti sportivi incentrati sui risultati possono ledere lo sviluppo psicofisico dell’atleta che, soprattutto in età puberale, è molto delicato.

Le richieste prestative sembrano stressare maggiormente le donne rispetto agli uomini, sia fisicamente che psicologicamente.

Lo stress psicofisico può essere valutato primariamente attraverso l’intensità d’esercizio

Se questa è di livello moderato, ciò si traduce in un rilascio endogeno di endorfine che contribuisce ad attenuare gli aspetti negativi del ciclo, in particolare in fase mestruale.

Le atlete di endurance, le ginnaste e le ballerine sono le sportive più studiate, poichè hanno dimostrato maggiormente un ciclo mestruale alterato.

È stato visto come nelle atlete di endurance, l’esercizio aerobico prolungato induca un innalzamento a breve termine delle concentrazioni di testosterone indipendentemente dalla fase mestruale (O’Leary et al., 2013).

È interessante notare come atlete predisposte geneticamente ad una maggior concentrazione endogena di androgeni tendano a praticare sport in cui questo profilo ormonale comporti una buona performance.

Le ginnaste di alto livello invece presentano alti livelli di cortisolo con abolizione del suo ciclo circadiano e conseguente squilibrio all’interno dell’asse ormonale.

In queste attività, inoltre, è auspicabile una bassa percentuale di massa grassa ed il ridotto introito calorico provoca notevoli variazioni nei livelli di adiponectina, leptina e grelina che il solo esercizio fisico non sarebbe in grado di modificare.

Roberta Bacchetti
L’atleta Roberta Bacchetti di Rugby a 7 sport misto di contatto e di situazione

Alti livelli di adiponectina, secreta dal tessuto adiposo, coincidono con un maggior stato infiammatorio ed una ridotta disponibilità energetica.

Esercizio intenso, riduzione della massa corporea e della percentuale di massa grassa tendono a modificare i livelli fisiologici di leptina e grelina.

Questi due ormoni concorrono a regolare la secrezione degli ormoni sessuali e una loro continua variabilità tende a sopprimere il controllo neuroendocrino del ciclo (Ackerman et al., 2012).

Nel lungo periodo, la condizione in cui l’assetto ormonale si discosti dai livelli fisiologici può portare ad un menarca ritardato, oligomenorrea, amenorrea o addirittura alla cosiddetta triade dell’atleta donna.

Quest’ultima condizione presenta amenorrea combinata con scarsa disponibilità energetica e densità ossea ridotta.

Diversi studi hanno dimostrato come ci siano numerose conseguenze se questa condizione interessa il lungo periodo:

  • aumentato rischio di infortuni muscoloscheletrici;
  • fratture da stress;
  • profilo lipidico anormale;
  • disfunzioni endoteliali;
  • perdita irreversibile di massa ossea;
  • depressione;
  • ansia;
  • scarsa autostima;
  • aumentata mortalità

(Weiss Kelly et al., 2016)

Conclusione

Secondo diversi studi, gli sport in cui endurance e composizione corporea predominano c’è un’aumentata predisposizione al rischio.

In queste tipologie di attività, le atlete che presentano disturbi mestruali e ridotta massa grassa adottano strategie alimentari per ridurre l’introito calorico, come l’uso abituale di bevande non caloriche e una dieta incentrata su frutta e verdura (Maïmoun et al., 2014).

Il disturbo mestruale è associato quindi anche ad un disturbo alimentare.

Donne e sport di endurance
Donne e sport di endurance: occorre una preparazione fisica adeguata

Per quanto riguarda il metabolismo osseo, sono da valutare sia l’entità del disturbo mestruale, sia il carico iterativo sport specifico (Maïmoun et al., 2016).

Com’è noto, l’esercizio fisico incentiva l’attività degli osteoblasti:

  • questa tipologia di cellule viene stimolata soprattutto nelle attività in cui c’è un maggior stress meccanico (ginnastica);
  • l’attività osteogenica si riduce così in attività come il nuoto e in minor misura nella corsa e nella danza.

Barrack et al. (2010) hanno dimostrato come le atlete di endurance (40%) abbiano una densità ossea più bassa rispetto alle ballerine o alle ginnaste (10%). Inoltre, la carenza di estrogeni peggiora la struttura trabecolare delle ossa meno coinvolte nell’attività praticata.

Le donne presentano quindi un profilo ormonale molto sensibile al livello di allenamento, allo stato nutrizionale e psicologico.

Una preparazione fisica adeguata ed etica dovrebbe passare per un monitoraggio costante e globale dello stato di salute dell’atleta, specie nelle categorie giovanili.

di Davide Antoniella

Il movimento

Che cos’è il movimento?

Il prof. Pasquale Iezza regala, a tutti i nostri lettori, alcuni argomenti tratti dal suo libro “il movimento divergente” con il contributo del prof. Pino Palumbo, la dott.ssa Rosa Cipriano e del prof. Tiziano Megaro.

Saranno proposti, a puntate, alternandosi con i vari esperti della nostra piattaforma che hanno sposato, con grande generosità, la filosofia del nostro blog.

Il movimento è il modo più naturale che abbiamo per entrare in relazione con le cose che ci circondano.

Se si trovano in alto cerchiamo di…

arrivarci allungandoci o spiccando un salto, se sono in basso chinandoci con un piegamento, se sono vicine e davanti a noi camminando, se sono lontane e dobbiamo raggiungerle in fretta correndo.

Con il movimento instauriamo un dialogo con l’ambiente, ogni oggetto diventa accessibile, alla nostra portata.

Mettiamo un piede davanti all’altro ed usiamo una mano insieme all’altra per scoprire il mondo.

Il movimento ha la dinamicità dell’acqua che può essere solo contenuta in una forma, ma ha in più la forza di modificare con la sua energia creativa il contenitore.

Il movimento nello sport
Foto di Lukas

La nuova pedagogia del movimento divergente ha lo scopo di avviare un viaggio alla scoperta dell’intelligenza cinestetica, delle sue straordinarie potenzialità e dei suoi inesplorati sentieri.

Permette un collegamento tra il corpo, il mondo intorno a noi e le nostre emozioni.

Il movimento non ha confini e non deve avere frontiere, la sua ripartizione in punti ha solo lo scopo di condividere un’ipotesi di studio:

1) Il movimento automatico

Percorre le vie extrapiramidali e ci porta a dare una risposta meccanica, istintiva, agli stimoli ambientali.

  • Il midollo spinale è responsabile dei comportamenti automatici e stereotipati.
  • I riflessi spinali ci permettono una risposta quanto più rapida possibile in seguito a stimoli che segnalano situazioni potenzialmente pericolose per noi
    • se ad esempio la nostra mano è in contatto con una superficie bollente è fondamentale la reazione immediata dei muscoli senza aspettare l’elaborazione della corteccia cerebrale per evitare un’ustione;

2) Il movimento posturale 
  • Elabora le impercettibili informazioni provenienti dai propriocettori sensoriali e dal midollo spinale;
  • permette la conoscenza del nostro corpo nello spazio per arrivare a mantenere, attraverso i riflessi posturali, la nostra posizione eretta mentre siamo in piedi o camminiamo;
  • I propriocettori sono i sensori delle articolazioni, dei muscoli e dei tendini e rilevano la tensione muscolare e la posizione delle articolazioni;

Il segnale che parte dai propriocettori viene trasmesso fino al midollo spinale dal quale si origina un altro impulso nervoso che permette la contrazione involontaria della muscolatura.

Il movimento decisionale
3) il movimento convergente

Responsabile del movimento volontario, è più complesso perché integra le informazioni provenienti dai livelli inferiori e da quelli superiori del cervello.

Tutti i movimenti volontari del corpo sono guidati dal cervello, una delle parti più coinvolte nel controllo è la corteccia motoria.

Per realizzare i movimenti diretti verso una meta, la porzione anteriore del lobo frontale del cervello deve prima ricevere le informazioni dagli altri lobi, da quello parietale sulla posizione del corpo nello spazio e da quello temporale sulla memorizzazione delle azioni passate.

Il movimento convergente richiede una elaborazione percettiva, percorre le vie piramidali e ci permette di svolgere azioni volontarie che ripetute con l’allenamento, con l’imitazione di un modello, con l’addestramento, ci specializzano in una disciplina sportiva spesso unilaterale che sviluppa competenze specifiche a discapito di altre abilità motorie.

4) il movimento divergente
  • E’ la manifestazione espressiva, originale, articolata e consapevole delle nostre energie interiori.
  • E’ il movimento attento al nostro mondo interno in armonia con quello esterno.
  • Risana, in questo modo, le vecchie scissioni corpo-mente, ragione – sentimento, pensieri-affetto.

I nostri movimenti volontari non si dissociano dai nostri impulsi profondi.

Il pensiero, il movimento, l’emozione si uniscono in un unico flusso coinvolgendo ogni parte del cervello, si mettono in collegamento il sistema extrapiramidale e quello piramidale che in realtà non sono mai separati.

Il movimento divergente crea connessioni ripristinando il senso di unità. Le connessioni stabiliscono i nessi tra le sensazioni, le emozioni, le immagini e il pensiero, compreso quello laterale.

I gesti non sono frammentati, staccati, robotizzati, divisi perché vivono l’esperienza corporea nella sua pienezza migliorando il nostro modo di comunicare.

Il movimento divergente ci fa esplorare tutte le possibili combinazioni delle azioni motorie attraverso il gioco, una delle attività più serie che esistano, ricordandoci che non abbiamo un corpo, come se fosse un’automobile acquistata da poco, ma che siamo un corpo. 

Il sistema motorio

si divide, partendo dal basso in:

Le aree motorie oltre a quella motoria vera e propria sono quelle delle regioni corticali premotorie e quelle dell’area motoria supplementare.

I movimenti di tipo riflesso si fermano ai livelli inferiori, al midollo spinale, senza arrivare alla corteccia.

A completare il controllo del movimento ci sono poi il cervelletto e i nuclei della base, tra i quali c’è Putamen, una sorta di supereroe tuttofare a forma di guscio di noce.

La corteccia motoria è quella parte del cervello che pianifica, controlla ed esegue i movimenti volontari del corpo dall’alto del centro operativo del lobo frontale.

I movimenti involontari e volontari sono sempre integrati e il movimento divergente permette il loro naturale collegamento. 

Il  movimento divergente fa così il suo ingresso nelle scienze pedagogiche (Il Movimento divergente, Pasquale Iezza, Aranblu editore, 2001), un ingresso fondamentale perché fecondo di prospettive didattiche e formative nel mondo della scuola e dello sport. 

E’ il movimento, apprendista meccanico, specializzato nelle giunzioni neuro-muscolari, nei cambi, nei circuiti e nei gangli di collegamento, ed ha un’officina con tutte le chiavi di accensione dei motoneuroni di qualsiasi cilindrata.

Ha facilitato nuove risposte a discipline sportive che sembravano codificate in modo permanente, basti solo pensare:

Diego Maradona
Diego Maradona con la maglia dell’Argentina

che a rivederla “scioglie il sangue nelle vene”.

video tratto dal film ” cosi parlo’ bellavista” (1984)

di Pasquale Iezza

Superallenamento

Periodizzazione – Superallenamento si…

ma programmato

Sottolineare quanto sia importante mantenere sotto controllo certi segnali, come la difficoltà a recuperare dopo una sessione di allenamento particolarmente dura, è di una importanza estrema.

I sintomi più evidenti sono:

  • irritazione muscolare che continua oltre le 48 ore dopo l’esercizio;
  • dolore cronico alle articolazioni;
  • sonno agitato e/o stanchezza dopo il sonno;
  • cambiamenti notevoli nelle normali funzioni del corpo;
  • mancanza di motivazione.

Se si nota qualcuno di questi, bisogna modificare:

  • l’intensità
  • la durata
  • la frequenza degli esercizi

e continuare ad osservare qualunque cambiamento.

In seguito a sedute di superallenamento è necessario inserire, in un programma di allenamento, un giorno o due alla settimana esclusivamente dedicati al riposo. 

Nel programma di periodizzazione è assolutamente previsto un paio di periodi di riposo “attivo “ che seguono la stagione pre – agonistica e la stagione regolare (o post – agonistica)

La periodizzazione
periodizzazione

E’ il programma pianificato di allenamento di un atleta o di una squadra durante tutto l’anno che culmina in un ottimale livello di condizionamento atletico o in una buona prestazione complessiva in un periodo prestabilito della stagione.

Nello specifico nel basket, che è uno sport in cui ogni partita conta, un allenamento stagionale teso a raggiungere il culmine della forma nei play – off, non è realistico.

Perciò un piano sistematico di allenamento fornisce delle variazioni:

  • Nell’ Intensità di allenamento (gradi di difficoltà dell’esercizio; la qualità del lavoro);
  • Nel volume (la quantità di lavoro);
  • Nella tecnica (abilità specifica al basket e capacità atletiche)

Le variazioni sono attuate per massimizzare l’effetto dell’allenamento e le prestazioni altamente positive.

Manipolando queste variabili, compreso l’allenamento della forza, è possibile preparare un piano efficace per la stagione da iniziare.

di Tiziano Megaro

Arbitro

Il giudice arbitro di canottaggio

Questo sconosciuto!

Il canottaggio è uno sport semplice: sei barche allineate, partenza al Via! e vince chi arriva prima.

A cosa servono, allora, i giudici arbitro? Dove sono durante la gara?

Può sembrare strano ma sparsi sul campo ci sono non meno di nove umpire e un canottiere li incontra (e li maledice) quasi tutti.

Il problema, nel canottaggio,…

Corso giudice arbitro
Corso per giudice arbitro di Canottaggio

è che ancora oggi l’arbitro è visto come una figura seccante e pignola che è lì per il solo gusto di tormentare gli atleti.

In realtà, gli allenatori in primis dovrebbero capire che il solo scopo di un giudice è quello di assicurare che la manifestazione si svolga nel miglior modo possibile, garantendo a tutti pari opportunità e massima sicurezza.

Immaginiamo di seguire un canottiere attraverso il campo di gara e scopriamo insieme i compiti degli arbitri.

Il primo incontro con l’autorità lo hanno i timonieri e gli atleti PL (pesi leggeri) quando si recano alla registrazione del peso.

PL
Foto di Patrick Case

Questo è un momento, allo stesso tempo, atteso e temuto dai ragazzi:

  • da un lato, ci sono la speranza di non superare il peso minimo (o massimo) e la prospettiva di una bella mangiata;
  • dall’altro il timore di non rientrare nei limiti e dovere ricorrere a metodi dell’ultimo minuto per dimagrire i grammi necessari.

Nonostante le ansie che questo momento comporta, è il secondo step quello ritenuto più irritante: il controllo imbarcazione.

Atleti e tecnici ancora non capiscono la pignoleria riguardante accessori come palline e laccetti, si arrabbiano se vengono mandati indietro e talvolta si rifiutano di apportare le modifiche richieste dal giudice.

Desidero lanciare qui un appello accorato:

Allenatori, atleti, quale piacere pensate possa provare un arbitro nell’impedire a un ragazzino di gareggiare?


Nessuno.


Eppure talvolta è costretto a rifiutare le barche.

La motivazione?

La sicurezza del canottiere.

Sicurezza


Dal momento in cui gli sfidanti si preparano a fare il loro ingresso in acqua, gli
umpire si trasformano nei loro angeli custodi, e cosa fanno questi se non vegliare sulle persone loro affidate proteggendole?

La pallina e i laccetti, che vi seccano tanto, sono dispositivi introdotti appositamente per la sicurezza dei vostri pupilli nel caso di scontro con altre barche e capovolgimento.

Capite adesso che nulla muove il giudice se non la preoccupazione per i ragazzi?

Torniamo ora alla nostra esplorazione del campo di gara.

Dopo aver superato il controllo identità e imbarcazione, l’atleta è libero di iniziare il riscaldamento sull’acqua.

Qui ci sarà un altro angelo custode pronto a vegliare sui canottieri e a intervenire in caso di incidenti o malori improvvisi.

All’avvicinarsi dell’ora prevista per la gara, i ragazzi si accostano al Marshall, il quale procede con l’appello, in modo tale da assicurarsi che tutti i partecipanti siano presenti.

Il Marshall è un giudice arbitro situato in acqua, al limitare dell’area di riscaldamento, nei pressi della zona di partenza. Ha il compito di fare l’appello degli iscritti e indirizzarli allo starter all’appropinquarsi dell’orario stabilito per la gara.

Dopodiché, lo Starter permette loro di occupare le rispettive corsie.

L’Allineatore, con l’ausilio di attrezzi specifici, fa in modo che la prua di tutte le barche sia perfettamente allineata, poi lo Starter, fatti gli ultimi controlli, dà inizio alla gara con uno sventolio di bandiera.

Il percorso può estendersi da un minimo di 500 metri a un massimo di 2000 ma, per quanto possa sembrare infinito ai concorrenti, questi non verranno lasciati soli neanche un istante perché sempre sarà con loro il giudice pronto a guidarli e soccorrerli in caso di pericolo.

Mai solo

E infine, una volta che la gara si sarà conclusa regolarmente, ecco che gli arbitri all’arrivo (ben tre, per assicurare la massima certezza) potranno comunicare le posizioni finali.

Morale

Adesso, dopo questo immaginario giro su un tipico campo di canottaggio, siete ancora sicuri che i giudici arbitro siano figure messe lì per fare le belle statuine e tormentare gli atleti?

di Virginia Abbagnale

Time out

Il Time out nel basket

“Chiama un time out!”, “quando lo chiami il time out?!”.

Sono tra le frasi più urlate dagli spettatori a noi allenatori durante la partita, a testimonianza dell’importanza che lo stesso pubblico
attribuisce a questo aspetto del GIOCO.


Facciamo però un passo indietro.

Il significato sportivo del termine Time Out è sospensione del tempo, ed era proprio questo il motivo per cui fu inserito nelle regole del nostro sport,
ovvero dare la possibilità di riposo ai giocatori.

Era quindi una pausa momentanea dal GIOCO.

L’evoluzione della pallacanestro ha reso, invece, questa interruzione del “giocato” una fase concreta della partita, tanto da essere un’arma tattica che tutti noi allenatori dobbiamo essere in grado di sfruttare a pieno.

Il primo aspetto da tener conto è il numero di time out che ogni squadra ha a disposizione.

Excursus tra i vari campionati.
Logo della Federazione Internazionale Pallacanestro

Area FIBA

  • Si hanno un massimo di 5 time out di 60 secondi per ogni team.
  • Sono così distribuiti: 2 nei primi 2 quarti e 3 nei secondi.
  • Negli ultimi 2 minuti della partita se ne possono chiamare massimo 2, più un altro per ogni eventuale supplementare.
  • E’ solo la panchina (allenatore o vice allenatore) a poterlo chiamare.

NBA

  • La situazione è molto diversa.
  • Si hanno un massimo di 7 time out per squadra, ognuno con durata di 75 secondi.
  • Possibilità di chiamare massimo 2 time out negli ultimi 3 minuti, più altri 2 per ogni eventuale supplementare.
  • Oltre la panchina (allenatore o vice allenatore) la richiesta può avvenire anche direttamente dal giocatore che possiede la palla.

Attenzione però, secondo la regola “televison time out“, durante ogni quarto ad ogni squadra viene obbligatoriamente assegnato un time out per ragioni televisivi anche se non chiamato dalle squadre stesse!

Proprio la gestione del numero dei time out, comporta una prima decisione strategica da parte dello staff.

È fondamentale, infatti, avere sempre ben presente quanti ne restano a disposizione, ipotizzando un loro utilizzo nei momenti decisivi della partita.

Questa scelta dipende molto dal feeling che lo staff tecnico ha con la partita e con i momenti di essa, rimanere senza può costare il risultato finale.

Quando chiamarlo?

Non c’è un’unica risposta a questa domanda.

  • Può esserci la volontà di modificare il ritmo della squadra avversaria, interrompendo per esempio un break positivo, ma può anche essere la soluzione per cambiare tatticamente delle scelte che non pagano e che hanno bisogno di essere mostrate con “calma“.
  • Altro significato è il time out chiamato in prossimità degli ultimi secondi di un quarto o per gestire meglio il possesso previa una violazione di tempo, in cui sfruttando una rimessa a favore si mostrano alla squadra le cosiddette situazioni speciali (a.t.o. plays).

Non sempre però la tattica è la protagonista della sospensione, ci sono time out il cui obiettivo è essenzialmente psicologico, dare una scossa ad una squadra o a singoli giocatori in difficoltà.

E’ in questo caso che la conoscenza dei caratteri dei propri uomini è fondamentale per andare a toccare le giuste corde per avere una reazione.

C’è chi ha bisogno del bastone e chi della carota!

La mia esperienza

Nella mia esperienza da assistente ho lavorato con head coach ai quali piaceva avere un mini time out con l’intero staff prima di comunicare con la squadra, richiedendo quindi sintesi e chiarezza nell’esposizione delle idee proposte, altri invece volevano avere tutto chiaro prima di rivolgersi al tavolo per chiamare la sospensione.

Da capo allenatore io ho sempre preferito la prima soluzione, sfruttavo quel momento anche per lasciare dei secondi sola la squadra affinché parlassero tra loro.

Sergio Luise 3
Sergio Luise in un time out

Non raramente, se c’è un’intesa consolidata all’interno dello staff, il capo allenatore lascia condurre il time out al vice, soprattutto se l’indicazione da presentare alla squadra è un’idea dell’assistente.

Importante, comunque, che non ci sia un un’accavallarsi di voci. I giocatori in quei pochi secondi devono avere la massima concentrazione, recepire poche cose ma chiare.

Peggio di non avere time out a disposizione è averlo ma con una squadra che ritorna in campo confusa!

Strategie

Alcune volte si sfruttano i pochi metri che separano le panchine dal campo per suggerire all’orecchio del giocatore le ultime indicazioni mentre il tavolo ha fischiato la fine della sospensione.

Fondamentale ottimizzare tutti i secondi!

Ci sono allenatori, poi, che:

  • preferiscono sedersi.
  • Altri che guardano negli occhi i propri giocatori prima di parlare.
  • Altri che utilizzano solo raramente la lavagnetta.
Conclusione

Ognuno ha la sua tecnica e il suo modus operandi, l’importante è organizzare e sapere cosa si vuol trasmettere in quel momento, senza lasciare nulla all’improvvisazione o chiamare il time out perché lo chiede il
pubblico.

Bisogna sempre essere consapevoli di ciò che si sta facendo.

“Finalmente lo hai chiamato!!”…direbbe qualcuno dagli spalti…

di Sergio Luise

Pirlo

Pirlo: grande giocatore!

Coach del domani?

Basta essere stati buoni giocatori per essere anche grandi allenatori?

Prescindiamo per una volta dai singoli sport, ma restringiamo però il campo almeno agli sport di squadra, che esigono dinamiche e competenze relazionali assolutamente diverse da quelli di tipo individuale. 

Il caso del giorno, è evidente, riguarda Pirlo, neo allenatore della Juve.

La nomina ha fatto scattare, inevitabilmente, parecchie osservazioni sull’opportunità di nominare un allenatore che non ha mai allenato. 

Provo a riassumere le principali osservazioni, assumendomi ogni rischio di tralasciare pareri importanti, ma solo a mo’ di sollecitare un approfondimento successivo che non ha alcuna pretesa di essere assoluto.

Tra le tante cose che lo sport insegna c’è il postulato che la sua dinamica è talmente complessa e mutevole da rendere impossibile una previsione che possa avere il requisito minimo dell’attendibilità.

La riflessione

Dunque, esattamente come hanno fatto i virologi parlando di un virus ancora sconosciuto, mi rendo perfettamente conto di addentrarmi in un terreno solo parzialmente conosciuto, per aver ricoperto un ruolo di allenatore per poco più di tre decenni (praticamente nulla), e di rischiare di intravedere dietro l’orizzonte un panorama dal pronostico complesso.

Secondo la mia concezione (ecco, con questa premessa rendo ogni argomentazione soggettiva, e quindi priva della presunzione dell’assolutezza), un allenatore è una somma perfetta ma non compiuta di una serie di competenze, delle quali l’ottima conoscenza del gioco ne costituisce solo una parte.

Allenatore

Veniamo al caso. Pareri discordanti, dicevamo.

Partiamo dai pareri favorevoli.

Primo aspetto: Pirlo è stato eccellente giocatore

Dai piedi ottimi e dalla presenza sempre percepita favorevolmente dal gruppo dei giocatori e delle squadre per le quali ha militato. Requisito a mio avviso che dice molto di più del suo talento.

Pirlo alla Juve

Essere visto come parte integrante di squadre differenti testimonia una duttilità caratteriale, una personalità ed una identità non solo tecnica che non può che costituire un ottimo viatico per la carriera che si appresta a fare.

Secondo aspetto: conoscenza del gioco

Chi ha giocato molti anni a certi livelli il gioco lo conosce benissimo, ma se hai giocato nel ruolo di playmaker lo conosci senz’altro di più.

Non perché un difensore o una punta abbiano meno capacità di comprensione del gioco, ma indubbiamente se il gioco lo hai creato tu, e lo hai fatto benissimo e per molto tempo, penso che le tue capacità di compenetrarti in una dimensione che esula la tua individualità di giocatore costituisca un asset importantissimo per vedere le cose come coach.

Terzo aspetto favorevole: Pirlo, a detta di Ulivieri (uno dei responsabili dei corsi di Coverciano) è stato un allievo modello

Ha mostrato di conoscere il calcio a menadito (e questo lo avevamo supposto pure se non avesse frequentato il corso).

Non mi dilungherò su quanto un corso sia in grado di apportare significative competenze ad un allenatore specie per allenare a certi livelli, ma dirò subito che, sempre a mio sommesso avviso, da quel punto di vista la percentuale fa fatica ad arrivare alla doppia cifra.

Tra i pareri favorevoli si cita, in questi giorni, il paragone con esempi illustri che hanno fatto strabene nel passato, pur non avendo alcuna o poca esperienza come allenatore.

In casi simili si sono tirati in ballo mostri del calibro di Guardiola e Zidane. Paragoni difficili? Forse. Ma nella dinamica delle cose mi paiono azzeccati nel metodo, meno nel merito. Entriamo allora nel merito.

Cose negative:

Ovvio: la scarsa (o inesistente) esperienza di panchina. Vuol dire poco questo? 

Se esaminiamo i due big citati, non vorrei scomodare termini come carisma, personalità e via cantando, perché significherebbe porre il povero Andrea in una condizione di subalternità, e non me la sento per palese disconoscenza del suo livello nei temi suddetti.

Parlo solo di un’ultima cosa che a me pare evidente.

Un allenatore che si definisca efficace deve avere una certa capacità di persuasione, la qual cosa non equivale a manipolare, ma semmai a convincere i suoi giocatori ad abbandonare le proprie sacrosante individualità (la maggior parte dei giocatori nutre un egoismo che va spesso a discapito della complessità del gruppo).

Capacità di persuasione equivale in molti casi ad avere qualità comunicative e di estroversione che, devo essere onesto, in Pirlo ho notato assai poco.

Ovvio che il mio parere si fonda su quel che si vede (interviste, partecipazione a trasmissioni tv, ecc.) quindi mi rendo conto che, anche qui stiamo parlando di impressioni, ma non mi pare che il nuovo allenatore della squadra che è continuamente alla ricerca del tutto e subito, abbia mostrato scioltezza o approfondimento di argomenti e quindi concluso nel modo seguente.

Conclusione

Se Andrea dai piedi d’oro saprà unire alle indubbie conoscenze tecniche e tattiche da lui possedute, anche un netto miglioramento delle sue abilità di conoscenza dei complessi fattori umani che vanno sotto il nome di “dinamiche di gruppo”.

Dinamiche di gruppo

Saprà definire anche attraverso un netto incremento della sua capacità di comunicazione e di persuasione, un vocabolario che gli permetterà di gestire tanto la stella come l’ultimo ragazzo che viene dalle giovanili e coinvolgere tutti in una entusiastica partecipazione anche emotiva alle sorti del club che gli è stato affidato, beh, allora avremo probabilmente l’allenatore ideale.

Ed è, alla fine, quello che si augurano i tifosi della Juventus ed anche tutti quelli che sperano che un bravo e stimato giocatore senza alcun passato da allenatore possa diventare il coach del domani. 

Tanto come sempre, il campo rivelerà la verità. In bocca al lupo! 

In bocca al lupo

Di Dino De Angelis

Agostino Abbagnale calma olimpica

Pre – articolo: contenti!

Qualche settimana fa l’associazione nazionale Allenatori di Canottaggio (ANACC)Anacrowing” ha pubblicato su Facebook il seguente post:

La calma olimpica. Chi meglio del leggendario Agostino Abbagnale può rappresentare questa espressione? Lui che resta il canottiere italiano più titolato alle Olimpiadi – ben tre ori (Seul, Atlanta e Sydney) – eppure è meno noto dei suoi due fratelloni. Misteri della vita… Intanto, buon lavoro ad Agostino, impegnato a Piediluco con la nazionale Junior.”

Era ovvio e più che doveroso chiedere ad Agostino di scriverci qualche sua riflessione, opinione o idea nello specifico sul significato della “calma olimpica”.

Contattato non si è tirato indietro e quindi noi di trainingconcept.it siamo molto contenti di comunicare ai nostri lettori che il prossimo articolo, in uscita venerdì 21 agosto 2020, sarà di Agostino Abbagnale.

Nonostante la nostra piattaforma abbia come intento quello di evitare le autocelebrazioni evidenziando il firmatario dell’articolo o tutto ciò che possa sembrare auto elogiativo ( il vero scopo è quello di mettere a disposizione della comunità sportiva articoli di qualità) non si poteva evitare di scrivere qualche riga in più su chi ha portato in alto i colori della nostra bandiera.

Agostino Abbagnale
Agostino Abbagnale

Nella sezione “gli esperti dicono” vi è una riassuntiva biografia di Agostino ma è da aggiungere che oltre all’immensità come atleta ne posso garantire la grandezza come uomo.

Di poche parole ma pratico nei fatti, un atleta che ha vinto in 3 barche diverse e per chi lavora nel mondo del canottaggio sa cosa vuol dire.

Dotato di uno spiccato senso del confronto è stato definito dagli esperti “il più grande canottiere italiano di tutti i tempi”.

Si potrebbe continuare ma sfocerei nel banale e quindi mi tocca rimandarvi al prossimo articolo con “la calma olimpica” firmato da Agostino Abbagnale.

L'armonia dell'assieme

L’armonia dell’assieme

“Continua la rubrica dedicata ai lettori che decidono di contribuire offrendo a tutta la nostra comunità la propria riflessione, opinione, idea su di un argomento a loro più vicino. Ci delizia con quest’articolo Virginia Abbagnale (ex atleta di canottaggio, insegnante di lettere e filosofia, attualmente giudice di canottaggio)”
Grazie per continuare a “rompere il ghiaccio”. T.M.

Il canottaggio (e non canoa!) ha tante specialità; la più bella, a mio parere, è l’8+.

8 con

Quasi 18 metri di lunghezza per 93 kili, otto vogatori con un lungo remo ciascuno e un timoniere. Chiedi ad un tecnico e questo ti risponderà, ma la verità è che l’ammiraglia è molto di più.

Chiunque ha visto questa barca in azione concorderà con me che si tratta di pura magia:

canottieri che si muovono all’unisono, le grida di incitamento del timoniere, i remi che volano sull’acqua, la pallina che fila via a velocità impossibile. La barca appare leggera come una piuma, veloce come una freccia, i vogatori sembrano un solo uomo e pare che non possa esserci nulla di più facile e naturale.

Sbagliato.

Dietro a questa meravigliosa visione ci sono tanto sudore e lavoro.

C’è la fatica fisica.

“Ora dopo ora, giorno dopo giorno, con il sole afoso che crepa il terreno, con il freddo che gli penetra nelle ossa o con la pioggia che lo acceca, il canottiere non conosce riposo né vacanza.

I giorni rossi sul calendario spariscono e, anzi, sono più faticosi dei neri, la sveglia suona all’alba. Senza sosta il nostro eroe corre, rema, fa pesi e remoergometro. I primi minuti sono facili, divertenti, ma poi inizia a mancargli il respiro, boccheggia disperato alla ricerca d’aria. Contrarre i muscoli è doloroso, un incendio che si propaga senza sosta nelle gambe e nelle braccia, un urlo di dolore si fa strada nella gola, la testa lo prega di smetterla con questa follia, lo supplica di fermarsi perché se farà ancora un altro movimento potrebbe frantumarsi in mille pezzi e non riuscire a ricomporsi.”

sudore e lavoro canottaggio

È qui che entra in gioco la testa.

Da fuori può sembrare che il canottaggio sia solo uno sport di forza e resistenza fisica ma la verità è che per migliorarsi il controllo mentale è imprescindibile.
Il corpo umano è creato per assicurarsi la sopravvivenza, per questo quando lo spingiamo ai limiti entra in atto un meccanismo di autoconservazione che lo porta a fermarsi.

Ehi, sei matto? Fermati, sei vicino alla zona di pericolo!, questo urla la testa.

Ma il canottiere che vuole migliorarsi non può cedere alla tentazione, al dolce richiamo della sirena che tenta di ammaliarlo, e sessione dopo sessione raggiunge il limite, sopporta il dolore e spinge l’asticella dell’autoconservazione un po’ più in là.

Bene, penserete, ecco allora quali sono gli ingredienti per ottenere la magia. E invece no, ne manca ancora uno; quale?, l’assieme.

Per chi fosse a digiuno di canottaggio, si tratta della parola che si usa quando i vogatori si muovono, appunto, tutti insieme.

Anche in questo caso sembra facile ma non è.

Ogni atleta ha una personalità e un ritmo di palata che lo caratterizza, che fa di lui un individuo unico e irripetibile, ma quando è in barca, soprattutto in un’ammiraglia, bisogna superare l’individualità e otto devono diventare uno.

Non è semplice: finché è in barca, il vogatore deve rinunciare alla parte più spontanea e profonda del suo essere, la deve rinchiudere in un angolino della sua testa e deve affidarsi al suo timoniere. Ripone le sue speranze, la sua forza, le sue paure, tutto se stesso nelle mani del compagno. Ci vuole coraggio, un vero e proprio atto di fede.

Ecco, ora finalmente la ricetta è pronta.

La barca lunga e veloce, gli uomini (e donne!) che si muovono come uno solo, la potenza che si sprigiona ad ogni “Via” del timoniere;

non sembra tutto ancora più magico?

di Virginia Abbagnale

Forza tridimensionale

La forza tridimensionale e funzionale negli sport di situazione

L’effettore finale del movimento è il sistema muscolare, che trova nelle sue unità funzionali, i sarcomeri, i protagonisti del suo accorciamento in toto, spiegabile grazie alla teoria dello scorrimento dei filamenti.

I sarcomeri in quanto singola unità, devono sommarsi tra loro per creare il substrato strutturale motorio.

Sistema muscolare

Deve far riflettere come a partire da un evento “banale” quale lo scorrimento di Actina e Miosina, possa derivare una variabilità gestuale estremamente complessa. Per cui la chiave dell’allenamento o della prevenzione di un evento traumatico, deve orientarsi ad ottimizzare tutto quello che precede e consegue la formazione dei ponti trasversali a livello del muscolo e non concentrarsi sul mero rinforzo locale.

A questo possiamo poi aggiungere la maggiore complessità degli sport situazionali, grazie all’interazione del soggetto in questione con gli eventuali compagni di squadra, con l’avversario/i, con le infinite possibilità di variabili legate al gioco e di tutto ciò che ne consegue.

La sommazione dei sarcomeri, da un punto di vista teorico, si effettua in duplice modalità. La sommazione in serie e la sommazione in parallelo.

Se si considera il comportamento di due sarcomeri e si valuta il risultato complessivo di questi, le caratteristiche del movimento derivato di tale organizzazione sarà peculiare.

La sommazione in parallelo porterà ad un quadro di caratteristiche orientate ad un’espressione di forza maggiore, la sommazione in serie darà vantaggio sulla velocità di accorciamento (1).

La forza che il muscolo può esprimere non dipende esclusivamente dall’attività muscolare “pura”, ma può avere man forte dalle strutture passive perimuscolari.

La forza generata dal tessuto contrattile può esprimersi grazia a una duplice modalità di trasmissione, la quale, può essere di tipo diretto o indiretto.

Per cui possiamo avere (2):
  • Trasmissione Miotendinea, che si esprime agli estremi del muscolo.
  • Trasmissione Miofasciale, che può avere luogo lungo tutta la lunghezza del sarcomero.

Considerando il modello dello scorrimento dei filamenti e che a livello tendineo il movimento autorizzato sarà una trazione longitudinale al ventre muscolare, all’interno del ventre stesso le forze in gioco saranno di tipo tridimensionale.

I responsabili strutturali di questo sistema accessorio a quello longitudinale possono essere riconducibili all’Epimisio, Perimisio ed Endomisio. Per cui la forza, oltre che nascere dal sistema esclusivamente attivo, può nascere, grazie alle intime relazioni strutturali, anche dallo stroma connettivale (3).

epimisio endomisio perimisio
epimisio, endomisio e perimisio

La forza espressa da un singolo sarcomero dipende dal grado di sovrapposizione dei filamenti di actina e miosina. Essa è maggiore a lunghezze intermedie e tende a diminuire a mano che ci allontana da questa lunghezza ottimale.

Sulla base di questo sistema ausiliario di trasmissione di forza, un antagonista muscolare può essere fondamentale per l’ottimizzazione della produzione di forza da parte un dato muscolo, in quanto elemento di stabilizzazione.

In base a tale discorso si può capire come la forza sia angolo e gesto specifica, e di come più ci si allontani dalle caratteristiche tecniche di riferimento, più sarà difficile che la capacità allenante di un dato esercizio possa essere utile al miglioramento della performance.

Questo potrebbe indurre a far credere che esercizi aspecifici o di isolamento abbiano poco senso nell’ambito degli sport di situazione, ovviamente è un’affermazione che va contestualizzata al livello del soggetto (4).

Più un atleta è specializzato e più sarà preponderante la ricerca di una relativa specificità

Negli atleti evoluti si favorirà sempre più un approccio tendente all’ottimizzazione coordinativa gestuale, più che del miglioramento di parametri fisiologici. La stessa considerazione può essere usata per gli esercizi multiarticolari, nei quali potrebbe esservi uno stimolo eccessivo per determinati distretti ed irrisorio per altri.

Anche in tal caso la risposta va cercata nelle esigenze del singolo tramite una valutazione delle esigenze (5).

Considerare il vissuto dell’individuo, i traumi, infortuni, postura dinamica, caratteristiche trasversali, unitamente alle richieste dello sport praticato, è un primo approccio da considerare come riferimento operativo. 

Atleta forza tridimenzionale
CONCLUSIONI

A partire da questo piccolo cappelletto introduttivo, i riferimenti da considerare per orientare il lavoro possono essere riassunti dai seguenti punti:

  • Colloquio conoscitivo dell’atleta. (Considerare il suo vissuto, il suo stile di vita, la storia dei traumi, le sue esigenze)
  • Valutazione posturale soprattutto dinamica.
  • Valutazione delle richieste sport-specifiche. (Soprattutto angoli di lavoro, tipologie di forza maggiormente necessari, tempi di applicazione della forza, traumatismi principali della disciplina svolta)
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Bibliografia

  • C.Bosco. La forza muscolare. Aspetti fisiologici ed applicazioni pratiche.
  • Huub Maas and Thomas G. Sandercock. Force Transmission between Synergistic SkeletalMuscles through Connective Tissue Linkage.
  • Huub Maasa, Guus C. Baana, Peter A. Huijing. Muscle force is determined also by muscle relative position: isolated effects.
  • Schoenfeld BJ, Contreras BM. Is functional training really functional? ACSM Certified News 2010.
  • Schoenfeld BJ, Contreras BM. Do single-joint exercises enhance functional fitness? Strength Cond J 2012.

Autori: Antonio Di Stasio e Dario Mirra

Gruppo giovanile

La gestione

…di un gruppo del settore giovanile
“Debutta la rubrica dedicata ai lettori che decidono di contribuire offrendo a tutta la nostra comunità la propria riflessione, opinione, idea su di un argomento a loro più vicino.
Questa è la volta di Francesco Callipo (giovane allenatore di pallacanestro).
Grazie per aver “rotto il ghiaccio”. T.M.

Francesco Callipo
Francesco Callipo

All’inizio del percorso formativo e di sviluppo di un giovane atleta l’impatto con il gruppo squadra può essere determinante, sulla velocità di apprendimento e sulla definizione di alcuni aspetti caratteriali del ragazzo, quali autocontrollo e impulsività, equilibrio e aggressività, leadership e disponibilità.

A partire dal Minibasket arrivando al Settore Giovanile, quasi la totalità dei ragazzi mantiene, come è normale che sia, un’impostazione individualista degli aspetti legati al gioco.

Gioco di squadra

In questo senso il Gruppo, il gioco di squadra e le attività di collaborazione possono, anzi, devono costituire un impatto emotivo che stimoli il giovane a sviluppare nuove capacità relazionali e diverse abilità nella gestione della propria emotività.

Il ruolo dell’allenatore deve essere quello di generare costantemente stimoli ai singoli atleti per provocare reazioni che li inducono a cercare delle motivazioni.

L’allenatore dovrà trasmettere all’allievo, con empatia e determinazione, le seguenti competenze:

  • Requisiti comportamentali – attitudinali, cercando di migliorare la loro soglia dell’attenzione. Saranno così in grado di recepire e processare le indicazioni che gli vengono fornite.
  • Requisiti fisici, che devono essere specifici, funzionali e mirati al fisico di ognuno, dedicandogli almeno 1/3 del lavoro settimanale. Col tempo, devono anche imparare a gestire il dolore o una limitazione, per evitare che, in futuro, non riesca a fronteggiare un problema di natura fisica che lo freni in fase di sviluppo.
  • Requisiti tecnici, nello specifico, avere la padronanza dello spazio e del tempo, ovvero sapere dove andare e quando farlo.Superato il minimo disagio, che tale reazione genera, il ragazzo si aprirà completamente al gruppo, per diventarne parte integrante con i propri pregi e difetti.Inoltre potrà, indirettamente, insegnare agli altri e, direttamente, imparare da tutti.

Superato il minimo disagio, che tale reazione genera, il ragazzo si aprirà completamente al gruppo, per diventarne parte integrante con i propri pregi e difetti.

Inoltre potrà, indirettamente, insegnare agli altri e, direttamente, imparare da tutti.

Mettersi in gioco

Affinchè tutto ciò avvenga, è fondamentale che i ragazzi siano sempre disposti a mettersi in gioco.

L’Allenatore ha la responsabilità di doversi guadagnare la fiducia degli atleti, per potergli dare sempre sicurezza e loro, in cambio non negheranno la propria disponibilità all’apprendimento e alla partecipazione.

Elemento di base, solido e determinante, è la Credibilità che l’allenatore riesce ad ottenere attraverso i comportamenti e le scelte, che devono essere sempre coerenti e adatte per ogni singolo atleta, anche se dovessero andare controcorrente.

Per il bene del ragazzo, per la sua maturazione prima e per il miglioramento del gruppo dopo, è di vitale importanza che acquisisca la consapevolezza che un “no” non è sintomo di fallimento, bensì è parte integrante del percorso di crescita.

In ogni caso, alla base ci siamo noi Allenatori, i quali con il comportamento, l’etica del lavoro e la tenacia sportiva trasmettiamo dei messaggi agli atleti che apprendono, modificano e ripropongono o in maniera positiva (superando gli ostacoli) o negativa (diventando poi abitudini difficili da cambiare).

Essenziale sarà lo stabilire regole di comportamento, piani di allenamento, attività di potenziamento, osservazione del gruppo e verifica degli obiettivi durante tutto l’arco dell’anno.

Fissare dei focus raggiungibili, passo dopo passo, magari con traguardi intermedi e soffermarsi ogni tanto a verificare come procedono le attività, senza timore di tornare indietro, se non si è contenti dei risultati prefissati.

Non sempre la colpa è della squadraforse i compiti devono essere proposti in maniera diversa.

Per questo è necessario continuare a condividere con il gruppo le proprie idee, spiegando la scelta di un certo tipo di lavoro, riconoscendo in ognuno di loro il miglioramento individuale.

Citando le parole del Coach Ettore Messina, “Ci vuole il tempo che ci vuole”, al di là se il ragazzo sia alle prime armi di un gruppo Under 13 o sia un giocatore di Serie A.

Ettore Messina
Ettore Messina. È tra gli allenatori europei di pallacanestro più titolati, potendo vantare nel suo palmarès ben ventotto trofei con i club, compresi quattro campionati italiani, sei campionati russi, quattro Eurolega, una Coppa delle Coppe e tre VTB United League

Non è semplice, al giorno d’oggi, stare al passo con i ragazzi che sono in continua evoluzione, parallelamente alla tecnologia che li circonda, abituati ad avere tutto e subito, ed a voler raggiungere l’obiettivo nell’immediato, senza avere costanza e pazienza.

Bisogna instaurare un rapporto di fiducia e stima reciproca con gli allievi, in modo tale che, nei momenti di difficoltà, avranno un punto di riferimento che possa alimentare in loro la voglia di continuare nello sport.

Dalla parte degli ultimi per farli sentire primi

Ultimi primi

di Francesco Callipo

Lo spogliatoio - titolo

Lo spogliatoio

Il sacerdote e i chierichetti sono nella sagrestia, prima che inizi la funzione religiosa.

È domenica: dalla porta principale della chiesa il vociare è sempre composto data la sacralità del luogo, ma nella sagrestia arriva lo stesso quel brusio tipico di quando la gente riempie i banchi.

La gente, quella massa che non riesci mai a distinguere quando stanno tutti assieme che sembrano formare un tutt’uno, quando non è ancora diventata una massa, la avverti, pure in un…

luogo di raccoglimento come quello.

Lo spogliatoio - in chiesa

Lo spogliatoio di una squadra di basket prima della funzione (pardon, prima della partita), ha molto di quel raccoglimento.

Questo luogo inviolabile e invalicabile a chi non fa parte di una ristretta cerchia di eletti, è uno dei luoghi più delicati, importanti e simbolici dello sport, sia di squadra che individuale.

Naturalmente le dinamiche tra sport individuale e di squadra sono diverse, ma quei muri, quelle panche e quegli armadietti, quegli attaccapanni e quella porta che delimita il confine, hanno visto e udito cose inenarrabili. Le hanno udite anche quando dentro quelle mura non parlava nessuno.

Il rito del pre-partita è uno dei momenti che nel basket, e in pochissime altre discipline, assume una sacralità totale. Più la partita assume un significato, più quel rito si fa intenso, assoluto, liturgico.

Il sacerdote che deve dare le disposizioni, nel basket si chiama in un altro modo, all’italiana è l’allenatore, ma è sempre più usato il nome di coach. Coach è la guida – ed è proprio una guida, in tutti i sensi il ruolo che lui esercita.

Lo spogliatoio - coach

In genere il coach non è, come forse si può pensare, quello che tiene le chiavi dello spogliatoio, anzi è bene che si accosti a quel luogo anche lui con il rispetto che si deve a coloro i quali sono i veri protagonisti della funzione sportiva, che sono ovviamente i giocatori.

Lì dentro, dentro quella che è la loro casa temporanea, ciascun giocatore deve avvertire il suo spazio come se fosse il proprio habitat, egli deve contrassegnare il proprio territorio e sapere che nessuno – neppure il Coach – potrà usurparlo.

È una questione di sentirsi a proprio agio – una delle condizioni essenziali perché la sua prestazione sia ottimale. Non c’è giocatore al mondo che possa giocare bene, allenarsi bene, avere un buon rapporto con sé stesso, con i compagni e con lo staff,  se non trova dentro quel rifugio una condizione di assoluta padronanza.

Il coach è bene che chieda permesso prima di entrare, non solo se si tratta di squadra femminile – lì scattano altri meccanismi -, ma anche se si tratta di una squadra di uomini, adulti o ragazzi che siano.

È un’antica forma di rispetto quella che deve usare, è anche attraverso questo simbolismo che lui dà il messaggio di non oltrepassare a suo piacimento quella linea immaginaria che separa il ruolo di guida dalla considerazione che deve avere per ciascuno dei suoi atleti.

Ci sono codici che non si imparano in nessun corso, che nessuna regola ti impone, ma che sono scritte indelebilmente dentro un rapporto trigonometrico: allenatori – staff -giocatori, che ha le sue regole precise, al violare delle quali si perde qualcosa dentro quelle formule che mantengono in equilibrio la cosa più delicata che vige all’interno di un team: il rispetto reciproco dei ruoli.

Lo spogliatoio - rispetto

E poi, quando alla fine, lui varca quella porta, e la sacrestia si prepara alla funzione che avverrà poco dopo, è lì che il miracolo eucaristico dello sport trova la sua più intensa realizzazione.

Una volta usciti tutti assieme, la squadra ha perso le sue singole individualità e si trasforma in una macchina perfetta nella quale ciascuno ha un compito preciso.

La gente – quella massa indistinguibile che nel frattempo ha preso posto sui banchi – a quel punto, saprà che il rito è pronto per il suo compimento.

“Due file!”

Lo spogliatoio - due
Gallinari e Mozgov in riscaldamento con i New York Knicks nel 2009

Gli esperti dicono

Gli esperti dicono…

Questa “sezione” vuole essere un contributo sempre più solido per tutti quelli che decideranno di frequentare il blog ed interagire in maniera costante.

L’idea nasce dalla consapevolezza che ognuno di noi, acquisendo esperienza, diventa competente nel proprio campo e con generosità potrà metteresi a disposizione della comunità sportiva.

Per iniziare ho chiesto di “aiutarmi” e di “aiutarci” principalmente ad amici incontrati nel percorso di vita professionale, i quali hanno…

suscitato in me una grande stima da “esperti professionisti” in grado di arricchire il mio bagaglio sportivo e di vita.

Ognuno di loro, in un proprio spazio, tenterà di darci spunti, input e feedback sui vari argomenti che di volta in volta andremo a trattare e che ci ricondurranno al settore sportivo.

Oltre che un onore, è un prezioso contributo che concorre a migliorare questa mia idea, nata (come anticipato nella presentazione del blog) senza alcuno scopo di lucro ma solo per migliorare la qualità del mondo sportivo attraverso il confronto “rigorosamente gratuito” avanzando dallo stesso punto di partenza, migliorandoci e formandoci insieme.

Tanti, troppi, molti sono i blog o siti che ci invadono con grossi titoloni per poi scoprire che l’approfondimento, un webinar, un corso on line, una semlplice lettura ha un costo alto e chi lavora in palestra anche solo per passione,sperimenta sulla pelle degli altri a volte facendo bene ma altre volte no.  

Si dice che” niente si fa per niente”. Beh in questo caso no.

E’ TUTTO GRATIS!!!

teamwork - pre raduno

Il pre – raduno dell’assistant coach

In questo articolo affronterò un aspetto del mio lavoro che ritengo avere un significato ed un’importanza fondamentale nell’organizzazione e nella realizzazione di una stagione lavorativa: il lavoro svolto ancora prima dell’inizio del raduno.

Faccio riferimento ad un periodo di circa 2 mesi, immediatamente dopo la formazione dello staff tecnico e ben lontani dal campo e dalla palestra in cui la conoscenza e l’intesa tra il capo allenatore ed i suoi assistenti viene affinata e, dalla quale, attraverso il confronto, vengono pensate e gettate le fondamenta della squadra.

L’allenatore, di concerto con i suoi collaboratori,…

stabilisce le linee guida sia tecniche che gestionali, l’organizzazione delle settimane lavorative, il numero di allenamenti, gli orari, il numero degli atleti del settore giovanile aggregati alla prima squadra, in particolar modo, durante il periodo della preparazione pre – season.

Tanti sono gli incontri, anche con i dirigenti che lavorano a più stretto contatto con lo staff, con il fine di creare un corpo unico, punto focale per il raggiungimento degli obiettivi.

lavoro di squadra

Le riunioni e l’organizzazione del lavoro sulle quali in questo contesto voglio porre maggiormente l’attenzione e sottolineare, avendo un ruolo fondamentale per la riuscita positiva della stagione, sono quelle che avvengono nei primissimi giorni dopo la formazione dello staff: la scelta del roster.

È un momento molto delicato, dove gli eventuali errori che possono verificarsi nella scelta dei giocatori, si ripercuoteranno con conseguenze negative per tutto l’anno; sbagliare la chimica di una squadra può essere fatale, non avendo tempo per porvi rimedio.

In uno sport di squadra, in questo caso la pallacanestro, ma, passatemi la mia affermazione critica “a causa della presunta -cultura- sportiva italiana”, il risultato deve essere immediato.

Si parla di pochi mesi se non settimane e, molto spesso, non si ha nemmeno il tempo per rimediare ad un errore di costruzione pagando con il posto di lavoro, il cosiddetto ESONERO.

Ciò nonostante è un lavoro molto stimolante, dove si uniscono speranze e convinzioni, dove nelle menti degli allenatori e dei suoi assistenti si forma il disegno del team e di come si vorrebbe che si giocasse.

Si visionano parecchi video, è il momento in cui si traggono i frutti di un lavoro che ormai tutti gli allenatori e gli assistenti svolgono durante l’anno, il lavoro di scouting!

scouting

Ognuno ha il suo sistema per dar vita ad un vero e proprio database.

I giocatori vengono divisi in base ai ruoli, alla nazionalità o in altri casi per passaporto, in base ai campionati in cui hanno giocato, per poi assegnarli un giudizio sulle proprie caratteristiche e sulla loro possibile adattabilità al campionato.

Discorso leggermente diverso per gli atleti seguiti da diversi anni, a cui viene assegnato, oltre a quanto detto prima, anche un giudizio riguardo i loro miglioramenti e la loro crescita. Può verificarsi che non sono adatti o pronti in un determinato anno, ma che diventano i prescelti per un altro.

É il momento di intensificare, con cadenza quotidiana, i contatti con le varie agenzie di procuratori che forniscono le loro liste di giocatori e i video dei loro assistiti. È il momento di continui confronti e di redarre report da presentare ai dirigenti responsabili.

Giornate lunghe, spesso finiscono a notte fonda, alcune positive, molte altre deludenti per non essere riusciti a “firmare” un obiettivo, ma sempre utili per accrescere le proprie conoscenze in termini di giocatori.

Negli ultimi anni la difficoltà di reperire video e immagini di giocatori è notevolmente ridotta. Non è più una sorpresa ritrovarsi a visionare highlights o partite con poco significato. Qui la critica, sempre costruttiva, è verso i procuratori che, nel tentativo di promuovere i loro clienti , esaltano in maniera troppo evidente le gesta, rischiando di essere poco attendibili e funzionali alla causa.

Credo, invece, sia importante verificare anche il perché un determinato giocatore abbia giocato male e in che modo sia stato messo in difficoltà.

Per ovviare un pò a questa problematica entra in gioco la rete di contatti con altri colleghi o dirigenti di fiducia che ogni allenatore deve avere per poter prendere informazioni (reciproche) anche e soprattutto personali su un possibile acquisto.

La differenza, in un gioco di squadra, la fa il gruppo, la chimica che si riesce ad instaurare, insomma: il giusto equilibrio tra ruoli e uomini.

L’assistente deve operare una prima scrematura dei vari profili da sottoporre al capo allenatore e al manager e tutto ciò richiede una totale fiducia nelle capacità del collaboratore. Da qui la necessità di scoutizzare in maniera autonoma i giocatori e di redigere report precisi che forniscano una valutazione ben codificata (si possono usare punteggi, stelline e stilare classifiche ruolo per ruolo).

É fondamentale, quindi, il confronto sincero e schietto, in alcuni casi anche intenso, ma sempre nel rispetto dei ruoli e degli obiettivi comuni.

Basketball_Positions

Fatta la squadra, si prendono contatti con i giocatori singolarmente, fornendo loro utili informazioni tecniche e tabelle di lavoro personalizzato affinché si presentino al raduno già con una condizione generale “accettabile”. Il tempo è tiranno in molti casi come in questo.

Ultimo aspetto a cui voglio far riferimento è l’organizzazione delle amichevoli e dei tornei preseason, lavoro più arduo di cui si possa pensare.

Negli ultimi anni si deve sempre più convivere con esigenze economiche restrittive nel trovare non meno di 10 partite amichevoli prima del campionato, ricerca che impiega molto tempo e fatica.

Anche in questo caso i contatti con colleghi e dirigenti ci vengono in soccorso, ed è bene mantenerli ed alimentarli durante tutto l’anno, sia per una miglioria reciproca che per interessi lavorativi di entrambi.

Spero sia stato in grado di far capire che mole di lavoro bisogna affrontare, dove si avverte la responsabilità di ciò che si sta facendo, si ha la percezione di dover sbagliare il meno possibile e, aspetto quasi incredibile, è un lavoro che molto spesso le società di appartenenza non riconoscono contrattualmente.

Infatti, nella maggior parte dei nostri contratti, si fa riferimento al raduno come inizio della stagione, dimenticando di tutto ciò che viene prima, che, come più volte sottolineato, ha un valore estremamente importante.

Credo sia il periodo lavorativo più condizionante, in cui si pongono le basi affinché si possa avere una stagione di successo.

successo

tipi di mobilità articolare

La mobilità nei giocatori

Prevenzione dei traumi e delle lesioni da sport

“La mobilità articolare è la capacità e la qualità dell’atleta che gli permette di eseguire movimenti con grande ampiezza di oscillazione in una o più articolazioni con le proprie forze o grazie all’intervento di forze esterne”

Un concetto con lo stesso significato di mobilità articolare è quello di flessibilità.

L’articolarità e la capacità di allungamento vanno considerati invece componenti della mobilità articolare e quindi due concetti subordinati ad essa.

La mobilità articolare è un presupposto elementare per un’esecuzione qualitativamente e quantitativamente migliore di un movimento. La sua formazione ottimale, rispetto alle esigenze…

della pallacanestro, svolge un’azione positiva complessa sullo sviluppo dei fattori fisici della prestazione (forza, rapidità, ecc.) o delle abilità motorie di tipo sportivo (ad esempio i vari fondamentali tecnici). Inoltre influisce sullo sfruttamento completo del potenziale di prestazione esistente, sulla preparazione di allenamento e, in misura notevole, sulla prevenzione degli infortuni strettamente correlata con essa. Si tratta di funzioni molto importanti per il gioco della pallacanestro.

Se viene migliorata la mobilità articolare i movimenti possono essere eseguiti con maggiore forza e rapidità, perché viene opposta una minore resistenza da parte dei muscoli antagonisti.

Nella pallacanestro troviamo un tipo di sollecitazione che è caratterizzato, per la maggior parte, da brevi scatti, improvvisi cambi di direzione, arresti, salti, passaggi e tiri. Si tratta di movimenti molto dinamici, spesso aciclici, che esigono non soltanto una muscolatura molto potente, ma anche un’elevata elasticità e capacità di allungamento e rilassamento dei muscoli interessati, qualità che garantiscono una buona tollerabilità del carico e sono un elemento di prevenzione degli infortuni.

L’efficacia dell’allenamento della mobilità articolare per la prevenzione degli infortuni si può ricavare da tutta una serie di studi (cfr. Moller – Schober).

Secondo i su citati studiosi una buona rielaborazione del carico, tra gli altri fattori, è caratterizzata da una capacità individuale ottimale di rilassamento muscolare, che ad esempio viene influenzata positivamente dallo stretching.

Perciò una misura importante, ed indispensabile, di ogni preparazione immediata all’allenamento o alla gara, è rappresentata da un addestramento della mobilità articolare diretto a migliorare l’elasticità e la capacità di allungamento e di rilassamento.

Se si considera che il giocatore di pallacanestro mostra una tendenza alla formazione di squilibri muscolari il lavoro sulla mobilità articolare, integrato nell’allenamento indirizzato ad allungare i muscoli accorciati, rappresenta un’importante misura di prevenzione che impedisce l’insorgere di processi degenerativi a livello articolare e che si formano stereotipi motori sbagliati od alterati.

Un’efficace prevenzione degli infortuni, con azione sia a breve che a lungo termine, offre la possibilità di sfruttare completamente il potenziale individuale di prestazione e favorisce un migliore atteggiamento verso l’allenamento: se gli atleti non incorrono in infortuni per lunghi periodi di tempo possono sfruttare il loro potenziale in quanto si allenano regolarmente, senza interruzioni, e possono così sviluppare senza condizionamenti negativi la loro capacità di prestazione.

Gli atleti che non hanno problemi muscolari, di legamenti e di tendini, mostrano un atteggiamento mentale positivo verso un allenamento duro ed a lungo termine.

L’atleta eternamente infortunato, alla fine, comincia a dubitare che il suo duro lavoro d’allenamento paghi, visto che ogni volta deve ricominciare da capo, e diventa sempre più incline alla rassegnazione, a tutto discapito della sua motivazione verso l’allenamento.

Allenare in modo ottimale la mobilità articolare è possibile solo se si conoscono sufficientemente le sue basi anatomiche e fisiologiche.

Chiedi chi era Sylvester

Un giorno che non ti aspetti vedi il mondo da un altro punto di vista. Fino al giorno prima eri certo che ci fosse qualcosa che ti piacesse e basta, anzi no, qualcosa di cui eri innamorato fino a perdere il sonno, ma che stava lì, era davanti a te e tutto quello che ti interessava era quel rettangolo, un paio di canestri alle estremità, una decina di giocatori che andavano avanti e indietro tra cui c’eri anche tu.

Fine.

Poi quel giorno scopri che dietro quel rettangolo c’è altro.

Altro a volte è poco, pochissimo, ma a volte, come questa, è tutto.

È il mondo che non conoscevi, sono i segreti che permettono a quei dieci matti di stare lì per ore e ore a gettare il sangue, è capire ogni singolo movimento a cosa serve e come quel movimento può…

migliorare per far sì che la squadra per cui tu sei schierato, può vincere.

Detta così, nulla di strano.

È la professione di allenatore, quella che ci fa ammattire i giorni e le notti per cercare quello schema, quella modalità, quella strategia, a volte persino quella parola che, messa sulla bilancia impercettibile delle emozioni, fa capovolgere il risultato di quel pizzico che serve ad andare in paradiso oppure precipitare all’inferno.

Già, perché è questo ciò che succede in una partita.

Ogni volta sei in bilico sul baratro, con i piedi già mezzo fuori, e la palla che danza sull’anello all’ultimo secondo e decreta come il più severo giudice se precipiterai oppure se potrai tornare quel mezzo passo indietro per salvarti la vita.

E la settimana dopo si ricomincia, e poi di nuovo, e di nuovo ancora. Gioia e maledizione, inferno e paradiso, gloria o polvere. E la capacità di un allenatore sta nel non ingoiare tanta polvere quando è costretto a cadere né beatificarsi troppo quando quella la palla è entrata.

Una volta la nostra formazione tecnico tattica la facevamo sui libri oppure, al massimo, guardando la televisione e ascoltando i commenti di Aldo Giordani (quello che inventò la parola “bombe” quando qualche giocatore dell’Ignis, della Sinudyne o della Simmenthal centrava il tiro da tre punti).

Oggi la formazione è diventata più multitasking e la facciamo sul web, con i Pao o con le app, ma insomma, cambiano gli strumenti senza mutare, di una sola virgola, lo scopo ultimo: quello di mettere la palla arancione dentro un anello arancione e, per converso, impedire che gli avversari facciano la stessa cosa.

A un certo momento a quelli che fanno (o, come me, che hanno fatto) questo lavoro, ogni tanto sentono qualcuno di quelli super bravi – perché allenano in America o all’est – che un giorno dicono una cosa nuova e quella cosa sembra bella e meravigliosa solo perché l’hanno detta quelli, perché se la stessa cosa la dicesse il giovane allenatore del campetto dei salesiani allora sarebbe una stronzata colossale.

Se hai un minimo di sale in zucca è lì che capisci la verità.

Capisci l’unica verità che riguarda tutti, proprio tutti quelli che ruotano intorno a questo pazzo sport, e cioè l’unica verità è la più banale e assurda delle verità, ed è che non c’è nessuna verità.

Perdiamo gli anni, i decenni, a insegnare la biomeccanica del tiro, la scienza ergonomica della posizione, dei piedi, delle ginocchia, dei gomiti eccetera, con tutti i millimetrici meccanismi che regolano il gesto più importante di questo sport, dopodiché arriva uno che tira con entrambe le mani da dietro la nuca, la palla nemmeno la guarda, gli parte in una posizione di completo disallineamento tra occhi, mani, arti inferiori e superiori, eppure fa sempre canestro, e allora capisci che le regole sono una follia.

Ci sono solo due cose: le eccezioni e il cuore, e queste sono le uniche cose di cui non puoi fare a meno.

Il basket è un po’ come l’amore: è una gran fortuna che nessuno lo sappia spiegare fino in fondo.

Ah per la cronaca, quel giocatore esiste davvero e faceva canestro per davvero e tirava veramente in un modo impossibile e si chiamava Mike Sylvester.

Chiedi chi erano i Beatles e qualcuno forse si ricorderà anche di lui.

Mike Sylverster
Myke Sylvester

Un passo indietro

Mi piacerebbe partire da un concetto che mi è stato trasmesso da coach Antonio Petillo, uno dei formatori italiani con una esperienza infinita come allenatore di gruppi giovanili, e cioè che se vedete che quello che state proponendo ai vostri ragazzi è troppo difficile o comunque vedete che non vi possono seguire “fate un passo indietro” …

Questo concetto racchiude un insieme di cose che vanno dai fondamentali, dalle ore di allenamento che hai a disposizione, dalla possibilità o meno di avere al tuo fianco un assistente o addirittura un preparatore atletico, ma soprattutto che lo sport in generale ed il basket in particolare non è improvvisazione.

Se i giocatori che alleni non sanno tirare, oppure palleggiare oppure passare la palla allora diventa difficile fare altro.

Se non sanno correre e fare dei movimenti come quelli del basket che non sono naturali allora poi diventa difficile proporre altro.

Se poi hai a disposizione al massimo tre allenamenti a settimana di scarso due ore devi per forza di cose fare una scelta.

Fate un passo indietro” significa anche sapere leggere la situazione ed avere ben presente chi sto allenando. 

Il coach ha questo compito, non semplice, di capire con chi si rapporta in palestra, non tutti sono allenatori di gruppi selezionati, composti da ragazzi scelti e che vogliono fare da grandi i giocatori di basket e che ovviamente hanno altre motivazioni rispetto al gruppo che normalmente si allena e che è composto da ragazzi o ragazze che condividono con te solo una grande passione.

voglia di allenare i ragazzini

Fate un passo indietro” significa anche non essere presuntuosi, in giro ci sono tantissimi coach con il colletto della polo alzato e che poi di fatto in palestra spiccano solo per il look. Spesso si pensa di sapere ma poi il confronto con altri allenatori ti fa capire che il “io so” è un concetto relativo.

Fate un passo indietro” però al netto della presunzione ha in sé un significato fondamentale che io so qual è il punto di partenza e qual è il punto di arrivo. 

Il mondo del web è pieno di immagini pazzesche con giocatori che fanno sembrare facili cose difficilissime ed allora ci sono due strade da seguire scimmiottare quel giocatore con risultati alquanto discutibili oppure “smontare” la costruzione di quel movimento e proporre il fondamentale che è frutto di quel movimento.

Per allenare un gruppo giovanile infine sarà fondamentale sapere la barca in quale direzione deve andare, conoscere le caratteristiche della barca.

Non si può fare “ un passo indietro” nel cuore che ci si mette nel fare il coach: per i ragazzi sei credibile solo se loro sentono che stai dando qualcosa, che la tua passione ed il tuo lavoro è vero.

Atleti di qualsiasi età e sesso ti seguiranno quando sentiranno che sei VERO ed è questo l’unico ponte che va oltre i luoghi comuni tipo “i giovani di oggi non hanno voglia di lavorare in palestra”, perché nel momento in cui capisci che la tua passione verso questo sport è condivisa con chi alleni in palestra allora inizi ad assaporare il gusto della soddisfazione di fare il coach di gruppi giovanli!!!

Nuovi giochisport

Sono Pasquale Iezza, cerco di svolgere al meglio il mio compito di Dirigente scolastico in una città collinare con un’aria purissima come i suoi bambini, Lettere, in provincia di Napoli.

Lavoro nella scuola da 35 anni e sono arrivato alla conclusione che è possibile creare nuovi giochisport.

Ho avuto questa intuizione sulla spiaggia di Vico Equense.

La mia schiena scottata dal sole era ormai diventata una perfetta piastra per la cucina cinese, potevo con semplicità trasformare un ghiacciolo…

in un gelato fritto. Sdraiato in quella posizione stavo osservando i nuovi esercizi di Acquagym che un bravo istruttore di educazione motoria faceva svolgere ad un gruppo di bagnanti. Ebbene sono rimasto quasi ipnotizzato dai movimenti, che avevano una cadenza fissa, divisa in otto tempi.

Alla quinta serie di esercizi stavo quasi per assopirmi e, per restare sveglio, e non farmi rosolare completamente dai raggi solari, attivai un residuo circuito cerebrale scuotendo repentinamente a destra e a sinistra la testa, come quando si oscilla velocemente il polso in modo da far ripartire gli orologi automatici.

Rimasi in uno stato di dormiveglia e fu proprio in quel momento, in uno stato di illuminazione, che pensai: “l’avventura delle idee deve partire dal movimento”.

Questo è stato il primo passo verso la creazione del nuovo giocosport: la Pallarmonica.

foto pallarmonica

Il movimento è quasi sempre spezzettato in esercizi meccanici cadenzati in due, quattro, dodici e più spesso otto tempi, una successione precisa di azioni divise da seguire a ritmi regolari con un esperto di fitness da imitare a specchio.

Il frazionamento del movimento, il suo spezzettamento, e l’imitazione di un preciso modello da seguire, imbriglia l’ascolto del movimento libero, naturale, spontaneo, proprio di ogni persona.

La motricità così è paralizzata e perde la sua originalità, il suo pensiero, la sua emozione. Pensiero, emozione e movimento pagano, in parti uguali, i costi del condominio al nostro corpo, la coabitazione non è forzata, non si vive da separati in casa, ma loro stanno insieme in modo piacevole e produttivo.

Le emozioni e il movimento fanno maggiore confusione ma è proprio questa vivacità che alimenta il pensiero e facilita l’apprendimento.

Attraverso l’attività motoria una persona impara a percepirsi integralmente, ascolta le sensazioni, i pensieri, le emozioni, esplora il proprio corpo e le sue possibilità di relazionarsi al ritmo e all’armonia dell’ambiente esterno.

Il movimento permette l’unione del mondo interiore, affettivo ed emotivo, con quello esteriore, razionale e socio-ambientale. La mia visione scolastica innovativa è partita da questa giornata al mare.

La mattina dopo ho ideato un nuovo gioco sportivo, la PALLARMONICA, che facilita il superamento della divisione, tra ragazzi e ragazze, nella pratica delle attività motorie. La pallarmonica unisce creando armonia (da cui il nome del gioco).

L’armonia si realizza tra i giocatori della stessa squadra, obbligatoriamente un maschio ed una femmina (nel doppio due maschi e due femmine), che entrano in contatto, mano – mano oppure con una presa mano – avambraccio, per ricacciare la palla nel campo avversario e conquistare il punto.

Il gioco è semplice da imparare, è alla portata di tutti e favorisce l’inclusione, fondamentale è imparare a collaborare alla pari. Ho presentato la pallarmonica nelle classi quarte e quinte della scuola primaria e nelle classi prime della scuola secondaria di primo grado.

Il gioco ha suscitato da subito curiosità e tutti hanno voluto provare, attualmente è una delle pratiche sportive dell’Istituto e rientra nella programmazione degli insegnanti di educazione fisica.

L’intera comunità educante ha partecipato, nei vari anni scolastici, grazie a progetti promossi dal professore Tiziano Megaro, al primo torneo di pallarmonica cittadino.

Allenamento pallarmonica

Il nuovo giocosport è stato presentato, all’interno di una conferenza, alla tre giorni per la scuola a Città della Scienza a Napoli, per diffonderlo tra tutti i docenti della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado della Campania che avessero la voglia di esplorare e sperimentare nuove pratiche motorie.

La diffusione nelle scuole della pallarmonica, attraverso il supporto del portale “Movimento Divergente” (da configurare), sarà uno stimolo per motivare gli studenti a proporre altre idee relative a pratiche sportive originali e rispondenti ai loro bisogni motori.

Le nuove tecnologie permetteranno agli studenti, da subito curiosi, indagatori, costruttori, inventori, di avviare una ricerca sul movimento liberando la creatività e le loro intelligenze multiple.

Le proposte più votate sulla piattaforma verranno regolamentate e implementate nelle scuole del territorio nazionale.

È possibile creare nuovi giochisport.