Il senso di una sconfitta

Il senso di una sconfitta

Hai presente il primo allenamento della settimana dopo che la domenica hai perso una partita?

Osserva bene i giocatori quando entrano in palestra.

Ciascuno ha la sua reazione, questo è chiaro. Ma se stai attento ai loro sguardi, potrai notare una di queste due reazioni:

  • La prima è di frustrazione, questo atteggiamento riguarda quelli che magari avevano un certo grado di aspettative sulla partita.
    • Il loro sguardo è basso, il morale pure, sembrano cani bastonati.
  • La seconda reazione è di rabbia, e riguarda la maggior parte.
    • Non vedono l’ora che si giochi di nuovo, perché hanno dentro di loro il sacro fuoco della vendetta (sportiva, s’intende), e desiderano dimostrare che la sconfitta della domenica precedente era solo un episodio e vogliono riscattarsi. 
rivincita
Il significato della sconfitta sta tutto dentro questa parola: riscatto.

Riscatto è un termine che ha a che fare direttamente con la motivazione, ovvero quella cosa che, da sola, è in grado di spostare montagne. Non c’è spinta più forte di questa, per migliorarsi.

Riscatto è una parola di fuoco. Contiene ogni elemento che è in grado di spingere i propri sforzi ad un livello inimmaginabile di prestazione.

Se un giocatore potesse attingere a questa forza anche dopo aver vinto, beh, nel mondo ci sarebbero tanti Kobe Bryant.

E invece di gente così ne nasce una ogni cinquant’anni.

E qui entriamo nella parte opposta del discorso:

gli atteggiamenti inconsci determinati da una vittoria.

È rarissimo che un giocatore che abbia vinto una o più partite di fila, abbia quella rabbia agonistica, quella giusta energia mentale (è di questo che stiamo parlando se non si è ancora capito) per affrontare la preparazione settimanale con lo spirito di chi chiede a sé stesso di arrivare sempre un passo avanti.

Certo, dirai, la vittoria ti regala una cosa impagabile, che consiste in quella sicurezza, quella freddezza e quella confidenza che danno maggiore fiducia nei propri mezzi, e che forse, se hai accumulato “self confidence”, quando la partita si fa decisiva, forse avrai anche un piccolo vantaggio nei confronti di chi, suo malgrado, ha più paura di rivedere il mostro, di chi teme che dentro quel baratro si possa sprofondare, una volta ancora.

Prendiamo il tennis.

Altro sport con una spiccata connotazione mentale.

Non ho le statistiche aggiornate, ma giurerei che, in un match con valori che sono pressappoco equivalenti da un punto di vista tecnico, il giocatore che vince il primo set, il 50% delle volte perde il secondo, e la ragione sta sempre dentro quelle due paroline magiche: motivazione e senso di riscatto.

Il giocatore che ha appena portato a casa la prima partita subisce un inconscio calo di tensione, una specie di impulsivo appagamento, mentre il giocatore che ha perso il primo set è costretto a raddoppiare gli sforzi per restare in partita.

Unisci magicamente questi elementi e il gioco è bello che fatto.

Uno a uno e palla a centro.

Non so se esiste una ricetta per evitare cali di tensione in caso di vittoria né per escludere quel senso di insicurezza che deriva da una sconfitta.

So però di sicuro che la sconfitta aiuta, eccome, a ripartire meglio, a farsi più domande, a indagare meglio sulla preparazione, a mettere in campo più energie, più attenzione per evitare il ripetersi di questo evento.

E tutto questo porta ad un innalzamento della preparazione finalizzata alla performance che coinvolge tutti: giocatori, staff, società.

Uno dei possibili rimedi sarebbe riuscire ad azzerare ogni contraccolpo psicologico derivante dal risultato e concentrarsi invece solo sulla prestazione.

Questa è l’unica àncora di salvezza per restare concentrati sul mezzo (allenarsi al meglio) e non sul fine (risultato). Ma è obiettivamente una cosa assai difficile da fare, per il cervello.

squadra che si allena

Non a caso, nel periodo in cui ho avuto il piacere di allenare, ripetevo spesso

che una squadra vincente è quella che si allena sempre con lo spirito di una squadra che ha perso“.

Ma dentro di me sapevo che dei semplici concetti non si tramutano in azione per il solo fatto di enunciarli.

di Dino De Angelis

Il movimento

Che cos’è il movimento?

Il prof. Pasquale Iezza regala, a tutti i nostri lettori, alcuni argomenti tratti dal suo libro “il movimento divergente” con il contributo del prof. Pino Palumbo, la dott.ssa Rosa Cipriano e del prof. Tiziano Megaro.

Saranno proposti, a puntate, alternandosi con i vari esperti della nostra piattaforma che hanno sposato, con grande generosità, la filosofia del nostro blog.

Il movimento è il modo più naturale che abbiamo per entrare in relazione con le cose che ci circondano.

Se si trovano in alto cerchiamo di…

arrivarci allungandoci o spiccando un salto, se sono in basso chinandoci con un piegamento, se sono vicine e davanti a noi camminando, se sono lontane e dobbiamo raggiungerle in fretta correndo.

Con il movimento instauriamo un dialogo con l’ambiente, ogni oggetto diventa accessibile, alla nostra portata.

Mettiamo un piede davanti all’altro ed usiamo una mano insieme all’altra per scoprire il mondo.

Il movimento ha la dinamicità dell’acqua che può essere solo contenuta in una forma, ma ha in più la forza di modificare con la sua energia creativa il contenitore.

Il movimento nello sport
Foto di Lukas

La nuova pedagogia del movimento divergente ha lo scopo di avviare un viaggio alla scoperta dell’intelligenza cinestetica, delle sue straordinarie potenzialità e dei suoi inesplorati sentieri.

Permette un collegamento tra il corpo, il mondo intorno a noi e le nostre emozioni.

Il movimento non ha confini e non deve avere frontiere, la sua ripartizione in punti ha solo lo scopo di condividere un’ipotesi di studio:

1) Il movimento automatico

Percorre le vie extrapiramidali e ci porta a dare una risposta meccanica, istintiva, agli stimoli ambientali.

  • Il midollo spinale è responsabile dei comportamenti automatici e stereotipati.
  • I riflessi spinali ci permettono una risposta quanto più rapida possibile in seguito a stimoli che segnalano situazioni potenzialmente pericolose per noi
    • se ad esempio la nostra mano è in contatto con una superficie bollente è fondamentale la reazione immediata dei muscoli senza aspettare l’elaborazione della corteccia cerebrale per evitare un’ustione;

2) Il movimento posturale 
  • Elabora le impercettibili informazioni provenienti dai propriocettori sensoriali e dal midollo spinale;
  • permette la conoscenza del nostro corpo nello spazio per arrivare a mantenere, attraverso i riflessi posturali, la nostra posizione eretta mentre siamo in piedi o camminiamo;
  • I propriocettori sono i sensori delle articolazioni, dei muscoli e dei tendini e rilevano la tensione muscolare e la posizione delle articolazioni;

Il segnale che parte dai propriocettori viene trasmesso fino al midollo spinale dal quale si origina un altro impulso nervoso che permette la contrazione involontaria della muscolatura.

Il movimento decisionale
3) il movimento convergente

Responsabile del movimento volontario, è più complesso perché integra le informazioni provenienti dai livelli inferiori e da quelli superiori del cervello.

Tutti i movimenti volontari del corpo sono guidati dal cervello, una delle parti più coinvolte nel controllo è la corteccia motoria.

Per realizzare i movimenti diretti verso una meta, la porzione anteriore del lobo frontale del cervello deve prima ricevere le informazioni dagli altri lobi, da quello parietale sulla posizione del corpo nello spazio e da quello temporale sulla memorizzazione delle azioni passate.

Il movimento convergente richiede una elaborazione percettiva, percorre le vie piramidali e ci permette di svolgere azioni volontarie che ripetute con l’allenamento, con l’imitazione di un modello, con l’addestramento, ci specializzano in una disciplina sportiva spesso unilaterale che sviluppa competenze specifiche a discapito di altre abilità motorie.

4) il movimento divergente
  • E’ la manifestazione espressiva, originale, articolata e consapevole delle nostre energie interiori.
  • E’ il movimento attento al nostro mondo interno in armonia con quello esterno.
  • Risana, in questo modo, le vecchie scissioni corpo-mente, ragione – sentimento, pensieri-affetto.

I nostri movimenti volontari non si dissociano dai nostri impulsi profondi.

Il pensiero, il movimento, l’emozione si uniscono in un unico flusso coinvolgendo ogni parte del cervello, si mettono in collegamento il sistema extrapiramidale e quello piramidale che in realtà non sono mai separati.

Il movimento divergente crea connessioni ripristinando il senso di unità. Le connessioni stabiliscono i nessi tra le sensazioni, le emozioni, le immagini e il pensiero, compreso quello laterale.

I gesti non sono frammentati, staccati, robotizzati, divisi perché vivono l’esperienza corporea nella sua pienezza migliorando il nostro modo di comunicare.

Il movimento divergente ci fa esplorare tutte le possibili combinazioni delle azioni motorie attraverso il gioco, una delle attività più serie che esistano, ricordandoci che non abbiamo un corpo, come se fosse un’automobile acquistata da poco, ma che siamo un corpo. 

Il sistema motorio

si divide, partendo dal basso in:

Le aree motorie oltre a quella motoria vera e propria sono quelle delle regioni corticali premotorie e quelle dell’area motoria supplementare.

I movimenti di tipo riflesso si fermano ai livelli inferiori, al midollo spinale, senza arrivare alla corteccia.

A completare il controllo del movimento ci sono poi il cervelletto e i nuclei della base, tra i quali c’è Putamen, una sorta di supereroe tuttofare a forma di guscio di noce.

La corteccia motoria è quella parte del cervello che pianifica, controlla ed esegue i movimenti volontari del corpo dall’alto del centro operativo del lobo frontale.

I movimenti involontari e volontari sono sempre integrati e il movimento divergente permette il loro naturale collegamento. 

Il  movimento divergente fa così il suo ingresso nelle scienze pedagogiche (Il Movimento divergente, Pasquale Iezza, Aranblu editore, 2001), un ingresso fondamentale perché fecondo di prospettive didattiche e formative nel mondo della scuola e dello sport. 

E’ il movimento, apprendista meccanico, specializzato nelle giunzioni neuro-muscolari, nei cambi, nei circuiti e nei gangli di collegamento, ed ha un’officina con tutte le chiavi di accensione dei motoneuroni di qualsiasi cilindrata.

Ha facilitato nuove risposte a discipline sportive che sembravano codificate in modo permanente, basti solo pensare:

Diego Maradona
Diego Maradona con la maglia dell’Argentina

che a rivederla “scioglie il sangue nelle vene”.

video tratto dal film ” cosi parlo’ bellavista” (1984)

di Pasquale Iezza

Superallenamento

Periodizzazione – Superallenamento si…

ma programmato

Sottolineare quanto sia importante mantenere sotto controllo certi segnali, come la difficoltà a recuperare dopo una sessione di allenamento particolarmente dura, è di una importanza estrema.

I sintomi più evidenti sono:

  • irritazione muscolare che continua oltre le 48 ore dopo l’esercizio;
  • dolore cronico alle articolazioni;
  • sonno agitato e/o stanchezza dopo il sonno;
  • cambiamenti notevoli nelle normali funzioni del corpo;
  • mancanza di motivazione.

Se si nota qualcuno di questi, bisogna modificare:

  • l’intensità
  • la durata
  • la frequenza degli esercizi

e continuare ad osservare qualunque cambiamento.

In seguito a sedute di superallenamento è necessario inserire, in un programma di allenamento, un giorno o due alla settimana esclusivamente dedicati al riposo. 

Nel programma di periodizzazione è assolutamente previsto un paio di periodi di riposo “attivo “ che seguono la stagione pre – agonistica e la stagione regolare (o post – agonistica)

La periodizzazione
periodizzazione

E’ il programma pianificato di allenamento di un atleta o di una squadra durante tutto l’anno che culmina in un ottimale livello di condizionamento atletico o in una buona prestazione complessiva in un periodo prestabilito della stagione.

Nello specifico nel basket, che è uno sport in cui ogni partita conta, un allenamento stagionale teso a raggiungere il culmine della forma nei play – off, non è realistico.

Perciò un piano sistematico di allenamento fornisce delle variazioni:

  • Nell’ Intensità di allenamento (gradi di difficoltà dell’esercizio; la qualità del lavoro);
  • Nel volume (la quantità di lavoro);
  • Nella tecnica (abilità specifica al basket e capacità atletiche)

Le variazioni sono attuate per massimizzare l’effetto dell’allenamento e le prestazioni altamente positive.

Manipolando queste variabili, compreso l’allenamento della forza, è possibile preparare un piano efficace per la stagione da iniziare.

di Tiziano Megaro

L'armonia dell'assieme

L’armonia dell’assieme

“Continua la rubrica dedicata ai lettori che decidono di contribuire offrendo a tutta la nostra comunità la propria riflessione, opinione, idea su di un argomento a loro più vicino. Ci delizia con quest’articolo Virginia Abbagnale (ex atleta di canottaggio, insegnante di lettere e filosofia, attualmente giudice di canottaggio)”
Grazie per continuare a “rompere il ghiaccio”. T.M.

Il canottaggio (e non canoa!) ha tante specialità; la più bella, a mio parere, è l’8+.

8 con

Quasi 18 metri di lunghezza per 93 kili, otto vogatori con un lungo remo ciascuno e un timoniere. Chiedi ad un tecnico e questo ti risponderà, ma la verità è che l’ammiraglia è molto di più.

Chiunque ha visto questa barca in azione concorderà con me che si tratta di pura magia:

canottieri che si muovono all’unisono, le grida di incitamento del timoniere, i remi che volano sull’acqua, la pallina che fila via a velocità impossibile. La barca appare leggera come una piuma, veloce come una freccia, i vogatori sembrano un solo uomo e pare che non possa esserci nulla di più facile e naturale.

Sbagliato.

Dietro a questa meravigliosa visione ci sono tanto sudore e lavoro.

C’è la fatica fisica.

“Ora dopo ora, giorno dopo giorno, con il sole afoso che crepa il terreno, con il freddo che gli penetra nelle ossa o con la pioggia che lo acceca, il canottiere non conosce riposo né vacanza.

I giorni rossi sul calendario spariscono e, anzi, sono più faticosi dei neri, la sveglia suona all’alba. Senza sosta il nostro eroe corre, rema, fa pesi e remoergometro. I primi minuti sono facili, divertenti, ma poi inizia a mancargli il respiro, boccheggia disperato alla ricerca d’aria. Contrarre i muscoli è doloroso, un incendio che si propaga senza sosta nelle gambe e nelle braccia, un urlo di dolore si fa strada nella gola, la testa lo prega di smetterla con questa follia, lo supplica di fermarsi perché se farà ancora un altro movimento potrebbe frantumarsi in mille pezzi e non riuscire a ricomporsi.”

sudore e lavoro canottaggio

È qui che entra in gioco la testa.

Da fuori può sembrare che il canottaggio sia solo uno sport di forza e resistenza fisica ma la verità è che per migliorarsi il controllo mentale è imprescindibile.
Il corpo umano è creato per assicurarsi la sopravvivenza, per questo quando lo spingiamo ai limiti entra in atto un meccanismo di autoconservazione che lo porta a fermarsi.

Ehi, sei matto? Fermati, sei vicino alla zona di pericolo!, questo urla la testa.

Ma il canottiere che vuole migliorarsi non può cedere alla tentazione, al dolce richiamo della sirena che tenta di ammaliarlo, e sessione dopo sessione raggiunge il limite, sopporta il dolore e spinge l’asticella dell’autoconservazione un po’ più in là.

Bene, penserete, ecco allora quali sono gli ingredienti per ottenere la magia. E invece no, ne manca ancora uno; quale?, l’assieme.

Per chi fosse a digiuno di canottaggio, si tratta della parola che si usa quando i vogatori si muovono, appunto, tutti insieme.

Anche in questo caso sembra facile ma non è.

Ogni atleta ha una personalità e un ritmo di palata che lo caratterizza, che fa di lui un individuo unico e irripetibile, ma quando è in barca, soprattutto in un’ammiraglia, bisogna superare l’individualità e otto devono diventare uno.

Non è semplice: finché è in barca, il vogatore deve rinunciare alla parte più spontanea e profonda del suo essere, la deve rinchiudere in un angolino della sua testa e deve affidarsi al suo timoniere. Ripone le sue speranze, la sua forza, le sue paure, tutto se stesso nelle mani del compagno. Ci vuole coraggio, un vero e proprio atto di fede.

Ecco, ora finalmente la ricetta è pronta.

La barca lunga e veloce, gli uomini (e donne!) che si muovono come uno solo, la potenza che si sprigiona ad ogni “Via” del timoniere;

non sembra tutto ancora più magico?

di Virginia Abbagnale

Storia della preparazione atletica

Storia della preparazione atletica

Nuovo concetto di allenamento e suoi principi
Evoluzione preparazione fisica

La storia della preparazione atletica vede la sua comparsa, in modo sistematico, nel calcio intorno agli anni ’60; successivamente ha avuto una forte diffusione anche nelle altre discipline sportive.

La metodica di allenamento deriva…

dall’atletica leggera che, a quel tempo, era l’unico sport che aveva mutuato una cultura strutturata.

atletica-leggera

Questo intervento ha comportato un approccio aspecifico all’attività portando ad una stabilizzazione delle capacità degli atleti e ad una aumento del numero di infortuni.

Negli anni ’80 anche altri sport si affacciano ad un approccio “atletico “ ma con metodiche che nulla avevano a che fare con il modello prestativo.

Negli anni ’90, con la scoperta dei lavori di forza, anche per la pallacanestro, il preparatore ha assunto una rilevanza maggiore rispetto al passato.

Ciò nonostante, le metodiche non erano ancora specifiche anzi derivavano dai body builders con le stesse conseguenze derivanti dall’applicazione dei metodi dell’atletica leggera.

Da pochi anni è iniziata una piccola rivoluzione nell’area della preparazione fisica con l’introduzione di un concetto più moderno: “L’ALLENAMENTO FUNZIONALE”.

Alcuni studiosi hanno dimostrato quanto siano importanti gli aspetti coordinativi del gesto specifico rispetto all’esclusivo lavoro di aumento della forza muscolare, attraverso esercizi che niente hanno a che fare con i movimenti tecnici o la posizione che un cestista assume in campo.

L’allenamento funzionale quindi affiancherà l’allenamento tecnico – tattico del cestista attraverso programmi personalizzati e specifici.

Allenamento funzionale
PRINCIPI DI ALLENAMENTO

L’allenamento nasce dal modello di prestazione tipico del cestista e si sviluppa seguendo dei criteri che tengono in considerazione i requisiti fisici dell’individuo e la sua volontà.

Modello prestativo:

  • Energetico (fonti energetiche maggiormente utilizzate)
  • Biomeccanico (gesto che viene svolto, con partciolare riferimento al rapporto degli arti e anche delle componenti cinematiche e dinamiche)
  • Neuromuscolare (Percentuali di forza impresse e tempo di applicazione)

I parametri che definiscono il modello prestativo sono:

  • Durate della gara
  • Presenza di variazioni
  • Intensità e durata delle variazioni
  • Frequenza del gesto
  • Tempo di applicazione del gesto
  • Adattamento
  • Periodizzazione e progressione

Oltre agli elementi aggiuntivi che sono il riposo e la nutrizione.

L’obiettivo finale dell’allenamento è la gara, oltre per lo scopo agonistico ma anche perché è fondamentale conoscere, osservare e appuntare il comportamento dell’atleta in fase di gara in quanto ci indica la strada da percorrere per programmare l’allenamento.

Gara

(cit e rif.. Prof. Roberto Colli e prof. Gianni Cedolini)

Tipi di mobilità articolare

Tengo a sottolineare che i miei articoli si basano sia su un’ampia bibliografia, sia sul lavoro che ininterrottamente da trent’anni continuo a svolgere in palestra.

Il primo input che mi viene di lanciare, per poter poi approfondire grazie ai vostri interventi, è quello di evidenziare i vari tipi di mobilità articolare…

che viene suddivisa in:

  • Generale
  • Speciale
  • Attiva
  • Passiva
  • Statica
Mobilizzazione articolare

Si parla di mobilità articolare generale quando esiste un livello sufficientemente sviluppato di mobilità nei principali sistemi articolari (articolazioni delle spalle e dell’anca, colonna vertebrale). Si tratta comunque di un criterio relativo, perché il grado di sviluppo della mobilità generale può essere più o meno elevato a seconda del livello delle esigenze (atleta di alto livello o dilettante).

Invece si parla di mobilità articolare speciale quando viene riferita ad una determinata articolazione. Ad esempio, il giocatore di pallacanestro ha bisogno di una mobilità accentuata nelle articolazioni della spalla e dell’anca.

La mobilità articolare attiva è la massima escursione di movimento in una articolazione che il giocatore può raggiungere contraendo i muscoli agonisti (Gli agonisti sono i muscoli responsabili per primi della generazione del movimento) – e parallelamente estendendo gli antagonisti. (Gli antagonisti agiscono in opposizione al movimento generato dagli agonisti e sono responsabili del ritorno dell’arto alla posizione iniziale).

Invece la mobilità articolare passiva è la massima escursione del movimento in una articolazione che il giocatore può raggiungere per l’azione di forze esterne (forza di gravità, attrezzi, azione di un compagno) solo attraverso la capacità di allungamento o di rilassamento dei muscoli antagonisti. (La mobilità articolare passiva è sempre maggiore di quella attiva).
La differenza, sostanziale, tra mobilità articolare passiva e attiva viene definita riserva di movimento ed indica fino a che punto la mobilità articolare attiva può essere migliorata potenziando gli agonisti od aumentando la capacità di allungamento degli antagonisti.

Con mobilità articolare statica s’intende la capacità di mantenere una posizione di allungamento per un determinato periodo di tempo.
Esso svolge un ruolo determinante nello stretching.

tipi di mobilità articolare

La mobilità nei giocatori

Prevenzione dei traumi e delle lesioni da sport

“La mobilità articolare è la capacità e la qualità dell’atleta che gli permette di eseguire movimenti con grande ampiezza di oscillazione in una o più articolazioni con le proprie forze o grazie all’intervento di forze esterne”

Un concetto con lo stesso significato di mobilità articolare è quello di flessibilità.

L’articolarità e la capacità di allungamento vanno considerati invece componenti della mobilità articolare e quindi due concetti subordinati ad essa.

La mobilità articolare è un presupposto elementare per un’esecuzione qualitativamente e quantitativamente migliore di un movimento. La sua formazione ottimale, rispetto alle esigenze…

della pallacanestro, svolge un’azione positiva complessa sullo sviluppo dei fattori fisici della prestazione (forza, rapidità, ecc.) o delle abilità motorie di tipo sportivo (ad esempio i vari fondamentali tecnici). Inoltre influisce sullo sfruttamento completo del potenziale di prestazione esistente, sulla preparazione di allenamento e, in misura notevole, sulla prevenzione degli infortuni strettamente correlata con essa. Si tratta di funzioni molto importanti per il gioco della pallacanestro.

Se viene migliorata la mobilità articolare i movimenti possono essere eseguiti con maggiore forza e rapidità, perché viene opposta una minore resistenza da parte dei muscoli antagonisti.

Nella pallacanestro troviamo un tipo di sollecitazione che è caratterizzato, per la maggior parte, da brevi scatti, improvvisi cambi di direzione, arresti, salti, passaggi e tiri. Si tratta di movimenti molto dinamici, spesso aciclici, che esigono non soltanto una muscolatura molto potente, ma anche un’elevata elasticità e capacità di allungamento e rilassamento dei muscoli interessati, qualità che garantiscono una buona tollerabilità del carico e sono un elemento di prevenzione degli infortuni.

L’efficacia dell’allenamento della mobilità articolare per la prevenzione degli infortuni si può ricavare da tutta una serie di studi (cfr. Moller – Schober).

Secondo i su citati studiosi una buona rielaborazione del carico, tra gli altri fattori, è caratterizzata da una capacità individuale ottimale di rilassamento muscolare, che ad esempio viene influenzata positivamente dallo stretching.

Perciò una misura importante, ed indispensabile, di ogni preparazione immediata all’allenamento o alla gara, è rappresentata da un addestramento della mobilità articolare diretto a migliorare l’elasticità e la capacità di allungamento e di rilassamento.

Se si considera che il giocatore di pallacanestro mostra una tendenza alla formazione di squilibri muscolari il lavoro sulla mobilità articolare, integrato nell’allenamento indirizzato ad allungare i muscoli accorciati, rappresenta un’importante misura di prevenzione che impedisce l’insorgere di processi degenerativi a livello articolare e che si formano stereotipi motori sbagliati od alterati.

Un’efficace prevenzione degli infortuni, con azione sia a breve che a lungo termine, offre la possibilità di sfruttare completamente il potenziale individuale di prestazione e favorisce un migliore atteggiamento verso l’allenamento: se gli atleti non incorrono in infortuni per lunghi periodi di tempo possono sfruttare il loro potenziale in quanto si allenano regolarmente, senza interruzioni, e possono così sviluppare senza condizionamenti negativi la loro capacità di prestazione.

Gli atleti che non hanno problemi muscolari, di legamenti e di tendini, mostrano un atteggiamento mentale positivo verso un allenamento duro ed a lungo termine.

L’atleta eternamente infortunato, alla fine, comincia a dubitare che il suo duro lavoro d’allenamento paghi, visto che ogni volta deve ricominciare da capo, e diventa sempre più incline alla rassegnazione, a tutto discapito della sua motivazione verso l’allenamento.

Allenare in modo ottimale la mobilità articolare è possibile solo se si conoscono sufficientemente le sue basi anatomiche e fisiologiche.

Un passo indietro

Mi piacerebbe partire da un concetto che mi è stato trasmesso da coach Antonio Petillo, uno dei formatori italiani con una esperienza infinita come allenatore di gruppi giovanili, e cioè che se vedete che quello che state proponendo ai vostri ragazzi è troppo difficile o comunque vedete che non vi possono seguire “fate un passo indietro” …

Questo concetto racchiude un insieme di cose che vanno dai fondamentali, dalle ore di allenamento che hai a disposizione, dalla possibilità o meno di avere al tuo fianco un assistente o addirittura un preparatore atletico, ma soprattutto che lo sport in generale ed il basket in particolare non è improvvisazione.

Se i giocatori che alleni non sanno tirare, oppure palleggiare oppure passare la palla allora diventa difficile fare altro.

Se non sanno correre e fare dei movimenti come quelli del basket che non sono naturali allora poi diventa difficile proporre altro.

Se poi hai a disposizione al massimo tre allenamenti a settimana di scarso due ore devi per forza di cose fare una scelta.

Fate un passo indietro” significa anche sapere leggere la situazione ed avere ben presente chi sto allenando. 

Il coach ha questo compito, non semplice, di capire con chi si rapporta in palestra, non tutti sono allenatori di gruppi selezionati, composti da ragazzi scelti e che vogliono fare da grandi i giocatori di basket e che ovviamente hanno altre motivazioni rispetto al gruppo che normalmente si allena e che è composto da ragazzi o ragazze che condividono con te solo una grande passione.

voglia di allenare i ragazzini

Fate un passo indietro” significa anche non essere presuntuosi, in giro ci sono tantissimi coach con il colletto della polo alzato e che poi di fatto in palestra spiccano solo per il look. Spesso si pensa di sapere ma poi il confronto con altri allenatori ti fa capire che il “io so” è un concetto relativo.

Fate un passo indietro” però al netto della presunzione ha in sé un significato fondamentale che io so qual è il punto di partenza e qual è il punto di arrivo. 

Il mondo del web è pieno di immagini pazzesche con giocatori che fanno sembrare facili cose difficilissime ed allora ci sono due strade da seguire scimmiottare quel giocatore con risultati alquanto discutibili oppure “smontare” la costruzione di quel movimento e proporre il fondamentale che è frutto di quel movimento.

Per allenare un gruppo giovanile infine sarà fondamentale sapere la barca in quale direzione deve andare, conoscere le caratteristiche della barca.

Non si può fare “ un passo indietro” nel cuore che ci si mette nel fare il coach: per i ragazzi sei credibile solo se loro sentono che stai dando qualcosa, che la tua passione ed il tuo lavoro è vero.

Atleti di qualsiasi età e sesso ti seguiranno quando sentiranno che sei VERO ed è questo l’unico ponte che va oltre i luoghi comuni tipo “i giovani di oggi non hanno voglia di lavorare in palestra”, perché nel momento in cui capisci che la tua passione verso questo sport è condivisa con chi alleni in palestra allora inizi ad assaporare il gusto della soddisfazione di fare il coach di gruppi giovanli!!!

Che cos’è la riabilitazione

Riabilitazione in acqua
Esercizi in acqua

Riabilitazione può essere definita

un processo di soluzioni dei problemi e di educazione nel corso del quale si porta una persona a raggiungere il miglior livello di vita possibile sul piano fisico, funzionale, sociale ed emozionale con la minor restrizione possibile delle sue scelte operative.

La riabilitazione non è quindi sinonimo di fisioterapia o rieducazione neuromotoria ma è parte integrante di un percorso riabilitativo, che rientra all’interno di un progetto comune in cui l’obiettivo finale del percorso, è il miglioramento della qualità di vita del soggetto.

Le problematiche possono raggrupparsi in rapporto ai settori che investono e possono sorgere:..

  1. nel campo prettamente meccanico del movimento con espressioni morfo-funzionali che investono il soma e l’apparato locomotorio;
  2. nel campo dell’ergonomia imputabile a qualche handicap dei meccanismi biochimici e metabolici che determinano le capacità di rendimento aerobico e/o anaerobico di un individuo;
  3. nel campo omeostatico della motricità a causa di un disarmonico equilibrio neuro-vegetativo;
  4. nel campo neuro e psicomotorio,
  5. nel campo traumatologico

La Rieducazione Funzionale e la Riabilitazione sono rivolte a tutti i soggetti che necessitano di programmi specializzati e personalizzati per il trattamento di patologie traumatiche o degenerative e il recupero dopo interventi a carico dell’apparato muscolo-scheletrico

Le tecniche di riabilitazione sono ben supportata da letteratura scientifica e da studi di efficacia su i vari interventi riabilitativi e come sono in grado di migliorare le performance motorie, la capacità di effettuare le varie attività quotidiane, di ridurre le disabilità e nel migliorare la partecipazione sociale. L’efficacia è dimostrata in tutti i setting riabilitativi se ben organizzata e programmata.

Per far questo la medicina riabilitativa deve prendere in considerazione:

  1. la valutazione del grado di difficoltà sia per quello che riguarda la diagnosi, sia per quanto concerne l’analisi delle componenti nei confronti della limitazione funzionale;
  2. il giudizio prognostico sul tempo e grado di recupero;
  3. l’impostazione del programma riabilitativo;
  4. l’applicazione pratica delle tecniche terapeutiche, compito per lo più riservato al personale terapista che deve agire sotto il controllo costante del medico e in collaborazione con lo specialista motorio.
  5. l’attività didattica indirizzata a chiarire bene al soggetto la differenza fra guarigione biologica e ripresa funzionale, dove per ripresa funzionale si intende il recupero della piena capacità motoria e tecnico-coordinativa dei gesti e della piena potenzialità e sicurezza mentale sui movimenti

Le terapie devono essere considerate sotto numerosi aspetti che sono:

  1. prevenzione delle complicanze;
  2. riduzione degli aspetti sintomatologici invalidanti per evitare le compensazioni (miglioramento del tono muscolare, ripristino del raggio di escursione articolare, ripresa delle capacità condizionali e coordinative)
  3. e ove necessario terapie conservative e protettive mediante l’applicazione di tutori bendaggi elastici etc.….
  4.  massima sinergia con il recupero fisico – motorio

Per potere contrastare in modo ottimale la varietà di sintomi e di problemi che si presentano durante il decorso di una riabilitazione è necessario un approccio interdisciplinare che coinvolge varie figure professionali – l’equipe riabilitativa – e variabili interventi riabilitativi.

  • Il medico è il coordinatore responsabile della condotta terapeutica da seguire e il consulente della condotta educativa.
  • Il fisioterapista è corresponsabile della condotta terapeutica, realizza le indicazioni del medico e mette in atto tutte le applicazioni che mirano alla riabilitazione del paziente.
  • Lo specialista motorio ha facoltà di operare nell’ambito dell’emergenza motoria delle capacità umane con strategie educativo-motorie rivolte agli aspetti qualitativi del movimento, alle abilità motorie relazionali e a quelle sportive, alla coordinazione motoria, alla prevenzione motoria, alla scarsa coordinazione, alle espressioni relazionali, ai disequilibri stato-cinetici, alla dinamica motoria nel suo complesso, ecc.., applicando attività motoria o attività motoria adattata in rapporto allo stato della persona .

In sintesi, deve mettere in atto tutte le sue conoscenze per migliorare ogni capacità del motorio che risulta deficitaria, somministrando alla persona attività motoria, più “volgarmente” ginnastica, anche con attrezzature e/o apparecchiature strumentali che non siano classificate mediche o fisioterapiche

Nel percorso di recupero che va dal momento dell’infortunio al ritorno all’attività, si definiscono diverse fasi affrontate dalle diverse figure professionali.

  • Riabilitazione ambulatoriale
    • supporto psicologico e impostazione di terapie fisiche, manuali, posturali, ecc.
  • Riabilitazione in acqua
    • articolarità, esercizi propedeutici alla deambulazione, tonificazione e potenziamento muscolare eseguiti in ambiente protettivo. Lavori aerobici-anaerobici
  • Riabilitazione in palestra
    • test di valutazione funzionale, tonificazione generale, recupero della deambulazione, lavori aerobici, esercizi propriocettivi
  • Riabilitazione all’aperto o in campo
    • programmi di tonificazione, coordinazione e destrezza specifica. Questa divisione deve comunque rimanere solo una convezione, che serve a pianificare e ad individuare le figure professionali preposte allo sviluppo e alla programmazione del percorso di recupero, nei suoi obiettivi

Un ruolo importante per una corretta evoluzione delle varie fasi è svolto dalla valutazione funzionale, strumento indispensabile per programmare, individualizzare monitorare e correggere le proposte di recupero

Le fasi del recupero funzionale sono:

  • Infortunio
  • Diagnosi
  • Cura (eventuale intervento chirurgico)
  • Riabilitazione
  • Riatletizzazione
  • Ritorno incondizionato all’attività

Entrando nello specifico è importante individuare un progetto riabilitativo che rispetti il succedersi di 5 fasi fondamentali:

  1. controllo del dolore e della infiammazione
  2. recupero dell’articolarità e della flessibilità
  3. recupero della forza e della resistenza muscolare
  4. recupero della coordinazione
  5. recupero del gesto.

Fase 1 – CONTROLLO DEL DOLORE E DELLA REAZIONE INFIAMMATORIA

È la fase dedicata all’avviamento di un programma di riabilitazione e si esplica nella risoluzione della sintomatologia dolorosa. In alternativa ai farmaci, in alcuni casi costituiscono un valido presidio le terapie fisiche

Fase: 2 RECUPERO DELL’ARTICOLARITÀ

L’obiettivo di questa fase è il raggiungimento del completo arco di movimento di un’articolazione o il ripristino di un movimento specifico senza dolore.

Fase 3: RECUPERO DELLA FORZA E DELLA RESISTENZA MUSCOLARE

Qui si lavora per il ripristino della forza con carichi progressivi che devono essere dosati come una vera e propria medicina. Il muscolo non deve diventare solo forte, ma deve sapersi allungare e proteggere l’articolazione. Soprattutto deve recuperare la sua giusta potenza

Fase 4: RECUPERO DELLA COORDINAZIONE

Ogni trauma o lesione che interessi i tessuti osteoarticolari determina alterazioni della percezione di cinestesia e Propriocezione, che deve essere ripristinata perché il recupero funzionale sia davvero completo.

Cos'è la riapbilitazione

Fase 5: RECUPERO DELL’ABILITÀ GESTO-SPECIFICA, DEL QUOTIDIANO

In questa fase emerge l’importanza dell’intervento di sedute sul campo per gli atleti o gli esercizi gesti specifici che simulano le attività di vita quotidiana per i pazienti non sportivi. In questa fase si viene a stabilire un netto collegamento con la fase precedente: solide basi neuromotorie presuppongono ottimi risultati gesto-specifici.

Quest’ultima fase è chiamata “Riatletizzazione” è l’ultima fase del percorso rieducativo, nella quale, sfruttando i principi dell’allenamento, si raggiunge il completo recupero delle capacità condizionali e delle abilità sport-specifiche dell’atleta o il recupero della gestualità quotidiana nel non sportivo. L’obiettivo finale, ovvero il completo recupero della gestualità e una condizione atletica che permetta il ritorno all’attività, non deve mai essere perso di vista, da nessuna delle figure professionali che in condizione ideale, lavorano e collaborano a stretto contatto, sotto il coordinamento funzionale del responsabile del percorso di recupero.

Troppo spesso vengono completamente eliminate alcune fasi e rapporti di collaborazioni tra figure professionali.

La riabilitazione è certo un discorso molto vasto, che si occupa di un’ampia gamma di problemi ma sicuramente ciò che accomuna tutte le casistiche sono la corretta diagnosi, la valutazione individuale e il rispetto dei tempi di recupero fisiologici del corpo.

È fondamentale non “correre troppo” con i tempi.

Sicuramente un atleta è più facile da recuperare perché’ la capacità di allenamento, l’abitudine muscolare ai carichi, e la capacità di recepire e ascoltare il proprio corpo sono più attive.

In realtà con gli atleti spesso si hanno tempi più brevi nel recupero dettati da una frequenza delle sedute maggiore, una maggior capacità all’allenamento, una diversa base muscolare, ma la differenza con una persona comune è solo in questo non nel percorso riabilitativo.

Inoltre nell’ambito sportivo la riabilitazione viene rispettata molto più diligentemente che nella popolazione normale. Questo enorme errore porta spesso a recidive, a lesioni su lesioni preesistenti, a fattori compensativi che determineranno alterazioni in altre strutture.

Anche nell’atleta questo può verificarsi ma è determinato da un altro motivo

una messa in campo precoce spesso per esigenze di risultato

Inoltre bisogna considerare che proporre schemi riabilitativi standardizzati, protocolli prestabiliti risulta essere non solo noioso ma spesso poco efficace perché non tengono conto che ogni persona reagisce e recupera in modo diverso da qualunque altra, anche se il problema fisico è lo stesso. Questo dipende da molteplici fattori, fisici, fisiologici, caratteriali e psicologici; ed è importante saperli valutare in modo corretto, proprio per personalizzare e finalizzare al meglio gli step del recupero.

La predisposizione personale, le caratteristiche psicologiche, la soglia del dolore, la motivazione, non sono elementi secondari che permettono di applicare gli stessi protocolli.

Quando un atleta o una persona comune subisce un infortunio è fondamentale rispettare tutti i fattori descritti e personalizzare la riabilitazione seguendo le tempistiche dettate dalla diagnosi e dalla valutazione del soggetto.

Possiamo così riassumere le componenti importanti di ogni RIABILITAZIONE:

  1. Diagnosi e analisi funzionale
  2. Identificazione della fase precedentemente in cui realmente si trova l’infortunato.
  3. Determinazione di un piano riabilitativo
  4. Determinazione del carico giornaliero di lavoro che il soggetto può sostenere, in modo da evitare sovraccarico o sottocarico.
  5. Descrizione al soggetto della differenza fra guarigione biologica e ripresa funzionale
  6. Impostazione nel periodo post-recupero di un programma di mantenimento preventivo dopo avere completato la fase di rientro all’attività.
  7. Lavorare in stretta collaborazione tra, medico, fisioterapista, specialista motorio e qualsiasi altra figura professionale necessaria.

Nuovi giochisport

Sono Pasquale Iezza, cerco di svolgere al meglio il mio compito di Dirigente scolastico in una città collinare con un’aria purissima come i suoi bambini, Lettere, in provincia di Napoli.

Lavoro nella scuola da 35 anni e sono arrivato alla conclusione che è possibile creare nuovi giochisport.

Ho avuto questa intuizione sulla spiaggia di Vico Equense.

La mia schiena scottata dal sole era ormai diventata una perfetta piastra per la cucina cinese, potevo con semplicità trasformare un ghiacciolo…

in un gelato fritto. Sdraiato in quella posizione stavo osservando i nuovi esercizi di Acquagym che un bravo istruttore di educazione motoria faceva svolgere ad un gruppo di bagnanti. Ebbene sono rimasto quasi ipnotizzato dai movimenti, che avevano una cadenza fissa, divisa in otto tempi.

Alla quinta serie di esercizi stavo quasi per assopirmi e, per restare sveglio, e non farmi rosolare completamente dai raggi solari, attivai un residuo circuito cerebrale scuotendo repentinamente a destra e a sinistra la testa, come quando si oscilla velocemente il polso in modo da far ripartire gli orologi automatici.

Rimasi in uno stato di dormiveglia e fu proprio in quel momento, in uno stato di illuminazione, che pensai: “l’avventura delle idee deve partire dal movimento”.

Questo è stato il primo passo verso la creazione del nuovo giocosport: la Pallarmonica.

foto pallarmonica

Il movimento è quasi sempre spezzettato in esercizi meccanici cadenzati in due, quattro, dodici e più spesso otto tempi, una successione precisa di azioni divise da seguire a ritmi regolari con un esperto di fitness da imitare a specchio.

Il frazionamento del movimento, il suo spezzettamento, e l’imitazione di un preciso modello da seguire, imbriglia l’ascolto del movimento libero, naturale, spontaneo, proprio di ogni persona.

La motricità così è paralizzata e perde la sua originalità, il suo pensiero, la sua emozione. Pensiero, emozione e movimento pagano, in parti uguali, i costi del condominio al nostro corpo, la coabitazione non è forzata, non si vive da separati in casa, ma loro stanno insieme in modo piacevole e produttivo.

Le emozioni e il movimento fanno maggiore confusione ma è proprio questa vivacità che alimenta il pensiero e facilita l’apprendimento.

Attraverso l’attività motoria una persona impara a percepirsi integralmente, ascolta le sensazioni, i pensieri, le emozioni, esplora il proprio corpo e le sue possibilità di relazionarsi al ritmo e all’armonia dell’ambiente esterno.

Il movimento permette l’unione del mondo interiore, affettivo ed emotivo, con quello esteriore, razionale e socio-ambientale. La mia visione scolastica innovativa è partita da questa giornata al mare.

La mattina dopo ho ideato un nuovo gioco sportivo, la PALLARMONICA, che facilita il superamento della divisione, tra ragazzi e ragazze, nella pratica delle attività motorie. La pallarmonica unisce creando armonia (da cui il nome del gioco).

L’armonia si realizza tra i giocatori della stessa squadra, obbligatoriamente un maschio ed una femmina (nel doppio due maschi e due femmine), che entrano in contatto, mano – mano oppure con una presa mano – avambraccio, per ricacciare la palla nel campo avversario e conquistare il punto.

Il gioco è semplice da imparare, è alla portata di tutti e favorisce l’inclusione, fondamentale è imparare a collaborare alla pari. Ho presentato la pallarmonica nelle classi quarte e quinte della scuola primaria e nelle classi prime della scuola secondaria di primo grado.

Il gioco ha suscitato da subito curiosità e tutti hanno voluto provare, attualmente è una delle pratiche sportive dell’Istituto e rientra nella programmazione degli insegnanti di educazione fisica.

L’intera comunità educante ha partecipato, nei vari anni scolastici, grazie a progetti promossi dal professore Tiziano Megaro, al primo torneo di pallarmonica cittadino.

Allenamento pallarmonica

Il nuovo giocosport è stato presentato, all’interno di una conferenza, alla tre giorni per la scuola a Città della Scienza a Napoli, per diffonderlo tra tutti i docenti della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado della Campania che avessero la voglia di esplorare e sperimentare nuove pratiche motorie.

La diffusione nelle scuole della pallarmonica, attraverso il supporto del portale “Movimento Divergente” (da configurare), sarà uno stimolo per motivare gli studenti a proporre altre idee relative a pratiche sportive originali e rispondenti ai loro bisogni motori.

Le nuove tecnologie permetteranno agli studenti, da subito curiosi, indagatori, costruttori, inventori, di avviare una ricerca sul movimento liberando la creatività e le loro intelligenze multiple.

Le proposte più votate sulla piattaforma verranno regolamentate e implementate nelle scuole del territorio nazionale.

È possibile creare nuovi giochisport.