Arbitri di Pallacanestro: quando il Potere Oscura il Sacrificio

La pallacanestro è uno sport di sacrificio. Dietro ogni partita ci sono il sudore degli atleti, la preparazione meticolosa degli allenatori, il lavoro silenzioso dei preparatori atletici, i sacrifici immensi dei dirigenti e, soprattutto, la passione che spinge all’investimento da parte di proprietari, sponsor e presidenti.
Ogni settimana, squadre intere investono tempo ed energie per arrivare pronte alla domenica, per giocarsi tutto in quaranta minuti di passione e strategia. Eppure, troppo spesso, …

…il lavoro di mesi viene spazzato via da decisioni arbitrali incomprensibili, errate o semplicemente incoerenti.

Quando il Direttore di Gara Diventa Protagonista

L’arbitro dovrebbe essere un garante della regolarità del gioco, un punto di riferimento che permette agli atleti di esprimersi al meglio nel rispetto delle regole.
Ma sempre più frequentemente assistiamo a un’inversione di ruolo: invece di essere un giudice imparziale, l’arbitro diventa il protagonista assoluto della gara.

collaborazione arbitro – coach – giocatori

Fischi discutibili, gestione della partita incoerente, atteggiamenti arroganti: e così la sfida tra due squadre si trasforma in una lotta contro un’autorità

che sembra più interessata a imporre la propria presenza che a garantire il corretto svolgimento del match.

Decisioni Sbagliate e la Mancanza di Trasparenza

Un errore arbitrale può capitare, fa parte del gioco.
Ma quando questi errori si moltiplicano e diventano sistematici, la questione cambia.

Troppe volte assistiamo a:

  • fischi inspiegabili
  • a chiamate che variano da un’azione all’altra senza un criterio chiaro
  • a interpretazioni del regolamento che sembrano dipendere dall’umore del momento

La coerenza e la trasparenza sono fondamentali per la credibilità di qualsiasi competizione, eppure nel basket, soprattutto a certi livelli,

Il Rispetto per il Lavoro di Chi Sta in Campo

Chiunque abbia calcato un parquet sa quanti sacrifici ci sono dietro ogni partita.

Gli allenatori dedicano ore allo studio delle strategie, i preparatori atletici si impegnano per garantire agli atleti la migliore condizione fisica, i giocatori lavorano con determinazione per migliorarsi e perfezionarsi, i dirigenti coordinano ogni aspetto affinchè tutto sia impeccabile

Tutto questo, però, viene spesso vanificato da chi, con un fischio sbagliato, può cambiare l’inerzia di una partita, demoralizzare una squadra e compromettere mesi di lavoro.

Il problema non è solo tecnico, ma anche umano.

Alcuni arbitri sembrano dimenticare che davanti a loro ci sono persone che dedicano la loro vita a questo sport.

Alcuni atteggiamenti arroganti e poco dialoganti non fanno che aumentare la frustrazione di chi vive il basket con passione e professionalità.

Cosa Serve per Migliorare la Situazione?

Il problema degli arbitri non è nuovo, ma si fa sempre più evidente con il passare delle stagioni. La soluzione non è semplice, ma alcuni passi sarebbero fondamentali per garantire maggiore equità e rispetto:

Formazione più rigorosa: Gli arbitri dovrebbero essere sottoposti a controlli e aggiornamenti costanti, con una valutazione trasparente delle loro prestazioni.

Maggior dialogo con le squadre: Un arbitro che spiega le proprie decisioni, che mantiene un atteggiamento aperto e rispettoso, è un arbitro che guadagna credibilità.

Uso della tecnologia: Se in altri sport il supporto tecnologico aiuta a ridurre gli errori, perché nel basket si fa ancora così fatica ad adottarlo in maniera efficace e soprattutto in ogni categoria?

Più umiltà e meno protagonismo: L’arbitro deve ricordarsi che il suo ruolo è garantire il rispetto delle regole, non diventare il centro della partita.

Conclusione

Il basket è uno sport meraviglioso, fatto di talento, strategia e sacrificio.

Quando a decidere una partita,però, non sono le squadre in campo, bensì decisioni arbitrali errate o atteggiamenti di superiorità ingiustificati, qualcosa si rompe.

È ora di riportare il rispetto al centro del gioco:

Perché il basket lo fanno loro, non chi fischia dalla linea laterale.

di Tiziano Megaro

La chimica dei fattori interni

La chimica dei fattori interni

Uno dei più classici oggetti che fanno parte della vita di un allenatore e che lo accompagna non solo la domenica, è il taccuino.

Sul taccuino l’allenatore ci scrive DI TUTTO.

Non si può fidare della sua sola memoria, e allora il taccuino serve a raccogliere ogni tipo di informazione che gli servirà a definire meglio il suo lavoro quotidiano e i suoi obiettivi.

Su quei taccuini si sono…

…vinte più partite di molte faticose sedute di allenamento e in quelle pagine non ci sono soltanto schemi ed esercizi.

Ci sono anche frasi e annotazioni che aiutano il coach a focalizzare meglio i suoi obiettivi.

Gli sbagli

Nei lunghi decenni in cui ho avuto la fortuna di allenare, trascrivevo ogni anno alla prima pagina di ogni nuovo taccuino la seguente frase, mutuata da un sillogismo aristotelico:

Allenare è scegliere. Scegliere è escludere. Escludere è sbagliare = Allenare è sbagliare.

Questo monito serviva a ricordarmi, ogni giorno della mia carriera, che un allenatore è, prima di tutto, quello che sbaglierà più di tutti.

La ragione di questo è molto semplice.

Il dubbio
Foto di Nathan Cowley

Il basket è lo sport in cui per eccellenza un allenatore opera delle scelte continuativamente:

mentre qui possiamo, sì e no, limitarci a dare dei piccoli input, soggettivi e limitati alla sola esperienza di chi scrive.

Le gerarchie

La dinamica insita nelle scelte di chi far giocare prima, chi dopo, e chi solo se scende la Madonna, la definizione di chi giocherà i minuti decisivi, sono decisioni connesse ad un altro sacramento non scritto che vige nello sport in generale e in particolare nel basket:

la presenza di gerarchie indispensabili.

Ogni squadra ha la sua intrinseca chimica dei fattori interni, nella quale si può intravedere chiaramente un mix tra giocatori di esperienza, giocatori di media affidabilità, la presenza di una o più star, e giovani.

Questo mix definisce le dinamiche di una squadra e la àncora ad un principio gerarchico che è necessario conoscere, definire e condividere.

Qui pure si aprirebbe un capitolo che si trova a metà strada tra la chimica e le dinamiche di gruppo.

La chiarezza

È altamente raccomandabile che l’allenatore chiarisca preliminarmente alla squadra il criterio gerarchico da lui individuato per risolvere immediatamente la prima e più importante minaccia a cui il gruppo è sottoposto:

non creare false aspettative e quindi ingenerare un processo di delusioni/demotivazioni.

Ciascun giocatore deve sapere esattamente il suo peso all’interno della squadra: “l’accettazione di quel ruolo (non in senso tecnico ma come rilevanza) definirà il grado di compattezza di tutto l’assieme”.

Giocatore esperto
Foto di Gustavo Linhares

Se sono un giocatore importante devo sapere che la squadra, l’allenatore e i compagni, si aspettano da me:

  • che giochi un certo minutaggio
  • che mi assuma determinate responsabilità
  • che porti sulle mie spalle un certo peso sul buon andamento della partita
    • e che sia pronto a farmi pienamente carico di tutto questo.

Se sono un giocatore giovane, arrivato per fare esperienza, devo sapere:

  • di non aspettarmi grandi minutaggi
  • che dovrò faticare per conquistare la fiducia di tutti
  • che devo aiutare gli altri ad allenarsi bene
    • tutto quello che verrà di più sarà guadagnato.
Il motivo della gerarchia

Dentro queste gerarchie si suddividono proporzionalmente anche le percentuali di merito/demerito che vanno redistribuite di pari passo con i successi o gli insuccessi della squadra.

La pallacanestro da questo punto di vista raramente ha commesso errori nell’attribuzione esatta delle responsabilità, nel fermo convincimento che è poi tutta la squadra a far fronte comune davanti ai successi o agli insuccessi.

La definizione delle gerarchie aiuta l’allenatore anche a compiere le scelte migliori nei famosi frangenti decisivi delle partite.

Se devo scegliere a chi affidare la conclusione che mi farà andare in paradiso o all’inferno, credo sia difficile che quella conclusione possa metterla nelle mani di un giovane con poca esperienza:

verosimilmente mi affiderò alle mani di chi quelle situazioni le ha già vissute molte volte.

Questo è quello che capita nella stragrande maggioranza delle squadre.

L’eccezione che conferma la regola

Poi un giorno, un allenatore di Caserta che allena la squadra della sua città, arriva a giocarsi una finale scudetto in trasferta a Milano, e sul time out della quinta e decisiva partita, a meno di due minuti dal termine della gara che avrebbe assegnato l’unico scudetto della storia ad una squadra del Sud, si avvicina non al giocatore esperto, ma ad un ragazzo poco più che ventenne e gli chiede:

Nando secondo te cosa facciamo adesso in difesa: uomo o uno tre uno?”.

di Dino De Angelis

fitness

Fitness di base per il basket

BUONA FORMA CARDIORESPIRATORIA

Nello sport il livello della prestazione distingue un campione dal resto dei praticanti.

Nel basket quanto meglio un giocatore riesce a palleggiare, tirare e passare, tanto migliori saranno le sue possibilità di successo ma queste abilità specifiche caleranno se il giocatore avrà una scadente forma fisica.

Molti operatori della comunità sportiva (dirigenti, allenatori, giocatori) equiparano il condizionamento atletico con la buona forma fisica.

Componenti fisiche necessarie

Essere in forma fisicamente non è soltanto essenziale da un punto di vista medico.

fitness

Le seguenti componenti di fitness sono comunque importanti per un serio giocatore e nello specifico di basket:

Per un’atleta, però, mantenere una capacità fisica oltre gli standard abituali di salute e benessere è essenziale per assicurare una prestazione ad altro livello per un prolungato periodo di tempo.

Sfortunatamente molti  giocatori professionisti che sembrano essere in buona forma prestano pochissima attenzione alla propria salute fisica, mentale, sociale ed emozionale e poi si chiedono perche le loro carriere si sono abbreviate.

Mentre la buona forma fisica è un indicatore della salute complessiva, è il condizionamento atletico che determina il livello al quale le capacità specifiche di uno sport possono essere eseguite ed elevare tale livello.

Buona forma cardiorespiratoria

Una buona forma cardiorespiratoria si estrinseca nell’efficacia con la quale il cuore e i polmoni distribuiscono il sangue, l’ossigeno e le sostanze nutritive ai tessuti corporei attivi durante il lavoro fisico.

L’esercizio aerobico (con presenza di ossigeno) migliora la funzione cardiorespiratoria ed aiuta a prevenire le malattie cardiache.

L’allenamento aerobico può essere svolto attraverso una qualunque attività che richieda l’utilizzo continuo di grandi gruppi muscolari

  • camminare;
  • fare jogging;
  • nuotare;
  • andare in bicicletta;
  • sciare;
  • praticare il canottaggio

da 20 a 60 minuti, da 3 a 5 giorni alla settimana ad intensità moderata.

nuotare
bici
Sciare

Un tale programma di allenamento migliorerà o manterrà la propria buona forma cardiorespiratoria.

Un sistema cardiorespiratorio allenato efficacemente è capace di sostenere uno sforzo di bassa intensità per lungo tempo poiché è in grado di:

  • consumare una grande quantità di ossigeno;
  • di far circolare l’ossigeno;
  • di utilizzare in modo aerobico l’ossigeno come fonte di energia per un periodo prolungato.

Il basket, d’altra parte, richiede brevi ma intensi periodi di attività, così che i giocatori spendono moltissima energia ad un ritmo veloce.

Le corse anaerobiche (con assenza di ossigeno) sono un altro aspetto della buona forma cardiorespiratoria e forniscono energia per attività ad alta intensità, cosi i sistemi di energia anaerobica devono essere parimenti sviluppati.

Eppure perfino atleti con una eccellente forma anaerobica possono lavorare a pieno ritmo soltanto per un breve tempo prima di dover interrompere.

Qui subentra in gioco la condizione aerobica.

di Tiziano Megaro

Organizzazione lavoro

ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO DI STAFF

Seconda parte
(questo è il link alla prima parte “creare uno staff e lavorarci assieme”)

E’ il momento di entrare nell’ambito delle dinamiche collaborative all’interno dello staff nei vari periodi dell’anno.

Fare la squadra

Su ogni obiettivo di “mercato” cerco di incrociare informazioni, valutazioni (frutto di esperienze sul campo o di scouting video approfondito) ed idee con i miei assistenti per quanto riguarda la parte tecnica e col mio preparatore per gli aspetti fisico-atletici.

Studiare il gioco della squadra ed impostare il precampionato

Centrati gli obiettivi si passa ad una fase estremamente approfondita di conoscenza delle caratteristiche tecniche dei giocatori che formeranno la squadra.

Laddove possibile, per ogni giocatore, cerco col mio staff di scoutizzare più di un’annata e di individuare tutte quelle soluzioni che, inserite in un contesto collettivo, possano esaltarne le prestazioni individuali.

scouting 2
scouting

Sempre attraverso la collaborazione di tutti si fanno le scelte relative agli attacchi da utilizzare, ai concetti difensivi e, più in generale, alle regole che dovranno diventare patrimonio della squadra.

Quello che nasce in questa fase va comunque testato sul campo e non bisogna esitare a tornare sui propri passi nel caso ci si accorga che qualcosa è migliorabile o addirittura sbagliata.

Nulla è più coerente che cambiare le proprie idee sulla scorta di esperienze che smentiscano le certezze teoriche.

Contestualmente si lavora per organizzare il precampionato.

Con l’intero staff:

  • decidiamo quanti giorni prima delle gare ufficiali iniziare,
  • stabiliamo l’alternanza di lavoro tacnico-fisico,
  • i lavori congiunti e i giorni di riposo,
  • determiniamo i carichi di lavoro legandoli agli obiettivi tecnici stabiliti col club,
  • con gli assistenti programmo le date delle gare amichevoli,
  • stabiliamo gli obiettivi tecnico tattici dell’intero periodo e quelli settimanali
    • inserendoli in una logica di compatibilità col lavoro fisico.

A proposito dei carichi di lavoro  vorrei focalizzare un aspetto che differenzia di tanto la realtà del basket attuale da quella di ieri.

E’ innegabile che aumentare i carichi in certi periodi del precampionato possa inficiare il rendimento tecnico in alcune partite amichevoli ed a volte si rischia davvero di avere la squadra talmente “imballata” da subire sonore lezioni.

Questo ieri rappresentava un fattore di minimo rischio mentre oggi, nell’era del tutto e subito, può aprire profonde lacerazioni nel rapporto tra allenatore e club.

Io credo che il coach debba avere ben chiaro quello che è l’obiettivo finale senza farsi condizionare troppo ma è innegabile che il problema spesso esiste per cui sono convinto che vada fatto un ragionamento con se stessi  per stabilire se e fino a che punto si sia in grado di gestire situazioni simili.

Precampionato

La prima settimana di lavoro è solitamente conforme a quella prestabilita ma è frequente l’esigenza di  dover attualizzare le settimane successive in base ad una serie di criteri come:

  • la presenza o meno di infortunati,
  • il grado di  metabolizzazione del lavoro fisico fatto precedentemente o di assimilazione dei concetti tecnici,
  • l’esigenza di accelerare/decelerare a seconda delle risposte date dal campo,
  • la necessità di individualizzare i lavori di alcuni giocatori troppo indietro e troppo avanti.
programma allenamenti
da aiaroma.it

Tutto ciò deve essere frutto di analisi settimanali che lo staff deve assolutamente affrontare nella sua interezza.

Campionato

Inizia la fase più tattica.

Lo scouting degli avversari e la preparazione delle partite rappresentano una parte fondamentale e spesso decisiva del lavoro di staff.

Credo che il basket sia molto cambiato rispetto a un decennio fa o più.

Prima era frequente incontrare squadre capaci di fare scelte difensive diverse sulle stesse situazioni a seconda del giocatore, del lato di campo e di altri parametri di volta in volta analizzati.

Oggi questo è impossibile per l’eterogeneità anagrafica dei giocatori che compongono la squadra e per il processo di crescita tecnico-tattica degli stessi.

Credo sia molto più efficace avere poche regole, precise e facilmente metabolizzabili.

Di partita in partita si faranno piccoli adattamenti senza mai uscire dalle regole.

Sulla base di questo concetto  va impostato il lavoro di scouting e di valutazione delle scelte con gli assistenti ed il preparatore

In queste due fasi, PRECAMPIONATO e CAMPIONATO, il lavoro di staff si sviluppa in tre momenti differenti:

  • FUORI DAL CAMPO
  • IN CAMPO
  • IN PARTITA
Fuori dal campo
Scouting prossimi avversari

L’assistente addetto deve visionare almeno due gare dei prossimi avversari e produrre un report video che mi piace avere a disposizione subito dopo la partita precedente.

(Durante la settimana va scremato e mostrato alla squadra nella forma più breve e impattante possibile).

Deve contenere tutti gli attacchi usati in transizione e metà campo (da questi si estrapoleranno i 4/5 più usati su cui si lavorerà durante la settimana), le scelte difensive della squadra analizzata e le caratteristiche dei giocatori.

Scouting propria partita

A volte, se le circostanze lo richiedono, è opportuno produrre un video su se stessi.

Personalmente reputo che questo non vada fatto sistematicamente ma solo se c’è da enfatizzare qualche aspetto estremamente importante sia in negativo per correggere che in positivo per rafforzare la fiducia in qualcuno o qualcosa.

Programmazione

Con lo staff vanno valutate e decise le scelte tecnico-tattiche e programmata la settimana di lavoro.

Di giorno in giorno vanno preparati i piani di allenamento.

Infine, sulla base delle scelte tattiche e delle relative verifiche sul campo, si appronta il piano di partita definitivo.

IN CAMPO
Allenamenti

Gli assistenti devono conoscere a fondo il piano di allenamento e condurne parte a seconda delle capacità di ognuno.

Entrambi gli assistenti sulle 2 metà campo ed il primo assistente sul lavoro a tutto campo.

Il preparatore fisico avrà il proprio spazio in fase di attivazione e in eventuali lavori differenziati.

E’ ovvio che la profondità degli interventi degli assistenti dipenderà dalle capacità ed esperienza degli stessi.

Questo sia negli allenamenti di squadra che negli individuali e in quelli a gruppi per ruolo.

Se si hanno assistenti all’altezza si può anche assegnar loro la preparazione e lo sviluppo di una singola tematica tattica durante il corso dell’intero anno.

IN PARTITA
Riscaldamento

Lo conduce il preparatore o solo un assistente, sempre lo stesso.

Partita

Chiedo agli assistenti di parlarmi costantemente comunicando osservazioni e idee.

La stessa cosa dovrà fare il preparatore relativamente alla sfera fisica e alla fatica che “vede sulla faccia dei giocatori”.

Si può anche assegnare ad ogni assistente il compito di guardare  l’attacco o la difesa e, contestualmente, la redditività dei nostri attacchi e quella degli avversari.

Time out/Intervalli

Indicativamente:

  • i primi 20” per parlare con gli assistenti ed i restanti 40” per comunicare con la squadra nei time out;
  • 40” circa con gli assistenti e il resto  con la squadra durante gli intervalli tra quarti;
  • alla fine dei primi 20’ di gara ci si può dilungare un po’ di più ma non tanto da bloccare troppo la squadra in spogliatoio.

Ribadisco di essere assolutamente conscio che non in molte realtà è davvero possibile creare uno staff totalmente in grado di rendere pratiche le idee che ho esposto.

Io stesso, pur avendo avuto la fortuna di collaborare spesso  con assistenti e preparatori di buon livello, non ho sempre avuto la possibilità di lavorare con uno staff completo.

Lapalissianamente concludo,

meglio scegliere bravi tecnici e brave persone che bravi tecnici e basta.

di Domenico Sorgentone

Creare uno staff

CREARE UNO STAFF E LAVORARCI ASSIEME

Prima Parte

Tanti anni da capo allenatore di squadre senior hanno fortificato in me la convinzione che avere uno staff tecnico di alto livello sia la base imprescindibile per impostare una o più  stagioni proficue per il mio lavoro,…

…per il lavoro dei miei collaboratori, per il miglioramento tecnico-fisico dei giocatori che ho a disposizione e per l’ottenimento dei risultati che ogni club legittimamente si aspetta.

Introduzione

Cosa siamo noi allenatori se non manager a cui viene richiesta la capacità di saper utilizzare al meglio le risorse umane che gli vengono messe a disposizione ?

Domenico Sorgentone
Coach Domenico Sorgentone – da roseto.com

Usare le capacità tecniche dei giocatori, per dare un gioco alla squadra, che non sia solo imposto ma che prenda spunto da ciò che i tuoi giocatori sanno fare meglio, è l’unico modo, a mio modo di vedere, per riuscire ad ottenere un risultato tecnico il più vicino possibile al reale potenziale della squadra.

Allo stesso tempo, saper utilizzare i componenti dello staff, secondo le proprie attitudini e fornendo loro le giuste motivazioni che nascono dal reale coinvolgimento nelle scelte e nel lavoro quotidiano, è la via migliore per far si che chi collabora col coach diventi un reale valore aggiunto.

Per ultimare il discorso generale prima di entrare nel merito, vale la pena specificare che le condizioni di professionalità e di organizzazione delle società per cui si lavora sono talmente diversificate.

E’ impossibile per me dare dei concetti comuni a tutti per cui mi limiterò ad indicare i criteri che ho seguito nelle mie esperienze lavorative.

Formare uno staff

Ho sempre cercato di avere al mio fianco persone conosciute direttamente o attraverso le informazioni di colleghi.

Non sempre è possibile portare con sè uno o più componenti dello staff.

E’ quasi sempre possibile, però, conoscere a fondo i collaboratori che una società ti propone attraverso le loro esperienze pregresse.

Vanno, comunque, valutate anche sulla base delle proprie idee sulle persone che forniscono le informazioni.

Costruire una buona rete informativa è un aspetto fondamentale del lavoro di un allenatore perché  può fornire i mezzi per poter scegliere un giocatore o un collaboratore riducendo al minimo la possibilità di errore.

I ruoli fondamentali per formare uno staff che sia in grado di coprire la totalità degli aspetti necessari  sono tre, anche se qualcuno ha la fortuna di poterlo arricchire di ulteriori figure funzionali alla logistica dell’allenamento (appoggi, videoripresa, scouting ecc.).

Nell’ordine (non di importanza) sono:

Le caratterisitche

La caratteristica comune che cerco nei due assistenti è essenzialmente riferita ad una buon livello di conoscenza tecnico-tattica mentre  per tutte le altre qualità mi baso su criteri di complementarietà.

Almeno uno dei due deve:                            

  • essere un professionista per ragioni di tempo utilizzabile
  • avere buone conoscenze informatiche e capacità di match analysis
    • per lavorare sui video propri o degli avversari
  • avere inclinazione verso il lavoro individuale di miglioramento dei giocatori
  • essere un ex giocatore di buon livello
    • perché molti di loro sono in grado di percepire umori e situazioni di possibile rischio nei rapporti tra giocatore e giocatore e tra giocatore e staff.
    • Inoltre sanno guardare le cose dalla prospettiva dell’atleta oltre che da quella dell’allenatore. 

Attenzione però, non mi riferisco a tutti gli ex giocatori ma a quelli ormai formati e temprati dal campo in qualità di tecnici.

La scelta del preparatore fisico

Nella ricerca del preparatore tendo a guardare, con molto interesse,:

  • chi è in possesso di  una conoscenza approfondita della pallacanestro e delle sue specificità tecnicofisiche
  • chi ha una buona dose di esperienza settoriale 
  • colui che ha la capacità di saper mediare tra le proprie esigenze di carichi e tempi di lavoro e quelle dell’allenatore.

Questo ultimo aspetto è secondo me essenziale.

Tanti anni di carriera mi hanno insegnato che qualsiasi allenatore/preparatore che si rispetti è portato ad “accaparrarsi” più ore di allenamento possibili a scapito dell’altro aspetto del lavoro.

Saper mediare con razionalità evita squilibri dannosi e ottimizza la qualità del lavoro.

Tutto quello che ho scritto in relazione alle competenze ed alle qualità che cerco nei miei collaboratori è importantissimo:

ma niente raggiunge l’importanza che ha la statura umana delle persone di cui cerco di circondarmi.

Nota della redazione

Nella seconda parte dell’articolo, che pubblicheremo la settimana prossima (giovedi 12 giugno 2025), si entrerà nell’ambito delle dinamiche collaborative all’interno dello staff nei vari periodi dell’anno.

di Domenico Sorgentone

Coordinazione motoria

La coordinazione e gli schemi motori fondamentali

Proseguendo nel percorso intrapreso per trattare, sempre per sommi capi, le doti atletiche da allenare per diventare un giocatore completo, in questo caso di basket, parliamo della coordinazione e degli schemi motori fondamentali.

Spesso la coordinazione è ritenuta “un equivalente dell’agilità, essa è la capacità di sincronizzare tutte le componenti e le doti atletiche dell’individuo”.

La coordinazione e gli schemi motori fondamentali implica il concetto di sinergia.
Un esempio che mi ha colpito nel mio percorso di studi ed in particolare sulla coordinazione è stato quello fatto dal quotatissimo prof. Isaia Di Cesare (scomparso qualche anno fa).

“Se si considera un atleta che voglia imparare a fare il giocoliere usando 3 palle, senza adeguate istruzioni prima, l’atleta probabilmente non riuscirebbe a far roteare simultaneamente tutte le 3 palle in aria.

Invece bisogna mostrargli come viene eseguito questo esercizio con una breve dimostrazione (anche in maniera rallentata ma in modo didatticamente chiaro); in seguito s’insegnerà a gettare in aria una sola pallina, seguita poi dalla seconda, una volta che l’esercizio con la prima sia stato imparato.

Questa progressione graduale continuerà finché l’atleta non sarà in grado di eseguire il gioco delle tre palline”.

Con questa metodologia quando si deve insegnare un movimento o un’azione e aderire cosi al concetto di sinergia, bisogna:

  • Mostrare e far capire l’intero movimento;
  • Scomporre il movimento nelle sue parti;
  • Padroneggiare ogni singola parte dell’intero movimento;
  • Riassemblare le parti per creare un movimento completo e migliorato.

Far allenare alla coordinazione di movimento consente l’armoniosa integrazione di tutti i movimenti in un’azione fluida, controllata ed efficace.
Praticando ogni movimento, o meglio ancora, ogni parte di esso, l’atleta intensificherà molto lo sforzo totale.

Attività del gioco sport Pallarmonica – Lettere (Na) 2017/2018

Tutto ciò serve a capire che l’agilità e la coordinazione possono essere apprese. Un atleta può migliorare efficacemente le proprie prestazioni e diminuire il rischio d’infortunio semplicemente migliorando agilità e coordinazione.

La prossima volta che guarderete una partita di pallacanestro vi invito ad osservare le schiacciate, i passaggi da dietro la schiena ed i tiri da 3 punti e fate uno sforzo per seguire le tracce dei movimenti di un giocatore, meglio ancora se si ha la possibilità di vederlo a rallentatore, prendendo nota come un giocatore si sposta da un punto A ad un punto B.

Se si osserva attentamente vedrete i fondamentali movimenti come:

Gli schemi motori fondamentali sono esercizi evolutivi che i bambini imparano da subito e che saranno utili come movimenti fondamentali per più avanzate e specifiche capacità sportive.

L’abilità a muoversi in modo efficace ed esplosivo è essenziale per una prestazione vincente nel basket. Gli atleti naturali eseguono questi fondamentali schemi di movimento con un alto grado di profitto.

Tali giocatori sono notevolmente esplosivi, ma i loro movimenti in campo sembrano fluidi e senza sforzo. Questo perché gli allenamenti specifici sono continui e costanti.

Per la maggior parte degli esercizi in campo, come per la pallacanestro, richiedono movimenti come lo sprintare, gli spostamenti laterali di forza (scivolamenti), gli spostamenti indietro o difensivi, il correre indietreggiando, ed una gran varietà di salti.

Bisogna quindi allenare questi movimenti sostituendo quelli generali ad altri analitici, modificando continuamente la sequenza per mettere alla prova la capacità atletica di adattamento ad un costante mutevole stress fisico dell’atleta.

di Tiziano Megaro

La conidzione fisica

L’importanza della condizione fisica

Capacità di prestazione del giocatore di pallacanestro

La prestazione di gara o la capacità di prestazione del giocatore di pallacanestro (o sport similiare) viene formata da molteplici abilità, capacità e qualità che si condizionano reciprocamente e che sono interdipendenti.

Un modello strutturale ridotto delle componenti della condizione fisica del giocatore di pallacanestro è delineato dalla seguente struttura:…

Schema condizione fisica
Modello strutturale ridotto delle componenti della condizione fisica del giocatore di pallacanestro

La reciproca dipendenza per una capacità ottimale di gioco, soprattutto dei presupposti condizionali, tecnici e tattici è messa in evidenza da questa citazione:

“Un comportamento ottimale in gara ha come presupposto un atteggiamento tattico ottimale dell’atleta, però un piano tattico è realizzabile solo se si posseggono basi tecniche adeguate ad esso, i corrispondenti presupposti condizionali ed adeguate capacità intellettuali e volitive….”. (Cfr. Weineck)

giocatore pallacanestro


L’allenamento fisico – atletico del giocatore di pallacanestro si deve orientare, per prima cosa, sulle esigenze determinate della partita.

Con lo schema seguente si tenta di rappresentare, in forma semplificata, il profilo condizionale delle richieste del giocatore di pallacanestro (secondo prestazione, allenamenti , Gerisch, DickEditore Calzetti – Mariucci)


Basi fisiche della prestazione
  • FORZA
    • Forza di salto, forza di lancio, forza specifica arti inferiori (arresti, cambi di direzione), forza di scatto, forza generale del tronco
  • RAPIDITA’
    • Rapidità di scatto,Rapidità d’azione specifica di gara (ciclica – aciclica), Rapidità di movimento (ciclica – aciclica)
  • RESISTENZA
    • Resistenza di base (gen. Aerobica), Resistenza generale di gioco (anaerobico alattacida, aerobico lattacida)
  • FORME MISTE
    • Forza rapida, resistenza alla forza di scatto, resistenza generale della forza, resistenza ai tiri/passaggi,resistenza alla forza di salto
  • MOBILITA’ ARTICOLARE
    • Espressioni specifiche della mobilità delle articolazioni (cingolo scapolo – omerale, arti inferiori/piedi, arti superiori/mani)
E’ importante che:

Tutti gli atleti (qualsiasi ruolo, statura, peso e caratteristiche fisiche) hanno bisogno di allenare questi elementi senza esclusioni di ognuno.

Rif. Ad appunti di Jurgen e Weineck

di Tiziano Megaro

Allenamento settore giovanile

La capacità di carico nello sport giovanile

Nei giochi sportivi la formazione nella fanciullezza e nell’adolescenza richiede un processo di sviluppo della capacità di gioco di lunga durata.

Nei primi anni di tale processo…

…troviamo, in primo piano, lo sviluppo della rapidità, della coordinazione e del comportamento tecnico – tattico durante il gioco.

Se si vuole garantire la capacità di carico in questa fase andrebbe evitata qualsiasi specializzazione precoce e assicurare uno sviluppo multilaterale della muscolatura.

A tale scopo si espongono:
  • le particolarità del controllo dell’allenamento;
  • alcuni fattori che possono alterare lo stato di salute e la capacità di carico;
  • le misure di prevenzione in alcuni giochi sportivi di invasione come tra gli altri la pallacanestro.
Sport invasione


Nei giochi sportivi d’invasione, un inizio precoce della costruzione della prestazione è giustificato dalla necessità di realizzare un notevole processo di apprendimento il cui scopo è rendere possibile la realizzazione della grande varietà di prestazioni motorie richieste in questo tipo di sport.

Obiettivi

L’allenamento giovanile si pone, soprattutto, l’obiettivo di sviluppare le abilità e le capacità tecnico – tattiche necessarie in questi giochi sportivi.

Le numerose richieste che si pongono alle prestazioni sportive del giocatore sono caratterizzate:

  • Dalla necessità di sviluppo della capacità di prestazione individuale;
  • Da attività che si svolgono nel contesto di una squadra tenendo conto dell’avversario
  • Dalla situazione di gioco in continuo cambiamento che debbono essere realizzate con grande rapidità per un lungo periodo di tempo.

Per questa ragione, se, si vogliono realizzare notevoli prestazioni sportive in questi sport, oltre a capacità organico – muscolari specifiche (rapidità, forza, resistenza), sono importanti quelle funzioni psichiche e nervose che notoriamente presentano i periodi più favorevoli al loro sviluppo nell’età evolutiva:

  • infanzia,
  • preadolescenza
  • adolescenza.
allenamento giovanile
Facilitazioni neuronali

Gli importanti presupposti tecnico – tattici necessari in questi sport si consolidano attraverso facilitazioni neuronali tra le quali debbono essere citate:

  • Le funzioni degli organi di senso che permettono di percepire e di elaborare rapidamente e con precisione gli stimoli esterni;
  • Il controllo neuromuscolare preciso ed efficace dei movimenti, adeguato alla situazione delle azione e delle reazioni di gioco

(Cit. Gudrun Frohner – )

L’Autrice, Gudrun Fröhner docente presso l’Istituto di Scienze Applicate all’Allenamento di Lipsia, è attualmente una delle maggiori esperte in campo mondiale delle problematiche legate alla capacità di carico dei bambini e dei giovani atleti.)

L’adattamento alle condizione concrete del gioco e le prese di decisione per le azioni successive richiedono uno sviluppo molto elevato delle capacità di reazione, delle capacità di trasformazione dei movimenti e di anticipazione.

Alla base della possibilità di reagire rapidamente durante la partita, e, quindi, come garanzia sia della prestazione sportiva sia della capacità di carico, troviamo uno stato di freschezza fisica e nervosa.

Le conseguenze dei carichi inappropriati

Le cause principali delle conseguenze di carichi inappropriati e di traumi che debbono essere evitate sono rappresentate da:

  • pattern errati di movimento;
  • da un ristabilimento insufficiente;
  • da comportamenti scorretti di gioco.

Anche ciò richiede una costruzione a lungo termine (processo di apprendimento) della prestazione di gioco.

I carichi e le sollecitazioni che esigono questo tipo di giochi sportivi (cosiddetti d’invasione) in linea di principio corrispondono a quelle degli sport di rimando (tennis, pallavolo), tuttavia esistono differenze notevoli.

Trauma sportivo
Foto di Karolina Grabowska
Conclusioni

Tali differenze riguardano non soltanto le diversità delle tecniche sportive che permettono di trattare la palla ma, anche, in generale, le differenti attività muscolari – generalmente molto rapide e mutevoli.

Devono essere eseguite per un lungo periodo di tempo – e il continuo ripetersi di situazioni di contatto e di lotta con l’avversario di gioco.

di Tiziano Megaro

Famiglia - squadra

La famiglia è come una vera squadra

come si fa a farla funzionare bene?

La collaborazione è la base di qualsiasi gruppo, partendo da valori riconosciuti da tutti i componenti

Come si può definire una “vera” squadra?

La squadra è un gruppo di persone preposte allo stesso compito e coordinate per una funzione comune.

Per essere una “vera” squadra non basta…

…vivere tutti sotto lo stesso tetto, nello stesso spogliatoio o in campo durante una partita, tutti i componenti della squadra, sia essa la famiglia o un “team” devono essere allineati, in equilibrio, uniti e con la mente rivolta a costruire un “vero” Team Building.

Team building
Foto di Ron Lach
Quando si può definire una famiglia come una “vera” squadra?

Il successo di una “vera” squadra-famiglia è dettato dalla sinergia e dal funzionamento di tutti i componenti: non può gravare tutto su una persona, ci sarebbe uno squilibrio, a lungo andare si perderebbe di efficacia e si creerebbero dei
malcontenti.

Divisione dei compiti

Dividersi i compiti in una squadra e in famiglia significa:

  • riuscire a fare più cose assieme con dei compiti ben delineati;
  • stancarsi di meno;
  • essere più sereni;
  • riuscire a godersi anche del tempo per fare altre cose insieme.

Il fare una cosa, l’ubbidire, il rispettare le regole in casa può diventare più leggero se si cambia il punto di vista.

Nel momento in cui dobbiamo fare qualcosa che non possiamo delegare a nessun altro, possiamo cercare delle modalità più leggere o comunque evitare di partire già “con il piede sbagliato” ed essere insofferenti quando si esegue un dovere.

Il dover ritornare in difesa per un attaccante in una squadra, può essere meno faticoso se contribuisce alle idee dell’allenatore che predilige il gioco a tutto campo.

In una famiglia e in una squadra non ci può essere competizione interna o lo scarica barile:

“Io faccio”, “Tu non fai”, “ Se io faccio …. tu devi fare…”

tutti devono collaborare ed essere a disposizione per il bene comune!

collaborazione
Foto di Andrea Piacquadio

Assolutamente in famiglia e in squadra non ci devono essere rancori e insofferenze nei confronti dei componenti o voglia di rivincita sugli altri.

Fare squadra! Una squadra serve per mettere dei buoni pilastri educativi.

La complicità e la collaborazione

In una famiglia è molto importante la complicità, soprattutto tra i due “capisquadra” il padre e la madre.

Per i figli non c’è niente di più bello che vedere il papà e la mamma che sono:

  • complici
  • alleati
  • collaborativi

e non due realtà individuali che vivono due vite parallele o secondo gli stereotipi classici del maschio che ha delle mansioni e la femmina delle altre.

In una “vera” squadra di calcio, di basket o di volley ci deve essere complicità e collaborazione tra il capitano e gli altri compagni e questa complicità (che non deve essere a danno dell’allenatore) i giocatori la devono creare durante l’allenamento, nello spogliatoio e nel tempo libero.

La casa, lo spogliatoio

In famiglia e in squadra è molto importante il concetto di “insieme” e di fare “con”.

È molto importante che i figli siano educati fin dalla prima infanzia alla collaborazione e non al fatto che devono essere serviti e riveriti.

Non si può preferire un figlio o una figlia rispetto all’altra o all’altro, i figli sono “tutti uguali” e se si pretende che i propri figli comprendano il rispetto, il valore di ciò che si fa per loro e i ruoli, deve passare il messaggio che i genitori sono disponibili, non a disposizione.

La casa è come lo spogliatoio in una squadra di calcio, di basket, di volley, di rugby:

lo spogliatoio è sacro, nulla deve uscire dalla spogliatoio, nulla deve uscire dalla casa.

Se i figli non lo capiscono da piccoli, non lo capiranno neanche durante il periodo adolescenziale e cercare di inquadrarli quando sono grandi, diventa un’impresa veramente faticosa che rischia di trasformarsi in una lotta quasi quotidiana.

unione

In uno spogliatoio ci si può dire di tutto ma non deve trapelare all’esterno.

Conclusioni
Per evitare di finire a fare un continuo braccio di ferro ed essere sempre in rincorsa, è importante mettere delle buone basi sia in famiglia che in una squadra.

La famiglia e la squadra devono avere dei valori riconosciuti da tutti i componenti e permettono di differenziare ciò che è giusto da ciò che non lo è.

E’ opportuno a questo punto creare un “Team building” oliato alla perfezione e che produca risultati:

una bella famiglia e una bella squadra!

di Maurizio Mondoni

partecipare o vincere

Vincere o partecipare?

Il tabellone è lì, impossibile non guardarlo.

La cosa curiosa dei tabelloni segnapunti (e segnatempo) è che se potessero registrare gli sguardi, diventerebbero incandescenti a mano a mano che la partita volge verso la fine.

Se fossi un esperto in matematica direi che il tabellone lo si guarda in maniera inversamente proporzionale allo scorrere del tempo.

I giocatori, il pubblico, gli arbitri, gli ufficiali di campo (quelli più di tutti, per ovvie ragioni) sembra abbiano…

…tre differenti modalità di sguardi:

  • il primo per l’evento agonistico in sé che si svolge sul campo,
  • il secondo per il tabellone,
  • il terzo per il tavolo dei giudici (a cui ci si interfaccia per le operazioni amministrative della partita).

Ebbene sì, anche una partita ha le sue pratiche burocratiche da espletare.

Il tabellone

Eppure quel tabellone che fa sospirare e penare, dannare e gioire, quei piccoli cristalli rossi che si illuminano formando sostanzialmente numeri, tutta quella roba lì è un grande ingannatore.

Tabellone

Non perché sia bugiardo in sé (non c’è cosa più veritiera dei numeri, com’è noto), ma perché quel tabellone,

se si rischia di fare in modo che sia l’unico a decretare “la polvere o l’altare”, beh quella sì che può essere una cosa ingannevole.

Il risultato finale

Sto parlando del risultato finale.

Quale unico ed assoluto giudice di ogni valutazione ex post di una prestazione?

E sto anche cercando (e sarà impresa non poco faticosa) di dimostrare che quel tabellone deve iniziare ad avere un’importanza relativa e non già assoluta nelle valutazioni di uno staff tecnico e di una società circa la performance della squadra.

Va bene, lo ammetto che la questione è spinosa assai e che investe direttamente la vecchia dicotomia tra fare sport per il gusto di farlo e farlo esclusivamente per vincere.

E’ esattamente il metro con cui si valuta lo sport semiprofessionistico e professionistico.

È questione spinosa anche perché deve ribaltare uno degli assiomi più antichi dello sport e cioè che quest’ultimo è vero solo in funzione dei risultati e che nulla conta al di fuori di quelli, che chiunque viene valutato per quanto ha vinto, eccetera eccetera.

Che se mi permettete, questa è solo una delle variabili in gioco (importante certo, ma ce ne sono anche delle altre).

Quante volte:

  • ci siamo sentiti dire che la nostra squadra meritava di vincere?
  • il pubblico ci ha applauditi anche dopo una sconfitta?
  • gli allenatori avversari si sono sinceramente complimentati per la prestazione fatta anche quando siamo usciti dal campo con le pive nel sacco?
La formalità

Orbene, il mio tentativo da queste colonne sarà tutto teso a dimostrare che tutta quella roba lì, che è accaduta a tutti, certamente anche più di qualche volta, è tutt’altro che formale e che la vittoria non è assolutamente l’unico parametro di valutazione per arrivare a definire se la nostra programmazione, la nostra conduzione di una gara e – purtroppo – non l’epilogo della stessa non sono da buttar via soltanto perché alla fine il punteggio ci vede sconfitti.

Ovvio considerare che se abbiamo perso ci manca ancora qualcosa, ma facciamo veramente attenzione ogni volta ad entrare nel merito della prestazione per sottoporla ad una attenta scannerizzazione che riguarda i quaranta minuti di gioco e non, magari, l’ultimo sfortunato episodio.

Proviamo anche a mettere in atto un’altra strategia.

Quel tabellone fatto di led luminosi rossi che cambiano vertiginosamente con il variare del punteggio, dei tempi di gioco e dei falli, proviamo a guardarlo un po’ meno spesso.

Quel tabellone ci condiziona tremendamente, inconsciamente, subliminalmente.

Faccio un esempio.

A inizio terzo quarto siamo avanti di venticinque:

che effetto questa cosa produce sulle nostre emozioni agonistiche, nella stragrande maggioranza dei casi?

Ritengo che il tabellone sia paradossalmente un nemico più della squadra che è avanti nel punteggio di quella che è in svantaggio.

Quei numeri dicono cose che possono entrare prepotentemente in quella delicata cosa che sono le motivazioni agonistiche che molto spesso spostano gli equilibri con la stessa facilità con cu si ribalta la famosa “inerzia”.

Ovvero quella miscela chimica e psicologica che nessuno ha mai capito fino in fondo ma che tutti gli allenatori conoscono e la “sentono” nell’aria prima che la situazione venga poi di fatto ribaltata sul campo anche se fino a pochi minuti prima il risultato sembrava aver preso una direzione precisa.

Conclusione

 E allora, per concludere, qui nessuno vuole scomodare De Coubertin e assecondare quel suo cavalleresco e assai poco attuale aforisma,

in un’epoca nella quale, non solo nello sport, tutti vogliono spudoratamente vincere, sempre e comunque, con ogni mezzo, perfino quelli illeciti.

Tutto si giustifica nella moderna società della competizione sull’altare del “vincere e vinceremo”. (Duce, ci scusi la citazione).

Eppure sento che la vera e profonda ragione per giudicare cosa siamo veramente, cosa abbiamo realizzato veramente in quella partita, cosa serve veramente per trasformare quel granello di sabbia che è mancato nella valanga che occorre per superare la corrente:

sta nel superare il senso del punteggio decretato dal tabellone quando termina la sua corsa e dice 00:00.

Due considerazioni finali
  • La prima è che nessuno gioca mai a perdere e tutto questo non riguarda affatto l’aspetto delle giustificazioni o degli alibi per una sconfitta
    • quella sì, che sarebbe una cosa esecrabile.
  • La seconda è una parziale correzione della storia, ovvero del detto di De Coubertin e del senso che voleva dire.

Quel detto non è affatto farina del suo sacco: lo pronunciò per primo nella storia un filosofo greco che non avrebbe mai detto una cosa così scontata, perché quel filosofo disse in realtà:

L’importante non è vincere, ma partecipare con spirito vincente”.

Spirito vincente

E credetemi, meglio di questa frase per spiegare tutto quello che volevo dire in queste righe, non potevo trovare.

di Dino De Angelis

Leader-guida

L’allenatore: leader, guida o capo di un team?

In tutti i gruppi, sportivi o non, lavorativi o semplicemente con una finalita’ comune, anche “ solo” ricreativa, si manifestano delle dinamiche che portano alla comparsa e alla strutturazione di ruoli all’interno di essi.

Nel corso di questo articolo ci concentreremo su cio’ che avviene in un…

gruppo squadra di pallacanestro, gruppo di professionisti con formazione, eta’, cultura ed esperienza diverse tra loro, in alcuni casi molto lontane.

Questi individui hanno la possibilita’ di realizzarsi in un gruppo solo se hanno un unico obiettivo comune:

il raggiungimento del miglior risultato sportivo di squadra possibile.

Il gruppo

Piu’ il gruppo e’ in grado di avere delle proprie qualita’, una propria “anima”, piu’ i risultati potranno essere superiori alla mera somma delle caratteristiche tecniche ed umane dei singoli membri.

Nella costruzione della squadra, in quello che probabilmente e’ il periodo dell’anno in cui devono essere fatti meno errori possibili (clicca qui) e’ necessario, direi imprescindibile, non sbagliare la scelta degli uomini in base alle loro capacita’ di fare gruppo.

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E’ importante scegliere persone, ancora prima che giocatori, in grado di convivere in un gruppo con precise regole, porre il bene comune davanti al proprio, ma anche individuare quelli che possono ricoprire determinati ruoli all’interno di esso.

Alcuni ruoli saranno:

a determinarli e definirli, ma la mia esperienza mi porta ad affermare senza ombra di dubbio che non si puo’ prescindere dalla presenza di un leader.

Il gruppo ne ha bisogno, ne sente la presenza e l’importanza!

Come individuare un leader

A questo punto credo sia opportuno sottolineare come non sempre il leader è il giocatore piu’ bravo tecnicamente o il piu’ performante o quello che eccelle in qualche categoria statistica.

Non dobbiamo infatti confondere il leader tecnico da quello “morale”.

Il leader tecnico

Lo s’identifica con:

  • il tempo,
  • attraverso le situazioni di gioco,
  • quello a cui dare la palla nei momenti decisivi
  • a cui affidare l’ultimo tiro,
  • quello da mandare in lunetta per i tiri liberi piu’ importanti
  • il giocatore a cui assegnare l’avversario piu’ pericoloso.

E possono essere anche piu’ di uno.

Spesso si prova ad immaginarli nella costruzione della squadra, ma e’ soprattutto l’esperienza delle partite che ci permette di identificarli.

Sono importanti?

Certo!!

Ma questi sono presenti in tutte le squadre, a tutti i livelli, infatti, c’e’ qualche giocatore che emerge per caratteristiche rispetto agli altri, quelli a cui affidare il ruolo piu’ importante e decisivo.

Il leader morale

E’ il secondo tipo di leader, quello che ho definito “morale”.

Quello che:

  • trascina il gruppo nel lavoro quotidiano,
  • che e’ un esempio per il raggiungimento degli obiettivi di squadra,
  • è in grado di tenere tutti “sulla stessa pagina del libro” nei momenti difficili
    • che non sempre lo si trova nelle squadre.

Non necessariamente emerge nelle statistiche personali, spesso lo fa, ma in alcuni casi non e’ nemmeno tra quelli che giocano di piu’:

  • Aiuta i compagni piu’ in difficolta’,
    • magari riportando le proprie esperienze personali,
  • aiuta i giocatori ad inserirsi in un ambiente nuovo,
  • è colui che all’interno dello spogliatoio favorisce aggregazione
  • sa far rispettare le regole che devono valere per tutti!

Lo si capisce e lo si avverte anche sul campo, grazie al suo linguaggio del corpo, una pacca sulla spalla, un cinque, un incoraggiamento, ma anche alzando la voce quando è necessario.

Durante la settimana la sua presenza ha un peso specifico ancora maggiore.

leader morale
foto da cam.tv

Quando l’obiettivo è lontano (la partita) e’ fondamentale avere chi ci “ricorda” con:

  • l’esempio,
  • la concentrazione,
  • l’abnegazione

che solo il lavorare al 100% ti permette di arrivare pronto all’evento.

Alcune di queste caratteristiche le ritroviamo nella figura dell’allenatore.

In diversi casi si sente dire che il leader del gruppo e’ proprio il coach, che con la sua personalita’, le sue idee e la sua mentalita’ riesce a guidare il gruppo verso gli obiettivi prefissati.

Quanto c’e’ di vero in queste affermazioni?

Proviamo a dare una risposta.

Non c’e’ nessun dubbio che un gruppo di giocatori che non segue il proprio allenatore e’ destinato a fallire.

Un allenatore che non riesce a trasmettere le proprie idee tecniche e tattiche avra’ una capacita’ di intervenire sui propri giocatori pressoche’ nulla e sarà veramente difficile costruire un gruppo.

Molto probabilmente assisteremo in questo caso ad un insieme di singoli giocatori piuttosto che ad una vera e propria squadra.

Ancor di piu’ ritengo importante la capacita’ del coach di inculcare la propria mentalita’ alla squadra.

Il buon allenatore lo si vede esattamente in questa circostanza.

Indipendentemente dalla qualita’ del gioco, dalle scelte tattiche o se siamo in presenza di un allenatore da palestra o piu’ gestore del gruppo.

Le squadre dei vari:

ma anche di

le riconosci, indipendentemente dai giocatori che hanno, e le si riconoscono dalla identificazione dei giocatori con la mentalita’ dell’allenatore.

Messina - Scariolo
Messina Ettore , Scariolo Sergio
Foto A.Gilardi / Ciamillo-Castoria

Quindi puo’ essere l’allenatore il leader del gruppo?

La mia personale risposta e’ no!

Ritengo che la nostra categoria debba essere in grado di indicare gli obiettivi da raggiungere e stabilire la strada per farlo, di decidere le regole a cui il gruppo deve attenersi e magari prevedere delle eccezioni e spiegarne i motivi.

Deve operare delle scelte, anche impopolari, tenendo sempre a mente l’obiettivo finale, salvaguardare l’esigenze comuni rispetto a quelle dei singoli, ma in posizione piu’ di capo che di leader del gruppo.

Coach Andrea Trinchieri
Andrea Trinchieri da: dunkest.com

Deve, infatti, in tante occasioni uscire da esso ed operare come se non ne facesse parte.

Non ha gli stessi diritti dei giocatori, ed ha responsabilita’ diverse da essi, deve prendere decisioni (vi rimando all’articolo riguardo il lavoro di staff – clicca qui) e deve avere l’ultima parola in caso di divergenze di idee.

Conclusione

Non puo’ esserne il leader, ma deve essere capace di rappresentare una guida, in poche parole deve esserne il capo.

La combinazione perfetta e’ la presenza di un capo autorevole e di almeno un leader positivo dalla spiccata personalita’.

Se pensiamo alle grandi squadre e al raggiungimento di grandi obiettivi,

non possiamo prescindere dall’individuazione di queste due figure!!

di Sergio Luise

finale scudetto 21-22

Milano – Bologna: finale scudetto!

Gara 2
La gerarchia

Al di là della cifra tecnica, per me va rispettata una regola che riguarda tutte le dinamiche di gruppo, in particolar modo per quei gruppi che sono formati per il raggiungimento di obiettivi (orchestre, militari, squadre) e questa regola, piaccia o meno, ha a che fare con il concetto di gerarchia.

La gerarchia definisce in modo chiaro le…

…responsabilità, e questa è una cosa decisiva per raggiungere l’obiettivo.

In un gruppo deve essere chiaro chi comanda e chi porta l’acqua, e in mezzo le figure intermedie.

Poi può anche capitare che chi porta l’acqua a volte si trasformi in protagonista, ma dentro un sistema molto chiaro e accettato da tutti.

Bologna questa gerarchia l’ha individuata in maniera precisa:

Teodosic
Teodosic Milo Virtus Segafredo Bologna – A|X Armani Exchange Milano Playoff – Finale – Gara 3
Foto Ciamillo-Castoria/ Gianluca Checchi

Milano è un’orchestra di splendidi esecutori ma con un unico difetto:

non si capisce chi dirige l’orchestra e chi accompagna.

Un piccolo difetto che sul campo diventa macroscopico specie quando deve compattarsi nelle fasi decisive della battaglia quando ogni piccola decisione può portare a vincere o perdere.

E questo non lo puoi cambiare o modificare in due giorni.

O lo hai individuato ex ante oppure continuerai ad affidarti alla vena dei singoli.

Milano 0 – Bologna 2

Gara 3
Primo aspetto: l’identità

Responsabilità e pressione.

Si dice spesso che ad avvertire più pressione sia la squadra in vantaggio.

Se a questo aggiungi il fatto di giocare la prima partita in casa, la bilancia avrebbe dovuto pesare tantissimo per la Virtus ed essere molto più leggera dall’altra parte.

Ma gli occhi vitrei di Messina e Datome hanno reso chiaro il fatto che Milano abbia una certa difficoltà a gestire il clima psicologico.

Lo si capisce davanti alle reazioni sui primi errori della squadra.

Punter sbaglia un tiro libero:

apriti cielo.

Non è così che si affronta sul piano mentale una partita.

La parola d’ordine dovrebbe essere: tolleranza; la seconda: positività.

Secondo aspetto (collegato al primo): sicurezza.

Milano (opportunamente) sceglie di cambiare le carte e giocare con un centro puro per alzare l’energia e l’intimidazione di Bologna.

Scelta che produce più solidità, rimbalzi, secondi tiri.

Ma dopo pochi minuti il centro non si vede più in campo.

Risultato: confusione tattica.

Chi siamo? Quelli più atletici e dinamici di sempre o quelli più muscolari di stasera?

L’identità della squadra va in vacanza.

Terzo aspetto

Quegli altri difendono ogni palla come se non ci fosse un domani. Risultato: una corazzata come Armani lasciata a 58.

Saranno pure stanchi, ma mi sembra che ci sia anche qualcos’altro.

Quarto aspetto

Qualcuno saprebbe spiegarmi che giocatore è Micov? No, perché io non riesco a definirlo.

Non di poco conto è il fatto che, tranne rarissimi istanti, in tutte e tre le partite, i bolognesi sono per larghi tratti (circa 38 minuti su 40), davanti nel punteggio.

Non voglio parlare di supremazia, ma siamo vicini.

E se questa cosa non è sorprendente, allora dimmi tu cosa lo sia.

Milano 0 – Bologna 3

Gara 4
La riconoscenza

Il primo pensiero va alla dirigenza di Bologna.

Come si sentiranno dopo aver esonerato e poi aver dovuto ingoiare il richiamo dell’allenatore che poi li ha portati allo scudetto? Un minimo di vergogna sarebbe il minimo, oltre alle scuse.

Miopi.

Il secondo va a un ragazzo di 21 anni che accanto a giganti che hanno vinto titoli europei e mondiali non solo non sfigura ma è quello che dà la carica, difende per tre, non perde una palla e fa canestri decisivi.

Talento.

Il terzo è per un veterano che in NBA ha fatto i numeri, torna in Italia, accetta la sfida di una società che non vinceva lo scudetto da 16 anni, e nonostante cerchino di asfissiarlo, continua a segnare in ogni modo: da fuori, da sotto, su due piedi e pure palleggiando su un piede solo.

Stoico.

No, sul direttore d’orchestra non dico nulla. Tranne il fatto che continuare a incantare e fare assist come manna dal cielo e punti decisivi non è affatto scontato.

Vincente.

Infine la difesa. Qui basta vedere i parziali dei quarti per capire anche la gara 4 che tipo di trend abbia avuto: 19-24, 22-19, 14-8, 18-11, e capire che Virtus ha progressivamente spento gli avversari come una candela.

Supremazia.

E allora se sei un giovane allenatore, chiudi i libri, smetti di andare ai corsi, tagliati la partita e guarda una decina di volte al giorno soltanto le azioni difensive della Virtus. Ne uscirai un allenatore migliore.

Didattica.

Milano 0 – Bologna 4

di Dino De Angelis

Agilità

L’AGILITA’

NELLA PALLACANESTRO


Dopo la velocità, continuiamo il nostro viaggio trattando un’altra dote atletica necessaria per diventare un giocatore di basket quantomeno completo.

Un sistema per muoversi più liberamente con maggiore agilità e velocità è quello di sviluppare una buona elasticità.

Inoltre, la capacità di fornire…

…prestazioni senza timori di infortunio si risolve in azioni più poderose.

Cosa origina la potenza?

Il livello di estensione di una banda elastica stabilisce la quantità di energia immagazzinata e la possibilità di emissione di forza.

Per il muscolo non è l’estensione, ma piuttosto la velocità dell’allungamento che determina l’originarsi della potenza.

Quando però un muscolo è allungato fino ai suoi limiti estremi, l’essere in grado di resistere ai rigori di questo allungamento massimale ed eseguire un movimento di grande potenza senza infortunarsi è molto importante per una resistenza e produttività a lungo termine.

L’ampliamento della gamma di movimenti è un fattore molto importante per diventare un atleta completo.

L’importanza dell’agilità

Strettamente collegata con l’equilibrio, l’agilità è necessaria agli atleti per regolare gli spostamenti del centro di gravità mentre in velocità variano le posizioni del corpo.

L'agilità
Foto di Tima Miroshnichenko

L’agilità è la capacità di cambiare direzione senza diminuire la velocità.

Un esempio

Immaginiamo un uomo alto circa 2 metri, di 115 Kg, che può sollevare 180 Kg da seduto e 500 Kg in piedi, che ci sprinta in piena velocità davanti a noi e che improvvisamente devia a razzo verso destra o verso sinistra apparentemente senza diminuire il passo.

La maggior parte dei giocatori deve decelerare considerevolmente per assumere un po’ di controllo prima di un rapido cambio di direzione.

Ridurre la decelerazione è un fattore chiave per migliorare l’agilità.

La capacità di cambiare direzione rapidamente spiega in larga misura perché in atletica i saltatori possono balzare così in alto.

Il saltatore, in questo caso, stabilisce la sua velocità durante l’approccio al salto e poi trasferisce questa velocità orizzontale in sollevamento verticale nei due rapidi passi prima del punto di battuta.

Saltatore

Queste stesse caratteristiche possono essere inserite nei movimenti sul campo di basket.

Conclusione

Bisogna includere degli esercizi che richiedono veloci cambi di direzione nello schema quotidiano di allenamento:

con l’allenamento frequente a cambiare direzione con movimenti in avanti, indietro, laterali e verticali, si migliorerà l’agilità dell’atleta.

Prossimamaente tenteremo d’illustrare – presentare esercizi dediti al miglioramento di questa dote atletica con la speranza di avere uno scambio con i tanti lettori del nostro blog.

di Tiziano Megaro


Staff tecnico

Lo staff tecnico

NELLA PALLACANESTRO

Lo staff tecnico di una squadra di pallacanestro è esso stesso un team.

Un team di persone o, se vogliamo essere più precisi, di allenatori con dei ruoli stabiliti, che seguono delle regole, che hanno lo stesso obiettivo ultimo ma con competenze e conoscenze diverse.

Devono saper lavorare insieme, condividere e, come del resto i giocatori della propria squadra, anteporre le esigenze del gruppo a quelle personali.

Non è solo composto da allenatori di basket.

Organizzazione tipo di uno staff tecnico

Al suo interno troviamo:

Possono crearsi dei piccoli sottogruppi con i propri coordinatori.

Se pensiamo alle organizzazioni più complesse, quelle delle NBA, lo staff tecnico è composto da decine di persone, ma in cima alla piramide c’è un solo capo ben definito: L’HEAD COACH, il capo allenatore.

Prima di quest’ultimo, che per me è un leader oltre che il capo di uno staff, partirei dagli altri componenti per condividervi le mie personali idee riguardo i ruoli e le competenze.

Il preparatore fisico

Ha la responsabilità, in pre-season, di far raggiungere la condizione fisica necessaria ad affrontare l’inizio del campionato, durante la stagione di conservarla per poi arrivare nella migliore situazione possibile alla fine del campionato.

É un lavoro complesso, che vive di diversi momenti lungo la stagione, alcuni richiederanno specifici lavori con carichi ed obiettivi mirati, altri saranno dedicati al recupero di eventuali infortunati e a ltri, ancora, saranno momenti di supporto e di sostegno emotivo.

Non è raro, infatti, che il preparatore sia colui al quale vengono richiesti consigli anche al di fuori del basket giocato, pensando anche che il corpo, il target del proprio lavoro, è una componente che va sempre allenata, anche lontano dal campo.

Nel basket attuale il preparatore lavora sempre più in sinergia ed in simbiosi con la parte tecnica.

Ogni programmazione, sia essa stagionale, mensile, settimanale o quotidiana, deve essere il risultato dell’interazione tra le due parti.

L’assistente allenatore

E’ una figura che, anche se alcune volte lavora lontano dai riflettori, nel basket moderno ha visto ampliare sempre di più le proprie mansioni, non soltanto sul campo di basket, ma anche dietro la scrivania.

In uno staff ve ne sono diversi, e spesso con ruoli specifici.

Infatti ci sono quelli con capacità di analizzare e produrre stats e video certificando così l’importanza delle voci statistiche.

In pratica:

peso ai numeri, non solo nella lettura delle partite e dei risultati, ma anche nella costruzione delle squadre e nella preparazione delle partite da affrontare.

Il basket è uno sport aperto alle contaminazioni e alle evoluzioni:

  • ha assimilato dal baseball l’importanza dei numeri
  • dal football, sport estremamente tattico e con alcuni aspetti tecnici in comune con la pallacanestro, si è adottata, invece, la specializzazione tra gli assistenti allenatori all’interno dello staff.

E’ sempre più comune, anche in società meno strutturate di quelle della NBA, trovare allenatori responsabili delle scelte difensive o di quelle offensive, nonché coordinatori del lavoro individuale (player development coach).

Questi assistenti hanno un contatto molto diretto con i giocatori, è necessario che si manifestino nei confronti di essi come dei capo allenatori a tutti gli effetti e devono essere riconosciuti dai giocatori come tali.

Obiettivi comuni

In soldoni non deve mai instaurarsi nella mente degli atleti la convinzione di avere di fronte un allenatore meno “valido” o meno importante del head coach.

Senza invadere le competenze né prevaricare i ruoli, ritengo che uno staff tecnico sia molto più forte e credibile quando si mostra alla squadra senza differenze di valori, quando parla un assistente è come se parlasse il capo allenatore!

L’assistente non deve, però, “solo” proporre soluzioni tecnico-tattiche ai problemi che si manifestano, ma, a mio parere, in alcuni determinati momenti,

deve anche favorire delle riflessioni, provocare cioè dei dubbi al capo allenatore.

Deve, quindi, alimentare e stimolare un confronto sulle idee dal quale deve uscire una sintesi che poi renda più forte le convinzioni e le scelte adottate.

È fondamentale non sbagliare i momenti.

Il capo allenatore è colui che decide, che si assume le responsabilità e le proposte o le considerazioni devono essere fatte prima della sua scelta, dopo di essa tutti devono lavorare nella stessa direzione affinché la resa sia la massima possibile.

Alla squadra va trasferita un’idea unica, consolidata e motivata!

Un aspetto del lavoro degli assistenti, in particolare di quelli più vicini al capo allenatore, che è meno tangibile e a volte sottovalutato, è il saper fare da connettori tra la squadra e il coach.

É un compito molto delicato, invece, che in alcune circostanze si manifesta attraverso il rafforzare i messaggi, sia tecnici che motivazionali, dell’allenatore nei confronti degli atleti, in altre raccogliendo i vari feedback proveniente dalla squadra.

Ed è qui che vorrei sottolineare come l’assistente debba anche avere la sensibilità per analizzare ciò che gli viene detto e filtrare i messaggi per l’head coach…

NON DEVE ESSERE UNA SPIA, NE’ DEVE ESSERE UN CONFIDENTE.

Deve capire ciò che è funzionale al raggiungimento dell’obiettivo comune, deve prevenire possibili problemi, risolverne altri.

L’Head Coach

E’ indubbiamente il capo dello staff.

head coach

Viene chiesto di:

  • prendere le decisioni e la responsabilità della gestione della squadra
  • coordinare il lavoro dei vari allenatori
    • come abbiamo visto non solo tecnico
  • deve dare una linea e stabilire un metodo di lavoro a cui tutti devono adeguarsi.
Leadership

Ritengo, però, che debba essere anche il LEADER della squadra, colui che non solo stabilisca le regole, ma che sia il punto di riferimento, non sia al di fuori del gruppo, ma parte integrante ed esempio per lo stesso!

Non deve necessariamente avere più conoscenze degli altri membri dello staff (pensiamo ad esempio, ma non solo, nei confronti del preparatore o del mental coach), ma deve avere una visione che sia Il 100% di ciò di cui ha bisogno la squadra.

Non può permettersi di non essere focalizzato sull’obiettivo comune, anzi deve avere la capacità di riportare eventualmente tutti sulla stessa “pagina del libro”.

Una dote importante è, per me, la sensibilità nel capire come e in che modo far rendere al meglio le risorse che ha a disposizione; le risorse non sono, ovviamente, solo i giocatori, ma anche i propri assistenti.

Come abbiamo detto in precedenza, essi hanno competenze e capacità diverse, fondamentale è metterli nelle migliori condizioni possibili per aumentarne l’efficienza.

Conclusioni

In ottica dell’obiettivo comune:

l’head coach potrebbe, per esempio, lasciare al proprio assistente la conduzione dell’allenamento settimanale o solo di alcune parti di esso.

La domanda

Potrebbe essere visto come un passo in dietro da parte del capo allenatore?

E’ un ottimizzare il lavoro e trasmettere alla squadra uno staff unito e completamente immerso nel raggiungere l’obiettivo.

Da leader deve sapere che uno staff coinvolto e contento del proprio ruolo è in grado di dare quel qualcosa in più che, in un lavoro dove ogni settimana c’è un confronto tra uomini prima che atleti e tecnici, può fare veramente la differenza.

di Sergio Luise

Il basket dei 24 secondi

Il basket dei 24 secondi

Parlando della pallacanestro di area FIBA si possano individuare alcuni turning points, ovvero alcuni cambiamenti regolamentari che hanno notevolmente cambiato il GIOCO.

La conseguenza è che ne sono state modificati gli approcci tecnici e tattici delle varie squadre e giocatori, nonché le strategie nella costruzione delle squadre.

Vediamo…

…quali sono, a mio avviso, quelli più determinanti.

Le modifiche nel tempo
  • 1984 introduzione del tiro da 3 punti;
  • 2004 il passaggio per i campionati FIBA dalla regola dei 30 secondi a quella dei 24 secondi.
    • Infatti, mentre in NBA, dopo un primo periodo in cui non vi erano limiti di tempo per concludere un’azione di attacco, nella stagione 1954/55 si decise immediatamente per i 24 secondi.
      • Nei paesi Europei, ma più in generale in quelli di area FIBA, ci fu prima il limite dei 30 secondi per poi adeguarsi alla regola NBA;
  • 2010 arretramento linea dei tre punti alla distanza di 6,75 mt e modifica delle dimensioni dell’area dei 3 secondi;
  • 2014 reset del cronometro a 14 secondi dopo un rimbalzo offensivo;
  • 2018 l’introduzione del concetto “passo zero”
    • ovvero la possibilità di compiere, in determinate circostanze, un passo senza mettere la palla a terra che non rientri nel conto per il fischio della violazione di passi.

Tralasciando per ora, ne parleremo magari nei prossimi articoli, i significativi effetti degli altri cambiamenti regolamentari (alla lista precedente aggiungerei anche l’introduzione dello “SMILE”).

Le conseguenze del cambiamento del limite di tempo

In queste righe vorrei sottolineare come il cambiamento del limite di tempo per l’azione offensiva abbia influenzato a tal punto la pallacanestro “moderna” da pensare ad un vero e proprio spartiacque!

Le conseguenze sono state diverse e di grande impatto.

Esse hanno riguardato per esempio:

  • la preparazione fisica;
  • la ricerca di giocatori con “nuove” caratteristiche fisiche e tecniche;
  • giochi di attacco più rapidi e più efficaci nei primissimi secondi;
  • difese più aggressive e con un grado di concentrazione più elevato e pronte da subito;
  • la costruzione dei roster delle squadre, in particolare l’utilizzo e l’importanza delle panchine (il cosiddetto SUPPORTING CAST).
Osservazioni personali

Parto proprio da quest’ultimo aspetto per condividere con voi alcune mie riflessioni.

La mia passione per questo sport è nata ben prima del 2004, quando le squadre erano composte da un quintetto base ben definito ed una panchina in cui era facile identificare il sesto uomo.

Quest’ultimo poteva tranquillamente far parte dello starting five, ma uscendo dal “pino” aveva un impatto sulla partita ancora maggiore tale da cambiarla.

Starting five
Foto di cottonbro

Il resto dei panchinari (il roster era di 10 giocatori) era soprattuto giocatori di ruolo (Role Player) con compiti ben specifici, spesso con mansioni chiaramente difensive, con l’obiettivo di far rifiatare il titolare e di supporto anche morale per i primi cinque.

In seguito l’evoluzione della pallacanestro ha influenzato la costruzione del roster.

Con la riduzione di ben 6 secondi per concludere un attacco, si è visto notevolmente velocizzare il gioco con una diminuzione dei tempi di esecuzione sia fisici che mentali, tale da richiedere sforzi più intensi con conseguenti riposi brevi ma più frequenti.

Ecco la necessità di avere 12 giocatori, ma soprattutto aumentare le cosiddette rotazioni e avere un maggior apporto dai giocatori definiti rincalzi.

Nasce anche una vera e propria nuova definizione, quella di “SECOND UNIT”, cioè quintetti che iniziano la partita subentrando, ma che hanno la possibilità di giocare diversi minuti e quindi essere determinanti.

Ovviamente parte tutto da un concetto di tempo ridotto, ma non è solo una questione fisica:

non invadendo competenze altrui, non credo di essere smentito dicendo che i lavori di endurance in pres-season sono stati sempre di più sostituiti da lavori più intensi e anaerobici e da una maggiore attenzione allo sviluppo della resistenza veloce.

Infatti essendo uno sport di situazioni, l’aspetto tecnico ha risentito in maniera importante di questo cambiamento.

Analizziamo più nel dettaglio alcuni effetti

COSTRUZIONE GIOCATORI

In giro per i campi europei, a tutti i livelli, si vedono sempre più dei veri atleti.

Giocatori che potrebbero competere in qualsiasi disciplina di atletica leggera per le loro capacità anche purtroppo a scapito di una tecnica e una conoscenza dei fondamentali non precisa.

Questo è il vero obiettivo dei nostri settori giovanili, ovvero formare giocatori che sappiano abbinare a doti fisiche e atletiche di primo livello una tecnica altrettanto eccellente.

Come?

Prima insegnando in maniera precisa il gesto, aumentando solo in seguito la velocità di esecuzione e di pensiero!

Sì di pensiero, perché il tempo per leggere la situazione e prendere una decisione si è notevolmente accorciato!

Facciamo solo un esempio pratico: Il tiro.

E’ fondamentale avere una tecnica che ci permetta di avere un rilascio della palla efficace ed efficiente, con la palla che esce dalle mani con la giusta rotazione e parabola, con la corretta coordinazione piedi, gambe, braccia e mani.

Ciò è possibile con ripetizioni e una metodologia di allenamento che gli allenatori ben conoscono.

E’ necessario, però, che, una volta acquisita la tecnica, essa venga eseguita in tempi rapidissimi.

  • Quanto tempo ha il giocatore per eseguire un tiro prima di essere ostacolato?
  • E quanto per mettere i piedi “a posto”?
  • Quanti tiri sono effettivamente liberi o senza la pressione del difensore?
  • Quanto tempo ha per decidere il tipo di tiro da effettuare in relazione alla situazione di gioco?

Pochissimo, sicuramente molto meno di quanto ne aveva con i 30 secondi a disposizione per concludere l’azione d’attacco.

Sicuramente ha meno libertà di movimento dovendo affrontare difese più atletiche che riempiono gli spazi molto più velocemente. (Basti pensare ai “CLOSE OUT”).

GIOCHI OFFENSIVI

Prima della variazione regolamentare era norma sviluppare giochi d’attacco nei cui primi secondi c’era soprattutto un movimento di palla non sempre accompagnato da quello dei giocatori, o comunque non tale da creare un vantaggio immediato da poter sfruttare andando a canestro o concludendo.

Il vero pericolo per le difese infatti arrivava negli ultimi secondi dell’azione

“la difesa deve lavorare il più tempo possibile”

Con i 24 secondi c’è stato uno sviluppo di set offensivi che dai primissimi istanti dell’azione permettono di mettere sotto pressione la difesa (concretizzare i vantaggi).

Alcuni consentono di raggiungere una conclusione dopo un solo passaggio e un movimento di un solo giocatore (si vedono sempre più isolamenti), altri hanno obiettivi chiari ed immediati che coinvolgono non tutti gli attaccanti (pensiamo a come nascono diversi pick&roll centrali).

Così come, (per necessità o per “pigrizia” di noi allenatori?), non è inusuale avere diverse chiamate dello stesso gioco a secondo del giocatore che vogliamo coinvolgere limitando, così, al minimo il tempo di esecuzione, ma anche la capacità di scelta dei nostri atleti.

Scelte che potrebbero rallentare l’esecuzione del gioco, con la conseguenza in questo caso, personale considerazione, di un impoverimento della qualità dell’attacco e del giocatore stesso.

Lo SWITCH tra le due fasi del gioco

Con un attacco pericoloso già nei primi secondi, con una ricerca sempre maggiore di attaccare in contropiede, attraverso anche transizioni offensive sempre più efficaci, è fondamentale avere giocatori in grado di passare da una fase all’altra immediatamente.

Da qui l’attenzione per le transizioni difensive e per costruire una mentalità difensiva che non sia passiva, ma anzi permetta di aggredire l’attacco nei primissimi metri del campo (con difese tutto campo, raddoppi, blitz sulla palla…)

In particolare le qualità atletiche di ormai tutti i giocatori, indipendentemente dai ruoli, e i meno secondi a disposizione dell’attacco, permettono di utilizzare cambi difensivi anche tra diversi ruoli.

Molto efficaci per spezzare il flusso in attacco e costringerlo a soluzioni rapide e meno efficaci, condizionato anche dalla SHOT CLOCK VIOLATION.

cambio difensivo
Le cosiddette SPECIAL PLAYS

Per le scelte difensive dette in precedenze, ma anche per gli ulteriori cambiamenti regolamentari (pensiamo il reset ai 14 secondi), non possono mancare nel playbook delle varie squadre quelle situazioni a gioco rotto o quelle rimesse, sia laterali che da fondo, per la ricerca di una conclusione veloce.

Ciò ha permesso una notevole specializzazione per queste chiamate “speciali”.

Conslusione

Il basket per sua natura e per come è stato ideato, è sempre incline ai cambiamenti, avvicinandosi a quelle che sono le richieste di modernità.

Si può tranquillamente affermare che sia uno sport “progressista”.

Così come lo devono essere tutti i suoi attori protagonisti, pronti ad adeguare la propria metodologia di lavoro, come abbiamo visto, sia dal punto di vista atletico che tecnico (non tralasciando il lavoro degli arbitri, a cui è richiesto di adattarsi ad un gioco più veloce e con più contatti).

In particolare con l’introduzione dei 24 secondi, il gioco ne ha sicuramente guadagnato in spettacolarità.

basket prima
da Ufficio Stampa FIP prima partita in Italia di pallacanestro (8 giugno 1919)

Sicuramente risulta essere più moderno e fruibile per un pubblico sempre più alla ricerca della giocata spettacolare e poco amante dei tempi morti.

Possiamo senza dubbio riconoscere e affermare che esista una pallacanestro ante e una post 2004.

di Sergio Luise

Caratterisctiche individuali giocatori

Le caratteristiche individuali

…dei giocatori avversari

Nell’articolo precedente ho trattato quella parte del lavoro di noi allenatori che riguarda la diffusione e la condivisione dei giochi avversari, le varie modalità in cui avvengono, gli obiettivi che ci prefiggiamo di ottenere e la collocazione temporale all’interno di una settimana lavorativa.

Come detto più volte, proposte molto soggettive.

In questo nuovo contributo vorrei porre l’attenzione, invece, sull’importanza che assumono le caratteristiche individuali dei giocatori avversari.

Individual skills / Stats

Buona parte, infatti, delle informazioni degli avversari che lo staff tecnico trasmette alla propria squadra, riguardano le cosiddette individual skills accompagnate dalle “stats”.

caratteristiche individuali

Le prime rappresentano non solo ciò che il giocatore “sa fare”:

  • quindi i suoi pregi e i suoi difetti dal punto di vista tecnico;
  • il suo ruolo tattico

“ma anche”:

  • ciò che egli rappresenta per la propria squadra;
    • se è un punto di riferimento in attacco o in difesa;
    • se è un leader o un gregario;
    • se è un “go to guy” o un “teamworker”.
teamwork
foto di Andrea Piacquadio

Ovviamente la visione delle partite è altrettanto importante come quando bisogna redigere il playbook della squadra avversaria ed è facilmente intuibile che, in questo caso, il numero delle partite visionate è di fondamentale importanza.

Poche potrebbero dare false indicazioni (fake news), mentre un numero adeguato ci permette di avere maggiore certezza nello scegliere cosa condividere con i propri atleti dei futuri avversari.

Spesso gioca un aspetto fondamentale la conoscenza diretta del giocatore e, se non è possibile riscontrarla all’interno dello staff, ecco che ritornano d’aiuto le telefonate fatte, magari, in passato con altri colleghi che ci permettono di aggiungere anche delle note caratteriali al profilo dell’avversario.

Le seconde, ovvero le statistiche, nel basket moderno acquistano anno dopo
anno, stagione dopo stagione, sempre più rilevanza.

Esse sono, non solo di supporto al giudizio circa l’efficacia, ma, grazie ai dati numerosi ed approfonditi che siamo mi grado di ricavare dai vari siti specializzati, anche indicative circa le abitudini dei singoli giocatori.

Esempio

oggi di un avversario possiamo sapere, con un’elevata accuratezza:

  • quante volte attacca il ferro con la mano destra;
    • quante con la sinistra;
  • in che percentuale utilizza quel tipo di conclusione
  • se è in uscita dal lato destro piuttosto che sinistro
  • cosa fa dopo un blocco
  • cosa preferisce fare negli ultimi secondi dell’azione e così via!

Tutto merito della famosa arte di scoutizzare una partita.

scouting

Vi sono colleghi all’interno degli staff tecnici che si sono specializzati in questo compito.

Il report

Ritorniamo ora al materiale che si sceglie di condividere con la propria squadra.

Come per i giochi avversari, non c’è una regola valida per tutti e per tutte le
situazioni.

Ogni staff ha le sue regole e abitudini, riporto le mie.

Nell’organizzare le informazioni da trasmettere alla squadra parto da una quasi certezza:

la prima voce del report che i giocatori vanno a guardare sono le stats degli avversari, in particolare dei giocatori che immaginano di dover marcare!

Ed è questo il motivo per cui è fondamentale la scelta e la modalità dei “numeri” che si propongono.

Essi devono essere di supporto e non dare cattive indicazioni, meglio
non fornirli se non siamo sicuri di ciò che evidenziamo!

Dobbiamo avere chiaro in mente il messaggio che vogliamo condividere e l’obiettivo che vogliamo raggiungere.

Report
  • Inutile sottolineare le buone percentuali di un giocatore da tre punti
    • se i suoi tentativi non sono significativi
  • Al contrario, è un errore non mettere in guardia sulla pericolosità di un tiratore che in carriera ha avuto sempre alte percentuali
    • magari meno fino a quel punto della stagione e quindi riportare anche i dati delle altre annate oltre a quella attuale.

Il sapere quali sono le soluzioni più efficaci a seguito di un preciso movimento o di uno schema, hanno più valenza di una “fredda” media aritmetica.

Il tutto deve essere coerente con le indicazioni che diamo per presentare le caratteristiche di un giocatore avversario e con le immagini che nelle varie riunioni presentiamo alla squadra.

non credo sia un messaggio chiaro riportare clip in cui un giocatore mostra una skill che statisticamente non è un dato significativo.

Organizzazione del report

Le indicazioni scritte preferisco siano dei flash, molto sintetiche, in stile linguaggio sms, devono catturare l’attenzione di una generazione abituata a vedere video più che leggere.

Le clips devono essere mirate, di ogni singolo giocatore.

Devono:

  • mostrare le caratteristiche principali, legate alle statistiche;
  • più brevi possibile
    • giusto il tempo d’ individuare il giocatore e di capire in che contesto tecnico e tattico si sviluppano;
  • mostrare anche i punti deboli
    • che messaggio diamo alla squadra se mostriamo solo canestri di un avversario?!.
Influenza della categoria del campionato

In un campionato di medio livello troveremo giocatori con qualità e difetti ben riconoscibili su cui speculare e dove la conoscenza specifica di ogni avversario può veramente fare la differenza e indirizzare il risultato di una partita.

Diverso il discorso quando il livello sale.

In questo caso dovremo confrontarci con giocatori dal talento elevato con un bagaglio tecnico importante e completo, magari roster molto lunghi e con infinite possibilità.

Nel primo caso credo che il tempo da dedicare al trasferimento delle informazioni individuali debba coprire una fetta importante del lavoro di uno staff.

Credo sia importante coinvolgere i singoli giocatori informandoli il prima possibile dei propri diretti avversari, farlo nei primissimi giorni della settimana dedicati alla squadra avversaria, anche prima dei riferimenti agli schemi.

Nel secondo caso, invece, si parla di limitare la pericolosità di un avversario, magari necessita di un lavoro di squadra piuttosto che singolo, non si parlerà più di speculare sui difetti, ma bensì di accorgimenti tattici, di una difesa di squadra e quindi di collaborazioni.

giocatore
Foto di Wallace Chuck

É opportuno, quindi, informare e coinvolgere tutta la squadra, operare delle scelte di cui siano consapevoli tutti i giocatori dedicandovi del tempo sul campo importante.

Conclusione

In ogni caso, alla base di qualsiasi ragionamento e programmazione, non bisogna mai dimenticare che la pallacanestro è un Gioco di squadra, per il sottoscritto la più alta espressione.

Non si vincerà o perderà mai per un solo giocatore, ma ricordare, invece, che il valore di un gruppo coeso è sempre superiore alla somma dei valori dei singoli giocatori.

di Sergio Luise

Novità

Novità!

Siamo davvero onorati di annunciare,  ai tanti visitatori del nostro blog, che uno dei più stimati professori del mondo sportivo ci ha regalato la possibilità di pubblicare i suoi pensieri, riflessioni o osservazioni.

E’ una grande gioia  confermare che la nostra biblioteca virtuale si arricchirà di articoli firmati dal prof. Maurizio Mondoni.

Maurizio Mondoni. nato a Cremona, è:

Oltre ad essere professore universitario nei corsi di laurea in Scienze motorie e scienze della formazione è collaboratore di diverse testate giornalistiche sportive e riviste specializzate di:

  • Minibasket e di Pallacanestro
  • riviste di didattica
  • Metodologia dell’insegnamento
  • allenamento, di Gioco e Animazione Motoria
  • biomeccanica.

Relatore di numerosi:

Allenatore di squadre di basket maschili e femminili e:

autore di moltissimi libri

Mondoni - io sto con i bambini

Un ringraziamento da tutti noi

Trentesimo anno

30 – Trenta

È giunto anche per me l’anno n. 30.

Ho speso questi anni in palestre, campi di calcio, di tennis, di pallacanestro, piscine e piste di atletica leggera con bimbi, ragazzi e adulti, prestando il mio umile servizio di educatore – istruttore e preparatore fisico.

È stato, è e sarà sempre bello poterlo fare fin quando sarò in condizione. 

Quest’anno, più che mai, sento l’esigenza di condividere con tutti i miei amici e chi segue il mio blog, l’inizio del nuovo anno sportivo.

Dopo tanti campionati vissuti con lo Scafati basket, sarò il preparatore fisico della Virtus Arechi Salerno società che con la sua professionalità, organizzazione, serietà e voglia di crescere è riuscita a darmi i giusti stimoli e la giusta adrenalina.

Allenare i miei atleti  mi rende sempre più voglioso di programmare, sperimentare e rendere i loro allenamenti quanto più efficienti e funzionali possibili.

Ancora una volta  è ora di scendere in campo . 

Riunione tecnicaRiunione tecnica

Funzionalità di una riunione tecnica…

…tra staff e giocatori

L’argomento che il nostro coach, Sergio Luise, tratterà fa parte di un aspetto del lavoro di allenatore professionista che meriterebbe diversi approfondimenti, ognuno dei quali potrebbe essere il principale tema di
successivi articoli.

Sergio dice che:…

“Si potrebbe, infatti, riflettere sull’effettiva funzionalità di trasmettere ai giocatori i report tecnici della squadra avversaria, cosa trasmettere,
quando trasmettere e ovviamente come trasmetterli”.

La mia opinione

A volte si attribuisce troppa importanza, da parte di noi allenatori, alla condivisione con i giocatori di ciò che fanno gli altri.

Già nell’organizzazione della settimana durante la pre-season diverso spazio viene riservato a quelle che noi chiamiamo riunioni tecniche, ovvero, lo sharing di clips, prontamente realizzate dallo staff, alla squadra.

Clips che possono essere di natura diversa:

  • degli allenamenti;
  • della propria squadra durante una partita;
  • individuali dei propri giocatori;
  • individuali riferite alla squadra avversaria.
Condivisione clip

Sono proprio quest’ultime che permettono ai propri giocatori di conoscere il più possibile degli avversari, sia dal punto di vista tecnico che tattico.

Ogni stagione, nel programmare il lavoro settimanale, mi faccio alcune domande:

  • cosa facciamo vedere alla nostra squadra degli avversari?
  • In che momento della settimana?
  • Quanto tempo dedicare a cosa fanno gli altri?
  • Cosa voglio che memorizzino da utilizzare durante una partita?

Non si hanno risposte univoche

  1. Dipende dal tipo di roster che si ha a disposizione;
  2. Dal livello di conoscenza della pallacanestro dei propri giocatori
    • (magari una squadra esperta riconosce più facilmente le situazioni di gioco);
  3. dal vissuto insieme della propria squadra
    • (una squadra nuova ha probabilmente più bisogno di lavorare sulle proprie situazioni).

Ci sarebbe, appunto, da scrivere diversi articoli per esprimere meglio i vari punti di vista!

Idea su come agevolare la memorizzazione delle situazioni di gioco d’attacco della squadra avversaria.

Il grosso del lavoro è ovviamente svolto dallo staff nei giorni precedenti, spesso anche nella settimana precedente, rispetto al momento in cui si decide di esporlo alla squadra.

Dopo aver analizzato diverse partite, si esegue lo scout dei giochi degli avversari, si opera dello screening e si decide cosa proporre.

Normalmente è la seconda parte della settimana il momento in cui vengono trasferite le informazioni, anche se personalmente, preferisco, dalle primissime ore di allenamento, estrapolare un paio di situazioni di attacco degli avversari e lavorarci su

(in questa fase parliamo di lavori a secco, arrivando al massimo al 2 vs 2, senza specificare le chiamate o l’intera esecuzione del gioco!).

In pratica si lavora su PRINCIPI.

Foto di Mídia
Entriamo, ora, nel vivo del trasferimento delle informazioni ai giocatori

Ogni allenatore, ogni staff tecnico, ha un suo modus operandi, per me, come dicevo prima, molto dipende anche dal tipo di squadra che si sta allenando.

Primo momento

Preferisco, a metà settimana, lavorare in maniera analitica (non oltre il 4 vs 4) “spezzettando” i giochi avversari e focalizzando l’attenzione dei miei giocatori solo sul movimento:

Pick & roll
Pick & roll – May 3, 2015; Oakland, CA, USA; Golden State Warriors forward Draymond Green (23) sets a screen on Memphis Grizzlies forward Tony Allen (9) as guard Klay Thompson (11) dribbles the ball during the first quarter in game one of the second round of the NBA Playoffs at Oracle Arena. Mandatory Credit: Cary Edmondson-USA TODAY Sports

mostrando loro come si arriva alla situazione tattica.

Mi piace, se le condizioni lo permettono, mostrare con le clips quello che poi andremo a proporre sul campo.

Non chiedo loro di memorizzare la chiamata, né tutta l’esecuzione, ma chiedo la massima attenzione sulle nostre scelte tattiche riguardo all’obiettivo del gioco.

Se voglio fare più riunioni video alla settimana, preferisco siano molto brevi, obiettivo memoria visiva!

Secondo momento

Avvicinandoci al giorno della partita mostreremo loro i giochi scelti in maniera completa, tutta la loro esecuzione e il loro sviluppo.

La riunione sarà più lunga, può anche presentare giochi non provati precedentemente, enfatizzando però sempre l’obiettivo del movimento offensivo.

Sul campo lavoreremo 5 vs 5.

Tutti i giocatori proveranno attacco e difesa, mostrando le varie opzioni del set offensivo.

Rinforzeremo le nostre scelte anche facendo riferimento alle caratteristiche individuali degli avversari, dando gli accoppiamenti.

In questo caso si chiederà al giocatore di memorizzare anche la chiamata.

Di quanti giochi?

Avendo lavorato molto per obiettivi durante la settimana non voglio siano troppe le chiamate da ricordare,

preferisco un maggior sforzo circa il riconoscere la situazione di attacco e quindi operare la scelta difensiva allenata!

In ogni caso, dalla prima riunione incentrata sui giochi avversari, si fornisce anche del materiale in cui vengono disegnati i movimenti avversari, oltre a ritrovarli nello spogliatoio affissi nelle varie bacheche.

Conclusione

All’inizio della mia carriera l’unico metodo era distribuire del materiale cartaceo, dove oltre i disegni vi erano anche spiegazioni circa le varie scelte.

Ora si utilizzano applicazioni, software, che permettono lo sharing dei montaggi video (lavoriamo sempre di più con giovani abituati più a vedere che a leggere.. è fondamentale adeguarsi!).

Questa è solo una proposta di lavoro.

Proposta da modellare sulle qualità degli avversari e soprattutto sulle capacità della propria squadra, ma mi piacerebbe, invero,

Condividere riflessioni
Foto di Amine M’Siouri

suscitare delle riflessioni su quanto sia utile il mostrare ciò che fanno gli altri, su quale aspetto tecnico/tattico mettere maggior attenzione (magari più spazio alle caratteristiche individuali?!) e su quanto tempo della nostra settimana dedicargli.

di Sergio Luise

Time out

Il Time out nel basket

“Chiama un time out!”, “quando lo chiami il time out?!”.

Sono tra le frasi più urlate dagli spettatori a noi allenatori durante la partita, a testimonianza dell’importanza che lo stesso pubblico
attribuisce a questo aspetto del GIOCO.


Facciamo però un passo indietro.

Il significato sportivo del termine Time Out è sospensione del tempo, ed era proprio questo il motivo per cui fu inserito nelle regole del nostro sport,
ovvero dare la possibilità di riposo ai giocatori.

Era quindi una pausa momentanea dal GIOCO.

L’evoluzione della pallacanestro ha reso, invece, questa interruzione del “giocato” una fase concreta della partita, tanto da essere un’arma tattica che tutti noi allenatori dobbiamo essere in grado di sfruttare a pieno.

Il primo aspetto da tener conto è il numero di time out che ogni squadra ha a disposizione.

Excursus tra i vari campionati.
Logo della Federazione Internazionale Pallacanestro

Area FIBA

  • Si hanno un massimo di 5 time out di 60 secondi per ogni team.
  • Sono così distribuiti: 2 nei primi 2 quarti e 3 nei secondi.
  • Negli ultimi 2 minuti della partita se ne possono chiamare massimo 2, più un altro per ogni eventuale supplementare.
  • E’ solo la panchina (allenatore o vice allenatore) a poterlo chiamare.

NBA

  • La situazione è molto diversa.
  • Si hanno un massimo di 7 time out per squadra, ognuno con durata di 75 secondi.
  • Possibilità di chiamare massimo 2 time out negli ultimi 3 minuti, più altri 2 per ogni eventuale supplementare.
  • Oltre la panchina (allenatore o vice allenatore) la richiesta può avvenire anche direttamente dal giocatore che possiede la palla.

Attenzione però, secondo la regola “televison time out“, durante ogni quarto ad ogni squadra viene obbligatoriamente assegnato un time out per ragioni televisivi anche se non chiamato dalle squadre stesse!

Proprio la gestione del numero dei time out, comporta una prima decisione strategica da parte dello staff.

È fondamentale, infatti, avere sempre ben presente quanti ne restano a disposizione, ipotizzando un loro utilizzo nei momenti decisivi della partita.

Questa scelta dipende molto dal feeling che lo staff tecnico ha con la partita e con i momenti di essa, rimanere senza può costare il risultato finale.

Quando chiamarlo?

Non c’è un’unica risposta a questa domanda.

  • Può esserci la volontà di modificare il ritmo della squadra avversaria, interrompendo per esempio un break positivo, ma può anche essere la soluzione per cambiare tatticamente delle scelte che non pagano e che hanno bisogno di essere mostrate con “calma“.
  • Altro significato è il time out chiamato in prossimità degli ultimi secondi di un quarto o per gestire meglio il possesso previa una violazione di tempo, in cui sfruttando una rimessa a favore si mostrano alla squadra le cosiddette situazioni speciali (a.t.o. plays).

Non sempre però la tattica è la protagonista della sospensione, ci sono time out il cui obiettivo è essenzialmente psicologico, dare una scossa ad una squadra o a singoli giocatori in difficoltà.

E’ in questo caso che la conoscenza dei caratteri dei propri uomini è fondamentale per andare a toccare le giuste corde per avere una reazione.

C’è chi ha bisogno del bastone e chi della carota!

La mia esperienza

Nella mia esperienza da assistente ho lavorato con head coach ai quali piaceva avere un mini time out con l’intero staff prima di comunicare con la squadra, richiedendo quindi sintesi e chiarezza nell’esposizione delle idee proposte, altri invece volevano avere tutto chiaro prima di rivolgersi al tavolo per chiamare la sospensione.

Da capo allenatore io ho sempre preferito la prima soluzione, sfruttavo quel momento anche per lasciare dei secondi sola la squadra affinché parlassero tra loro.

Sergio Luise 3
Sergio Luise in un time out

Non raramente, se c’è un’intesa consolidata all’interno dello staff, il capo allenatore lascia condurre il time out al vice, soprattutto se l’indicazione da presentare alla squadra è un’idea dell’assistente.

Importante, comunque, che non ci sia un un’accavallarsi di voci. I giocatori in quei pochi secondi devono avere la massima concentrazione, recepire poche cose ma chiare.

Peggio di non avere time out a disposizione è averlo ma con una squadra che ritorna in campo confusa!

Strategie

Alcune volte si sfruttano i pochi metri che separano le panchine dal campo per suggerire all’orecchio del giocatore le ultime indicazioni mentre il tavolo ha fischiato la fine della sospensione.

Fondamentale ottimizzare tutti i secondi!

Ci sono allenatori, poi, che:

  • preferiscono sedersi.
  • Altri che guardano negli occhi i propri giocatori prima di parlare.
  • Altri che utilizzano solo raramente la lavagnetta.
Conclusione

Ognuno ha la sua tecnica e il suo modus operandi, l’importante è organizzare e sapere cosa si vuol trasmettere in quel momento, senza lasciare nulla all’improvvisazione o chiamare il time out perché lo chiede il
pubblico.

Bisogna sempre essere consapevoli di ciò che si sta facendo.

“Finalmente lo hai chiamato!!”…direbbe qualcuno dagli spalti…

di Sergio Luise