IN ITALIA A LIVELLO GIOVANILE SI PRATICA POCA ATTIVITA’ SPORTIVA E L’ABBANDONO AUMENTA
In Italia, a 18 anni, meno di 1 adolescente su 3 pratica qualche attività sportiva o fisica e i tassi di sedentarietà sono da record.
Il problema è…
…il cosiddetto “drop out” (abbandono precoce) che inizia già a 11 anni:
a 15 anni meno di un ragazzo su 2 pratica attività sportiva continuativa,
a 18 la pratica poco più di uno su 3 e i tassi di sedentarietà nel nostro Paese sono tripli rispetto a quelli delle altre nazioni europee.
Per non parlare della Scuola Primaria dove il movimento
è un passatempo, un hobby ……. non un’esigenza!
Dopo la Scuola Primaria
Dopo la Scuola Primaria i ragazzi italiani cominciano ad allontanarsi dalla pratica sportiva continuativa e ingrossano le fila dei sedentari.
A maggior ragione da marzo 2020 con la pandemia, che ha fatto crollare il gioco, il movimento, l’E.F. e ha aumentato di fatto la sedentarietà con conseguente aumento di peso, noia e ……. è meglio rimanere nella “bolla” di casa” e giocare con:
Foto di Lukas
lo smartphone
il telefonino
la TV
Lo spartiacque
E se finora l’età spartiacque era quella tra i 14 e i 15 anni, negli ultimi anni si è osservato che il trend negativo comincia già a 10- 11 anni.
Infatti tra il 2018 e il 2019 la quota di ragazzi/e praticanti un’attività sportiva in modo continuativo è diminuita nella fascia d’età 11-14 anni, passando dal 53% al 60,4%, percentuale che tra i 15 e i 17 anni diventa del 52,5% e si assesta al 40,7%, tra i 18 e i 19 anni:
una parabola discendente preoccupante con il crescere dell’età!
Non abbiamo i dati dal 2020, ma sicuramente la percentuale è aumentata di sicuro!
L’abbandono e la sedentarietà
Preoccupante non è solo l’abbandono della pratica sportiva in età preadolescenziale e adolescenziale, ma quello che è pericoloso è l’elevato numero di sedentari assoluti, di coloro che non praticano nessuno sport, né alcuna attività fisica e questo fenomeno riguarda soprattutto le ragazze, in una percentuale che va dal 28% (tra i 15 e 17 anni) al 36% (tra i 18 e i 19 anni).
Per non parlare dei bambini!
Le nuove tecnologie
I sociologi, gli psicologi, i pediatri non hanno dubbi sui colpevoli del divorzio tra adolescenti e sport: le nuove tecnologie!
Infatti i giovani d’oggi trascorrono dalle 3 alle 4 ore al giorno davanti a uno schermo TV, computer o smartphone che sia.
Ma questo non basta a spiegare perché il tasso di sedentarietà degli adolescenti italiani sia più che triplo rispetto a quello dei loro coetanei europei (24,6% contro 7% nella fascia di età 15-24 anni), che non sono da meno dei ragazzi italiani nell’uso di tecnologie digitali, né per abilità né per tempo trascorso.
Foto di Kindel Media
Alcune indagini svolte a “random” tra i giovani adolescenti in alcune città italiane, hanno evidenziato due principali motivi di abbandono sportivo:
uno legato all’eccessivo impegno richiesto dallo studio (56,5%);
l’altro riconducibile alle modalità di svolgimento dell’attività fisica.
Perché?
Queste le risposte relative all’indagine svolta: perchè
“fare sport è venuto a noia” (65,4%);
“costa troppa fatica” (24,4%);
costa troppo in termini economici (32%);
“gli Istruttori e gli Allenatori sono troppo esigenti”
e non sanno insegnare (19,4%).
Cosa bisogna fare?
Per riavvicinare gli adolescenti all’attività fisica e sportiva, bisogna offrire loro nuovi stimoli.
L’agonismo esasperato dei giorni nostri, le aspettative e le pressioni eccessive dei genitori e degli Allenatori, rischiano di allontanare i giovani dallo sport.
Occorre valorizzare di più l’attività fisica anche non strutturata e la pratica sportiva non agonistica e questa è una sfida che deve coinvolgere anche le Società Sportive.
E partire anche dai bambini?
E riscoprire la Multilateralità e il “giocare a tutto” e poi scegliere?
La Scuola
Ma il ruolo centrale di questa valorizzazione spetta alla SCUOLA, soprattutto in quella secondaria inferiore e superiore.
Foto di Yan Krukov
Lo sport a scuola dovrebbe essere favorito ed incentivato, mentre oggi è considerato una perdita di tempo che toglie spazio ad altre attività più importanti.
L’Educazione Fisica è parte integrante dello sviluppo psicofisico degli adolescenti:
lo sanno bene Paesi come la Francia che dedicano a questa attività il 15% dell’orario complessivo scolastico, percentuale che scende al 7% per gli studenti italiani.
Circa un terzo dei Paesi europei sta lavorando oggi a riforme che riguardano l’Educazione Fisica con interventi di vario tipo volti ad aumentare l’orario minimo, diversificare l’offerta, promuovere la formazione di coloro che la insegnano.
Per non parlare della Scuola Primaria e della “non importanza” dell’E.F. nel contesto delle altre Educazioni!
E in Italia?
Due ore di E.F. (scusate Scienze Motorie!) nella Scuola Secondaria di 1° e di 2° grado, poco o niente di Educazione Fisica (così giustamente si chiama) nella Scuola Primaria, niente nella Scuola d’Infanzia.
Secondo parte (esercizi di libera esplorazione del n. 26 al . n. 50)
Riprendendo e ripetendo il concetto della prima parte dell’articolo, gli esercizi di libera esplorazione motoria, di seguito elencati, non servono a dare delle risposte.
Ogni soluzione irrigidisce il movimento divergente, sono solo delle proposte che invitano a vedere il proprio corpo in movimento come il pennello di un artista.
Sono pensati per spingere i ragazzi ad ascoltare…
…l’energia dei propri impulsi spontanei profondi in modo da articolarli in movimenti espressivi, visibili e organizzati.
26. La rappresentazione
In circolo, si mette un oggetto al centro del cerchio ed ognuno, a turno, si relaziona con esso in movimento, ci gioca come vuole:
è importante lasciare libera la fantasia per rappresentarsi l’oggetto in modi diversi.
27. Il sogno in movimento
Ognuno, a turno, racconta con i movimenti il proprio sogno nel cassetto, cosa vorrebbe fare da grande; gli altri devono cercare di indovinarlo.
E’ importante osservare tutte le fasi del movimento e le parti anatomiche che vengono utilizzate maggiormente.
Ci si divide a coppie, un ragazzo fa un movimento e poi si blocca in un posizione statica; l’altro risponde a questo movimento, quando si ferma, a sua volta, può ripartire il compagno e così via.
Il mobile e l’immobile
Ogni ragazzo, su invito dell’insegnante, deve prima rappresentare
un oggetto immobile:
tavolino
sedia
spaventapasseri
e poi un oggetto mobile:
treno
aereo
carrello della spesa
ecc…
Ognuno deve sforzarsi di cercare soluzioni accettabili.
29. I due schieramenti
Si dividono i ragazzi in due squadre che si dispongono una di fronte all’altra.
Ogni squadra ha, di volta in volta, un capitano che esegue dei movimenti.
I componenti della sua squadra avanzano verso l’altro schieramento compiendo prima tre passi in avanti e poi eseguendo il movimento proposto dal capitano.
L’altra squadra, una volta osservato il movimento, deve rispondere con un’azione motoria eseguita dopo tre passi in avanti che abbia una qualche relazione con quella dell’altro schieramento.
Tutti devono essere capitani almeno una volta.
I due schieramenti imitano poi la danza tipica del popolo Maori, la Haka, resa celebre dalla nazionale di rugby della Nuova Zelanda: gli All Blacks.
Si dispongono a terra tanti cerchi quanti sono i ragazzi, ognuno all’interno del proprio.
Al via dell’insegnante tutti lasciano i propri cerchi e corrono esternamente ad essi, allo stop devono cercare di occupare il cerchio più vicino, nel frattempo ne è stato tolto uno.
Chi resta fuori viene eliminato e viene tolto un altro cerchio fino a quando ce ne sarà uno solo a terra.
31. Un cerchio alla testa
Ogni ragazzo ha un cerchio che fa rotolare liberamente nello spazio motorio.
Al via dell’insegnante ognuno deve lasciare il proprio cerchio e cercare di catturare quelli del compagno quando sono ancora in movimento, prima che cadano a terra, vince chi ne prende di più.
32. La sensazione in movimento
In circolo, l’insegnante dà ad ogni ragazzo un bigliettino sul quale è indicato un movimento, una sensazione da vivere, poi invita singolarmente i ragazzi a sentire quel movimento.
Le situazioni possono essere, ad esempio:
cammina come se fossi…
su un bel prato fiorito
sul ciglio di un burrone
su un campo minato
su un terreno pieno di chiodi
sulle uova
su una superficie elastica
sulle sabbie mobili
su un asse di equilibrio…
E’ importante che i ragazzi si immedesimino nella sensazione, vivano il movimento.
Ogni sensazione parte dall’interno e poi si manifesta.
E’ fondamentale imparare ad ascoltare il proprio corpo e le emozioni.
Quasi sempre siamo “sconnessi” e i pensieri ci impediscono di sentire quello che proviamo nel profondo di noi stessi.
33. La scelta
L’animatore dà ad ogni ragazzo un foglietto sul quale c’è scritta una cosa da fare e tutti eseguono i movimenti suggeriti.
In una seconda fase ognuno, osservando gli altri, deve scegliere qualcuno che può avere una qualche relazione con il suo movimento.
Ad esempio, se su un foglietto c’è scritto “rospo” e su un altro “rana” si dovrebbe formare la coppia.
E’ interessante notare i rapporti che si vengono a creare dove non c’è una precisa e scontata relazione.
34. L’interessamento
Ci si divide a coppie.
Uno dei due partner delle coppie, con cinque movimenti, deve cercare di interessare l’altro che l’osserva.
Si possono utilizzare attrezzi codificati e non.
Se scatta l’interessamento i due ragazzi si relazionano con quei movimenti.
Si scambiano poi i ruoli.
Se una coppia non trova stimolante nessun movimento costruito nel suo interno può inserirsi nei movimenti di un’altra coppia e relazionarsi con essa.
In questo modo si crea una relazione ed interazione espressiva con l’altro ed il gruppo.
35. Il marchingegno
In circolo, un ragazzo va al centro ed esegue un movimento automatico che ripete in continuazione.
Uno alla volta gli altri ragazzi possono inserirsi in questo movimento cercando di essere funzionali al marchingegno e ai suoi specifici ingranaggi.
Si può accompagnare ogni movimento con un suono o una parola.
Ognuno trova un’armonia tra il proprio sentire, pensare ed agire con quello dell’altro per costruire insieme la fantastica macchina.
36. L’intruso
In circolo, con gli occhi chiusi, ognuno si muove liberamente nello spazio.
L’animatore tocca sulla spalla un ragazzo che da quel momento deve compiere l’azione indicata su di un foglio.
A questo punto tutti possono aprire gli occhi e sempre muovendosi devono, cercare di capire chi sta eseguendo l’azione diversa e cosa sta rappresentando.
A coppie, uno con gli occhi chiusi, l’altro che lo guida parlandogli.
Appena finisce di parlare, il compagno deve fermarsi e, per ripartire, deve sentire solo la voce della sua guida.
E’ importante la modulazione dell’uso della voce.
38. La guida
Ci si divide in coppie.
Un ragazzo ha gli occhi bendati e l’altro lo guida nello spazio scegliendo:
un suono identificativo
una parola
un verso di animale
il nome del compagno
ecc…
Successivamente il ragazzo bendato rimane fermo e il compagno che lo guida si allontana da lui, poi, ad una certa distanza, ripete il suono identificativo in modo che possa essere raggiunto.
39. I diversi materiali
I ragazzi con gli occhi bendati devono immaginare di entrare in particolari spazi contenenti materiali diversi, ad esempio:
miele
piume
mattoni
fiori
ecc…
Poi, sempre con gli occhi bendati, si entra nella stanza dei segreti, dove si riconoscono gli oggetti smarriti esclusivamente attraverso il tatto.
40. La strada da percorrere
I ragazzi bendati vengono invitati a camminare lentamente nello spazio, a trovare un punto preciso dove rivivere una loro sensazione.
Essi devono cercare di ricordarsi:
il posto
lo spazio significativo
le persone con cui stavano
il vestito che indossavano
i colori
i suoni
il profumo dell’aria
le parole dette e quelle pensate.
La creatività può percorrere anche la strada del passato.
In questo caso esso viene arricchito con il nostro nuovo essere e viene modificato e reso attuale aprendo le ragnatele del nostalgico ricordo.
41. Il racconto
L’animatore legge un racconto di situazioni particolari:
è una bella giornata.
C’è il sole, inizia a piovere, piove a catinelle, fa freddo.
Si forma una grande pozzanghera di acqua che si trasforma in una lastra di ghiaccio.
Scivoli su un sentiero pieno di fango, sassoso, cosparso di carboni ardenti, di lame taglienti.
Il passo diventa incerto, ecc…
Ogni ragazzo deve mimare un modo di andare avanti nel percorso immaginando di vivere le diverse sensazioni.
Si stimola l’attenzione alla storia e la coordinazione tra le varie sequenze narrate.
Sentire come si trasforma un movimento passando da uno stato all’altro.
Ad esempio immaginare di giocare a pallavolo con un compagno e poi, improvvisamente, con lo stesso pallone, cambiare disciplina sportiva.
47. Abbattere i muri
I ragazzi formano un muro con i loro corpi all’impiedi tenendosi uniti molto stretti, senza lasciare spazi.
Da una parte e dall’altra del muro ci sono due ragazzi che devono tentare di comunicare tra loro.
Il muro cerca di ostacolare in tutti i modi questa comunicazione.
Questo esercizio facilita lo sfogo delle emozioni represse, trasformandole con l’aiuto del compagno.
48. La meta
I ragazzi partono da un punto dello spazio e devono arrivare ad un altro stabilito in precedenza dall’insegnante.
Ogni ragazzo deve cercare di farlo camminando su due piedi avendo la possibilità di guardare in avanti in modo da fissare la meta.
Si invita a riflettere che la nostra attività più spontanea, il camminare guardando in avanti, in realtà, è una grande conquista evolutiva dell’umanità.
Gli animali stanno curvi e guardano il suolo, l’uomo ha un viso “volto” verso l’alto.
49. Collegare i movimenti
In circolo, due ragazzi vanno al centro ed eseguono due movimenti liberi.
Gli altri ragazzi, dal posto, devono cercare di legare i due movimenti.
Se qualcuno trova una valida soluzione va la centro e cerca di collegarli.
Si stimola l’improvvisazione.
50. Il gioco di movimento
Dare ad ogni ragazzo due attrezzi diversi ed invitarli a creare con questi attrezzi un gioco di movimento.
Il gioco è utile per dare forma, corpo, suono al proprio immaginario.
Ed infine l’ultimo esercizio.
Il più semplice ma probabilmente anche il più efficace:
trovare durante la giornata mezz’ora per camminare all’aria aperta possibilmente in compagnia.
Ascoltare la natura e parlare con un amico guardandolo negli occhi oltre a stimolare il pensiero e la memoria permettono l’unione del movimento e della creatività.
Per la prima parte dell’articolo (esercizi dal n. 1 al n. 25): cliccare qui
“Debutta la rubrica dedicata ai lettori che decidono di contribuire offrendo a tutta la nostra comunità la propria riflessione, opinione, idea su di un argomento a loro più vicino.
Questa è la volta di Francesco Callipo (giovane allenatore di pallacanestro).
All’inizio del percorso formativo e di sviluppo di un giovane atleta l’impatto con il gruppo squadra può essere determinante, sulla velocità di apprendimento e sulla definizione di alcuni aspetti caratteriali del ragazzo, quali autocontrollo e impulsività, equilibrio e aggressività, leadership e disponibilità.
A partire dal Minibasket arrivando al Settore Giovanile, quasi la totalità dei ragazzi mantiene, come è normale che sia, un’impostazione individualista degli aspetti legati al gioco.
In questo senso il Gruppo, il gioco di squadra e le attività di collaborazione possono, anzi, devono costituire un impatto emotivo che stimoli il giovane a sviluppare nuove capacità relazionali e diverse abilità nella gestione della propria emotività.
Il ruolo dell’allenatoredeve essere quello di generare costantemente stimoli ai singoli atleti per provocare reazioni che li inducono a cercare delle motivazioni.
L’allenatore dovrà trasmettere all’allievo, con empatia e determinazione, le seguenti competenze:
Requisiti comportamentali – attitudinali, cercando di migliorare la loro soglia dell’attenzione. Saranno così in grado di recepire e processare le indicazioni che gli vengono fornite.
Requisiti fisici, che devono essere specifici, funzionali e mirati al fisico di ognuno, dedicandogli almeno 1/3 del lavoro settimanale. Col tempo, devono anche imparare a gestire il dolore o una limitazione, per evitare che, in futuro, non riesca a fronteggiare un problema di natura fisica che lo freni in fase di sviluppo.
Requisiti tecnici, nello specifico, avere la padronanza dello spazio e del tempo, ovvero sapere dove andare e quando farlo.Superato il minimo disagio, che tale reazione genera, il ragazzo si aprirà completamente al gruppo, per diventarne parte integrante con i propri pregi e difetti.Inoltre potrà, indirettamente, insegnare agli altri e, direttamente, imparare da tutti.
Superato il minimo disagio, che tale reazione genera, il ragazzo si aprirà completamente al gruppo, per diventarne parte integrante con i propri pregi e difetti.
Inoltre potrà, indirettamente, insegnare agli altri e, direttamente, imparare da tutti.
Affinchè tutto ciò avvenga, è fondamentale che i ragazzi siano sempre disposti a mettersi in gioco.
L’Allenatore ha la responsabilità di doversi guadagnare la fiducia degli atleti, per potergli dare sempre sicurezza e loro, in cambio non negheranno la propria disponibilità all’apprendimento e alla partecipazione.
Elemento di base, solido e determinante, è la Credibilità che l’allenatore riesce ad ottenere attraverso i comportamenti e le scelte, che devono essere sempre coerenti e adatte per ogni singolo atleta, anche se dovessero andare controcorrente.
Per il bene del ragazzo, per la sua maturazione prima e per il miglioramento del gruppo dopo, è di vitale importanza che acquisisca la consapevolezza che un “no” non è sintomo di fallimento, bensì è parte integrante del percorso di crescita.
In ogni caso, alla base ci siamo noi Allenatori, i quali con il comportamento, l’etica del lavoro e la tenacia sportiva trasmettiamo dei messaggi agli atleti che apprendono, modificano e ripropongono o in maniera positiva (superando gli ostacoli) o negativa (diventando poi abitudini difficili da cambiare).
Essenziale sarà lo stabilire regole di comportamento, piani di allenamento, attività di potenziamento, osservazione del gruppo e verifica degli obiettivi durante tutto l’arco dell’anno.
Fissare dei focus raggiungibili, passo dopo passo, magari con traguardi intermedi e soffermarsi ogni tanto a verificare come procedono le attività, senza timore di tornare indietro, se non si è contenti dei risultati prefissati.
Non sempre la colpa è della squadra…forse i compiti devono essere proposti in maniera diversa.
Per questo è necessario continuare a condividere con il gruppo le proprie idee, spiegando la scelta di un certo tipo di lavoro, riconoscendo in ognuno di loro il miglioramento individuale.
Citando le parole del Coach Ettore Messina, “Ci vuole il tempo che ci vuole”, al di là se il ragazzo sia alle prime armi di un gruppo Under 13 o sia un giocatore di Serie A.
Ettore Messina. È tra gli allenatori europei di pallacanestro più titolati, potendo vantare nel suo palmarès ben ventotto trofei con i club, compresi quattro campionati italiani, sei campionati russi, quattro Eurolega, una Coppa delle Coppe e tre VTB United League
Non è semplice, al giorno d’oggi, stare al passo con i ragazzi che sono in continua evoluzione, parallelamente alla tecnologia che li circonda, abituati ad avere tutto e subito, ed a voler raggiungere l’obiettivo nell’immediato, senza avere costanza e pazienza.
Bisogna instaurare un rapporto di fiducia e stima reciproca con gli allievi, in modo tale che, nei momenti di difficoltà, avranno un punto di riferimento che possa alimentare in loro la voglia di continuare nello sport.
Mi piacerebbe partire da un concetto che mi è stato trasmesso da coach Antonio Petillo, uno dei formatori italiani con una esperienza infinita come allenatore di gruppi giovanili, e cioè che se vedete che quello che state proponendo ai vostri ragazzi è troppo difficile o comunque vedete che non vi possono seguire “fate un passo indietro” …
Questo concetto racchiude un insieme di cose che vanno dai fondamentali, dalle ore di allenamento che hai a disposizione, dalla possibilità o meno di avere al tuo fianco un assistente o addirittura un preparatore atletico, ma soprattutto che lo sport in generale ed il basket in particolare non è improvvisazione.
Se i giocatori che alleni non sanno tirare, oppure palleggiare oppure passare la palla allora diventa difficile fare altro.
Se non sanno correre e fare dei movimenti come quelli del basket che non sono naturali allora poi diventa difficile proporre altro.
Se poi hai a disposizione al massimo tre allenamenti a settimana di scarso due ore devi per forza di cose fare una scelta.
“Fate un passo indietro” significa anche sapere leggere la situazione ed avere ben presente chi sto allenando.
Il coach ha questo compito, non semplice, di capire con chi si rapporta in palestra, non tutti sono allenatori di gruppi selezionati, composti da ragazzi scelti e che vogliono fare da grandi i giocatori di basket e che ovviamente hanno altre motivazioni rispetto al gruppo che normalmente si allena e che è composto da ragazzi o ragazze che condividono con te solo una grande passione.
“Fate un passo indietro” significa anche non essere presuntuosi, in giro ci sono tantissimi coach con il colletto della polo alzato e che poi di fatto in palestra spiccano solo per il look. Spesso si pensa di sapere ma poi il confronto con altri allenatori ti fa capire che il “io so” è un concetto relativo.
“Fate un passo indietro” però al netto della presunzione ha in sé un significato fondamentale che io so qual è il punto di partenza e qual è il punto di arrivo.
Il mondo del web è pieno di immagini pazzesche con giocatori che fanno sembrare facili cose difficilissime ed allora ci sono due strade da seguire scimmiottare quel giocatore con risultati alquanto discutibili oppure “smontare” la costruzione di quel movimento e proporre il fondamentale che è frutto di quel movimento.
Per allenare un gruppo giovanile infine sarà fondamentale sapere la barca in quale direzione deve andare, conoscere le caratteristiche della barca.
Non si può fare “ un passo indietro” nel cuore che ci si mette nel fare il coach: per i ragazzi sei credibile solo se loro sentono che stai dando qualcosa, che la tua passione ed il tuo lavoro è vero.
Atleti di qualsiasi età e sesso ti seguiranno quando sentiranno che sei VERO ed è questo l’unico ponte che va oltre i luoghi comuni tipo “i giovani di oggi non hanno voglia di lavorare in palestra”, perché nel momento in cui capisci che la tua passione verso questo sport è condivisa con chi alleni in palestra allora inizi ad assaporare il gusto della soddisfazione di fare il coach di gruppi giovanli!!!