Cari colleghi, cari lettori con le festività è giunto il momento degli auguri.
Non è nostro stile…
Cari colleghi, cari lettori con le festività è giunto il momento degli auguri.
Non è nostro stile…
…ricorrere a frasi retoriche o banali.
Di cuore auguriamo ad ognuno, di trascorrere momenti di serenità, visto il periodo di difficoltà ed incertezza dell’anno appena trascorso.
Colgo l’occasione per comunicare che i nuovi articoli saranno a vostra disposizione dal 13 gennaio 2022.
Proporremo settimanalmente articoli già pubblicati ma sicuramente sempre attuali.
Sono molti gli studi in merito alle differenze tra maschi e femmine.
Adie Golberg sostiene che…
…già durante la prima infanzia è possibile individuare oltre cento differenze tra i maschi e le femmine:
la differenza riguarda i due emisferi cerebrali.
Oggi si conosce che in entrambi i sessi la parte sinistra è specializzata nel linguaggio e nelle funzioni logiche, mentre quella destra è specializzata nelle funzioni emotive, affettive e percettive.
I due emisferi sono collegati da un ponte di fibre nervose che consente ai due emisferi di scambiarsi le informazioni.
Ultimamente alcune ricerche hanno dimostrato che questo ponte nelle femmine è molto più voluminoso rispetto ai maschi e ciò comporta una maggiore integrazione tra le funzioni dei due emisferi e quindi una loro minore reciproca autonomia.
Questo permette alla femmina di mutare più facilmente i propri punti di vista e di interagire meglio con l’ambiente.
La femmina utilizza in misura maggiore l’emisfero destro che le permette di compiere azioni mentali in parallelo ed è più legato alla sfera emozionale e al linguaggio analogico.
E’ sicuramente più intuitiva del maschio perché il suo cervello è meno rigido del maschio.
Le femmine hanno la capacità di riconoscere azioni intuitive in soli 200 millisecondi, mentre i maschi sono molto più lenti.
Da studi recenti risulta che le femmine utilizzano entrambi gli emisferi, mentre i maschi ne utilizzano uno solo:
La femmina nello spostarsi nello spazio ha bisogno di punti di riferimento mentre il maschio riesce spesso ad andare a intuito.
Le femmine sono migliori dei maschi nelle funzioni del linguaggio, mentre i maschi sono più dotati delle femmine per:
La femmina è molto più resistente del maschio:
Purtroppo sono i genitori a differenziare maschi e femmine, imponendo una differenza culturale (es. giocattoli, giochi e giochisport per i bambini e per le bambine).
E’ una questione di cultura motoria e sportiva!
Per quanto riguarda il Minibasket a 6 anni esistono già differenze e disparità tra maschi e femmine.
La bambina ha minori disponibilità per quanto concerne la coordinazione senso-motoria, specialmente negli aspetti dinamici (ricevere e passare la palla in movimento) e per quanto riguarda la coordinazione dinamica generale.
La femmina durante il gioco è più fantasiosa, può percepire una serie di variabili e spesso prende decisioni importanti con un’alta probabilità di successo.
Nei gruppi misti le femmine sono meglio dei maschi dal punto di vista motorio, fanno amicizia più facilmente anche con i maschi (che non vogliono assolutamente giocare con le femmine), i maschi invece sono più aggressivi, scoordinati e impulsivi.
Le femmine possiedono una maggiore mobilità articolare e un miglior equilibrio rispetto ai maschi, sono meno coordinate dei maschi per quanto riguarda il lanciare e il ricevere.
Hanno paura del contatto e del “touching” sulla palla, sono meno aggressive dei maschi, sono uguali ai maschi per quanto riguarda il controllo della respirazione e la strutturazione spazio-tempo.
Fino a 11 anni la differenza tra maschi e femmine, per quanto riguarda la forza, è minima, poi a partire da quest’età l’incremento è maggiore nei maschi.
Dopo la pubertà i maschi hanno in media una forza che è di circa il 40% superiore a quella delle femmine.
In Italia negli ultimi anni c’è stata una limitazione nell’avviamento delle bambine al Minibasket, in quanto ritenuto dai genitori un giocosport adatto ai maschi e per molte famiglie per le femmine è meglio la pallavolo, la danza, la ginnastica artistica, il pattinaggio, ecc.
E’ un discorso culturale, l’attività sportiva è per tutti, maschi e femmine indiscriminatamente!
Molte regioni “faro” nel Minibasket e nel basket giovanile femminile negli anni ’80-’90 e 2000:
oggigiorno hanno pochissime “adepte”, il Minibasket femminile e il basket giovanile non sono più “appetibili” e sicuramente non si risolve il problema con:
Cara Federazione Italiana Pallacanestro fai qualcosa, rivaluta il Minibasket e il basket femminile, non sono di serie B!
Al posto dei progetti …
La vita dell’atleta agonista non è affatto semplice, soprattutto quando va coniugata con la scuola/università o il lavoro.
A volte le difficoltà sono tali che i ragazzi gettano…
…la spugna e abbandonano uno dei due percorsi.
Molto spesso la scelta è obbligata dall’atteggiamento dei loro superiori:
che non fanno il minimo sforzo per comprendere le criticità di una dual career
né per venire loro incontro concedendo flessibilità sufficiente per conciliare le due vite.
Nel mondo della scuola, anche del lavoro, l’ostacolo maggiore all’integrazione degli studenti-atleti è rappresentato dai pregiudizi nei loro confronti.
È molto diffuso il cosiddetto stereotipo “dell’atleta stupido”: la maggior parte dei professori cioè pensa che se un ragazzo si impegna tanto nello sport, allora lo studio non fa per lui.
Il pensiero inverso è diffuso tra gli allenatori, i quali pensano che se si dedica troppo alla scuola, non riuscirà a prepararsi a sufficienza per le gare.
Nessuna!
Anzi si potrebbero fare molti esempi che è vero il contrario.
Si tratta, quindi, di una convinzione culturale, a priori e profondamente sbagliata, diffusissima in Italia, che impedisce una dual career serena.
Un’altra credenza diffusa riguarda l’idea del “favoritismo”.
Finalmente negli ultimi anni a livello ministeriale sono stati presi dei tiepidi provvedimenti per sostenere gli studenti-atleti, ma molti docenti e dirigenti ostacolano i progetti perché li vedono come un favoritismo rispetto agli studenti che portano avanti un solo percorso di vita.
Prendendo in esame alcuni importanti documenti, è facile dimostrare come questa idea sia scorretta e che, al contrario, gli studenti-atleti si vedono negati i propri diritti di esseri umani, cittadini e studenti.
La “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani” delle Nazioni Unite, all’articolo 26 comma 1, recita:
“Ogni individuo ha diritto all’istruzione”,
e al comma 2,
“L’istruzione deve essere indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana e al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.”
Il diritto allo studio è definito come diritto di tutti, ma la verità è che nella quotidianità non è riconosciuto ai giovani atleti poiché, senza la comprensione di dirigenti scolastici e professori, spesso sono costretti a compromettere la loro istruzione per raggiungere i vertici nello sport.
Passando alla nostra Costituzione all’articolo 3, comma 2, è scritto che
Ne consegue che ogni individuo è libero di perseguire il proprio sviluppo come meglio crede senza per questo essere discriminato.
Ancora, l’articolo n. 34,
“la scuola è aperta a tutti”,
introduce il principio di uguaglianza di opportunità educative, a prescindere da qualsiasi differenza.
Purtroppo nella realtà avviene di frequente che gli atleti vengano discriminati per la loro scelta di vita, spesso proprio dalle figure che maggiormente dovrebbero sostenerli (insegnanti, allenatori, datori di lavoro).
La Legge di Riforma 53/2003 sottolinea il diritto di tutti gli alunni alla personalizzazione dei percorsi di apprendimento.
Di nuovo, si tratta di un diritto del quale devono godere tutti gli studenti, nessuno escluso.
È possibile rintracciare anche norme più specifiche come la direttiva del 27 dicembre 2012 che
I cosiddetti BES sono ragazzini che si trovano a vivere, per un tempo più o meno lungo e per qualsiasi motivo, una situazione che li ostacola nell’apprendimento e nello sviluppo.
Gli studenti-atleti rientrano a pieno titolo in questo gruppo di allievi.
La dual career, infatti, è un percorso che, sebbene comporti molti benefici, si accompagna anche a notevoli difficoltà le quali, se non adeguatamente fronteggiate, possono tradursi in disagio psico-fisico e/o in abbandono della carriera scolastica o sportiva.
Nonostante ciò ancora oggi l’inclusione viene in genere rivolta soltanto agli allievi che presentano svantaggi motori e/o cognitivi, economici o sociali.
Al contrario, come definito nell’ Index per l’inclusione:
“l’inclusione si riferisce all’educazione di tutti i bambini, ragazzi con BES e con apprendimento normale”
perciò ne consegue che la scuola deve essere un ambiente che risponde ai bisogni di tutti i suoi utenti.
Ogni ragazzo deve avere il diritto di sviluppare tutte le sue potenzialità, mentali ma anche pratiche, fruendo allo stesso tempo dei percorsi didattici grazie ai quali potrà godere di un positivo inserimento nel tessuto sociale, civile e lavorativo.
Infine, se per gli alunni stranieri o con svantaggio socio-economico è riconosciuta e prevista a livello nazionale la stesura di un Piano Didattico Personalizzato, gli atleti, che godono degli stessi diritti di qualsiasi altro studente, devono avere la possibilità, non passeggera e legata a una sperimentazione come accade attualmente, di vedersi redatto un Progetto Formativo Personalizzato.
In modo che individui tutte le criticità della loro condizione, a partire dalle assenze superiori alla media fino ad arrivare al tempo limitato da spendere nello studio individuale.
La richiesta di maggiore comprensione e flessibilità in presenza di una doppia carriera non nasce dal desiderio di avvantaggiare gli sportivi ma ha come obiettivo quello di rispettare le leggi italiane, restituendo loro quello che è un diritto di tutti gli allievi:
E’ il momento di entrare nell’ambito delle dinamiche collaborative all’interno dello staff nei vari periodi dell’anno.
Su ogni obiettivo di “mercato” cerco di incrociare informazioni, valutazioni (frutto di esperienze sul campo o di scouting video approfondito) ed idee con i miei assistenti per quanto riguarda la parte tecnica e col mio preparatore per gli aspetti fisico-atletici.
Centrati gli obiettivi si passa ad una fase estremamente approfondita di conoscenza delle caratteristiche tecniche dei giocatori che formeranno la squadra.
Laddove possibile, per ogni giocatore, cerco col mio staff di scoutizzare più di un’annata e di individuare tutte quelle soluzioni che, inserite in un contesto collettivo, possano esaltarne le prestazioni individuali.
Sempre attraverso la collaborazione di tutti si fanno le scelte relative agli attacchi da utilizzare, ai concetti difensivi e, più in generale, alle regole che dovranno diventare patrimonio della squadra.
Quello che nasce in questa fase va comunque testato sul campo e non bisogna esitare a tornare sui propri passi nel caso ci si accorga che qualcosa è migliorabile o addirittura sbagliata.
Contestualmente si lavora per organizzare il precampionato.
Con l’intero staff:
A proposito dei carichi di lavoro vorrei focalizzare un aspetto che differenzia di tanto la realtà del basket attuale da quella di ieri.
E’ innegabile che aumentare i carichi in certi periodi del precampionato possa inficiare il rendimento tecnico in alcune partite amichevoli ed a volte si rischia davvero di avere la squadra talmente “imballata” da subire sonore lezioni.
Questo ieri rappresentava un fattore di minimo rischio mentre oggi, nell’era del tutto e subito, può aprire profonde lacerazioni nel rapporto tra allenatore e club.
Io credo che il coach debba avere ben chiaro quello che è l’obiettivo finale senza farsi condizionare troppo ma è innegabile che il problema spesso esiste per cui sono convinto che vada fatto un ragionamento con se stessi per stabilire se e fino a che punto si sia in grado di gestire situazioni simili.
La prima settimana di lavoro è solitamente conforme a quella prestabilita ma è frequente l’esigenza di dover attualizzare le settimane successive in base ad una serie di criteri come:
Inizia la fase più tattica.
Lo scouting degli avversari e la preparazione delle partite rappresentano una parte fondamentale e spesso decisiva del lavoro di staff.
Credo che il basket sia molto cambiato rispetto a un decennio fa o più.
Prima era frequente incontrare squadre capaci di fare scelte difensive diverse sulle stesse situazioni a seconda del giocatore, del lato di campo e di altri parametri di volta in volta analizzati.
Oggi questo è impossibile per l’eterogeneità anagrafica dei giocatori che compongono la squadra e per il processo di crescita tecnico-tattica degli stessi.
Credo sia molto più efficace avere poche regole, precise e facilmente metabolizzabili.
Di partita in partita si faranno piccoli adattamenti senza mai uscire dalle regole.
Sulla base di questo concetto va impostato il lavoro di scouting e di valutazione delle scelte con gli assistenti ed il preparatore
In queste due fasi, PRECAMPIONATO e CAMPIONATO, il lavoro di staff si sviluppa in tre momenti differenti:
L’assistente addetto deve visionare almeno due gare dei prossimi avversari e produrre un report video che mi piace avere a disposizione subito dopo la partita precedente.
(Durante la settimana va scremato e mostrato alla squadra nella forma più breve e impattante possibile).
Deve contenere tutti gli attacchi usati in transizione e metà campo (da questi si estrapoleranno i 4/5 più usati su cui si lavorerà durante la settimana), le scelte difensive della squadra analizzata e le caratteristiche dei giocatori.
A volte, se le circostanze lo richiedono, è opportuno produrre un video su se stessi.
Personalmente reputo che questo non vada fatto sistematicamente ma solo se c’è da enfatizzare qualche aspetto estremamente importante sia in negativo per correggere che in positivo per rafforzare la fiducia in qualcuno o qualcosa.
Con lo staff vanno valutate e decise le scelte tecnico-tattiche e programmata la settimana di lavoro.
Di giorno in giorno vanno preparati i piani di allenamento.
Infine, sulla base delle scelte tattiche e delle relative verifiche sul campo, si appronta il piano di partita definitivo.
Gli assistenti devono conoscere a fondo il piano di allenamento e condurne parte a seconda delle capacità di ognuno.
Entrambi gli assistenti sulle 2 metà campo ed il primo assistente sul lavoro a tutto campo.
Il preparatore fisico avrà il proprio spazio in fase di attivazione e in eventuali lavori differenziati.
E’ ovvio che la profondità degli interventi degli assistenti dipenderà dalle capacità ed esperienza degli stessi.
Questo sia negli allenamenti di squadra che negli individuali e in quelli a gruppi per ruolo.
Se si hanno assistenti all’altezza si può anche assegnar loro la preparazione e lo sviluppo di una singola tematica tattica durante il corso dell’intero anno.
Lo conduce il preparatore o solo un assistente, sempre lo stesso.
Chiedo agli assistenti di parlarmi costantemente comunicando osservazioni e idee.
La stessa cosa dovrà fare il preparatore relativamente alla sfera fisica e alla fatica che “vede sulla faccia dei giocatori”.
Si può anche assegnare ad ogni assistente il compito di guardare l’attacco o la difesa e, contestualmente, la redditività dei nostri attacchi e quella degli avversari.
Indicativamente:
Ribadisco di essere assolutamente conscio che non in molte realtà è davvero possibile creare uno staff totalmente in grado di rendere pratiche le idee che ho esposto.
Io stesso, pur avendo avuto la fortuna di collaborare spesso con assistenti e preparatori di buon livello, non ho sempre avuto la possibilità di lavorare con uno staff completo.
Lapalissianamente concludo,
Tanti anni da capo allenatore di squadre senior hanno fortificato in me la convinzione che avere uno staff tecnico di alto livello sia la base imprescindibile per impostare una o più stagioni proficue per il mio lavoro,…
…per il lavoro dei miei collaboratori, per il miglioramento tecnico-fisico dei giocatori che ho a disposizione e per l’ottenimento dei risultati che ogni club legittimamente si aspetta.
Cosa siamo noi allenatori se non manager a cui viene richiesta la capacità di saper utilizzare al meglio le risorse umane che gli vengono messe a disposizione ?
Usare le capacità tecniche dei giocatori, per dare un gioco alla squadra, che non sia solo imposto ma che prenda spunto da ciò che i tuoi giocatori sanno fare meglio, è l’unico modo, a mio modo di vedere, per riuscire ad ottenere un risultato tecnico il più vicino possibile al reale potenziale della squadra.
Allo stesso tempo, saper utilizzare i componenti dello staff, secondo le proprie attitudini e fornendo loro le giuste motivazioni che nascono dal reale coinvolgimento nelle scelte e nel lavoro quotidiano, è la via migliore per far si che chi collabora col coach diventi un reale valore aggiunto.
Per ultimare il discorso generale prima di entrare nel merito, vale la pena specificare che le condizioni di professionalità e di organizzazione delle società per cui si lavora sono talmente diversificate.
E’ impossibile per me dare dei concetti comuni a tutti per cui mi limiterò ad indicare i criteri che ho seguito nelle mie esperienze lavorative.
Ho sempre cercato di avere al mio fianco persone conosciute direttamente o attraverso le informazioni di colleghi.
Non sempre è possibile portare con sè uno o più componenti dello staff.
E’ quasi sempre possibile, però, conoscere a fondo i collaboratori che una società ti propone attraverso le loro esperienze pregresse.
Vanno, comunque, valutate anche sulla base delle proprie idee sulle persone che forniscono le informazioni.
Costruire una buona rete informativa è un aspetto fondamentale del lavoro di un allenatore perché può fornire i mezzi per poter scegliere un giocatore o un collaboratore riducendo al minimo la possibilità di errore.
I ruoli fondamentali per formare uno staff che sia in grado di coprire la totalità degli aspetti necessari sono tre, anche se qualcuno ha la fortuna di poterlo arricchire di ulteriori figure funzionali alla logistica dell’allenamento (appoggi, videoripresa, scouting ecc.).
Nell’ordine (non di importanza) sono:
La caratteristica comune che cerco nei due assistenti è essenzialmente riferita ad una buon livello di conoscenza tecnico-tattica mentre per tutte le altre qualità mi baso su criteri di complementarietà.
Almeno uno dei due deve:
Nella ricerca del preparatore tendo a guardare, con molto interesse,:
Questo ultimo aspetto è secondo me essenziale.
Tanti anni di carriera mi hanno insegnato che qualsiasi allenatore/preparatore che si rispetti è portato ad “accaparrarsi” più ore di allenamento possibili a scapito dell’altro aspetto del lavoro.
Saper mediare con razionalità evita squilibri dannosi e ottimizza la qualità del lavoro.
Tutto quello che ho scritto in relazione alle competenze ed alle qualità che cerco nei miei collaboratori è importantissimo:
Nella seconda parte dell’articolo, che pubblicheremo la settimana prossima (giovedi 2 dicembre 2021), si entrerà nell’ambito delle dinamiche collaborative all’interno dello staff nei vari periodi dell’anno.
L’argomento è dibattuto da tempo senza che vengano individuate con una certa precisione modalità ed effetti.
Spesso si tira in ballo la scuola come organo maestro nell’inculcare i principi dell’educazione, ma…
…non sempre l’istituzione scolastica dà del tu allo sport in quel rapporto virtuoso tra educatori sportivi ed alunni.
E allora il problema di recuperare una adeguata “cultura sportiva” lo si tira in ballo ogni volta che assistiamo ai fischi dell’inno nazionale della squadra avversaria o a imprecazioni razziste nei confronti del giocatore che ha una pelle differente da quella a cui si è abituati a vedere a queste latitudini.
Se invece sei un praticante o un addetto ai lavori, come si usa dire, cultura dello sport vuol dire anche la capacità di individuare i tuoi limiti per sapere come e dove intervenire.
Di saper riconoscere la superiorità dell’avversario, la consapevolezza assoluta ed indistruttibile che nulla si ottiene senza un duro lavoro.
Se fai parte di questo mondo sai benissimo che non c’è nulla che si possa anteporre al riconoscimento del merito – ovvero di quella nozione che nel resto della società italiana viene completamente ignorata.
Insomma, lo sport è – o dovrebbe essere – “un’altra cosa”.
È sempre stato così.
Ci dovrebbero essere variabili talmente obiettive da impedire scorciatoie o facilitazioni per chi non ha le caratteristiche per andare avanti, come, in genere accade in altri contesti a cominciare dalla politica, ma non solo.
Ma chi dovrebbero essere quelli maggiormente in grado di piantare semi nel terreno?
Di predicare una forma corretta di approccio alla materia sportiva?
Di fare, di un popolo di commissari tecnici, della gente capace di riconoscere cosa sia lo sport ed i suoi valori?
Chi sono queste figure?
Probabilmente coloro i quali hanno un approccio diretto nel mondo sportivo, coloro che hanno delle responsabilità tecniche o dirigenziali ed anche e soprattutto quanti hanno a che fare con la materia della divulgazione.
Se mescoliamo assieme questi elementi, ne viene fuori un identikit molto chiaro.
L’identikit corrisponde perfettamente alla figura dell’allenatore, a maggior ragione quando questa figura ha sovente attenzioni mediatiche continue:
Quel ruolo non si limita a selezionare i migliori giocatori, a coordinare sedute di allenamento e stabilire principi tecnico tattici per raggiungere i migliori risultati.
Quel ruolo ha una enorme responsabilità anche nei confronti della divulgazione di una certa cultura sportiva.
D’altronde il calcio è lo sport di gran lunga più visto e letto sui mass media e quel ruolo deve essere ben consapevole del fatto che le sue dichiarazioni rivestono un ruolo di enorme rilievo anche nei confronti dei praticanti e nelle tifoserie di altre discipline.
A tal proposito ho ascoltato le dichiarazioni del Commissario Tecnico italiano dopo la scialba prestazione dell’Italia in Irlanda che non ha consentito alla nazionale di ottenere il passaporto per i prossimi campionati mondiali.
Il C.T. esprime fiducia sulle residue possibilità della nazionale e poi afferma un altro concetto che estrapolo letteralmente:
Non lo può sapere, ma soprattutto non lo può dire.
Un C. T. non può rilasciare una dichiarazione simile.
Non ci si aspetta da un uomo di sport che parli come un qualunque politicante che sta per affrontare delle elezioni e che deve mostrare sicurezza e spavalderia perché quegli atteggiamenti possono far presa sull’elettorato.
Un uomo di sport predica la cultura dell’impegno e del sacrificio.
Nessuno meglio di lui sa che solo attraverso quel banco di prova si possono ottenere risultati, non vende la pelle dell’orso prima di averla comprata, e poi quell’orso, a vedere bene, pare ancora vivo e vegeto per essere comprato.
Senza contare il fatto che quella dichiarazione ha un effetto devastante anche nei confronti dei suoi stessi giocatori, i quali psicologicamente sono assolti dalle loro responsabilità.
Un C.T. che non riconosca i limiti della sua squadra, che:
non ha la necessaria lucidità per inquadrare bene che momento sta vivendo la squadra e tutto l’ambiente circostante.
Senza questa obiettività, senza un bagno di umiltà, si è persa una importante occasione di far capire, in un colpo solo, a pubblico e addetti ai lavori, che bisogna ripartire da altre basi, con atteggiamenti differenti e senza mostrare alcuna gratuita arroganza.
Quando si vince c’è fin troppa euforia per costruire messaggi educativi:
la vittoria è esaltante e gioiosa, ma è la sconfitta – o la mancanza di risultati momentanei -il momento migliore nel quale:
E in questo caso l’occasione è andata clamorosamente sprecata.
Nello sport il livello della prestazione distingue un campione dal resto dei praticanti.
Nel basket quanto meglio un giocatore riesce a palleggiare, tirare e passare, tanto migliori saranno le sue possibilità di successo ma queste abilità specifiche caleranno se il giocatore avrà una scadente forma fisica.
Molti operatori della comunità sportiva (dirigenti, allenatori, giocatori) equiparano il condizionamento atletico con la buona forma fisica.
Essere in forma fisicamente non è soltanto essenziale da un punto di vista medico.
Le seguenti componenti di fitness sono comunque importanti per un serio giocatore e nello specifico di basket:
Per un’atleta, però, mantenere una capacità fisica oltre gli standard abituali di salute e benessere è essenziale per assicurare una prestazione ad altro livello per un prolungato periodo di tempo.
Sfortunatamente molti giocatori professionisti che sembrano essere in buona forma prestano pochissima attenzione alla propria salute fisica, mentale, sociale ed emozionale e poi si chiedono perche le loro carriere si sono abbreviate.
Mentre la buona forma fisica è un indicatore della salute complessiva, è il condizionamento atletico che determina il livello al quale le capacità specifiche di uno sport possono essere eseguite ed elevare tale livello.
Una buona forma cardiorespiratoria si estrinseca nell’efficacia con la quale il cuore e i polmoni distribuiscono il sangue, l’ossigeno e le sostanze nutritive ai tessuti corporei attivi durante il lavoro fisico.
L’esercizio aerobico (con presenza di ossigeno) migliora la funzione cardiorespiratoria ed aiuta a prevenire le malattie cardiache.
L’allenamento aerobico può essere svolto attraverso una qualunque attività che richieda l’utilizzo continuo di grandi gruppi muscolari
da 20 a 60 minuti, da 3 a 5 giorni alla settimana ad intensità moderata.
Un tale programma di allenamento migliorerà o manterrà la propria buona forma cardiorespiratoria.
Un sistema cardiorespiratorio allenato efficacemente è capace di sostenere uno sforzo di bassa intensità per lungo tempo poiché è in grado di:
Il basket, d’altra parte, richiede brevi ma intensi periodi di attività, così che i giocatori spendono moltissima energia ad un ritmo veloce.
Le corse anaerobiche (con assenza di ossigeno) sono un altro aspetto della buona forma cardiorespiratoria e forniscono energia per attività ad alta intensità, cosi i sistemi di energia anaerobica devono essere parimenti sviluppati.
Eppure perfino atleti con una eccellente forma anaerobica possono lavorare a pieno ritmo soltanto per un breve tempo prima di dover interrompere.
A margine del Disegno di Legge relativo all’introduzione dell’Insegnante di Educazione Motoria nella Scuola Primaria, il motto e l’obiettivo principale da perseguire da parte dei Docenti ai…
…corsi di laurea in Scienze Motorie e dello Sport e Laurea Magistrale dovrebbe essere:
Insegnare a insegnare deve essere una componente fondamentale dell’azione dei docenti universitari.
E’ assodato che ogni Docente ha cercato e cerca di sviluppare “le proprie tecniche” per svolgere al meglio questo compito.
Nella maggior parte dei casi ha costruito la propria competenza in solitudine, oppure partecipando a Seminare e a Corsi di formazione.
L’Università non lo ha aiutato molto e non gli ha fornito gli elementi necessari per insegnare.
Bisogna “crescere” nella formazione, formare deve essere l’obiettivo per ogni Docente universitario!
In Università manca un momento di confronto comune con i colleghi:
Insegnare a insegnare deve essere il MANTRA in Università, per chi deve formare chi ha scelto di Insegnare a scuola, nello sport e nel mondo della disabilità.
Un Mantra che mira a rafforzare le competenze didattiche dei Docenti Universitari (Formatori), per innalzare la qualità degli insegnamenti e incoraggiare una didattica innovativa.
Si deve fare affidamento alle più recenti teorie della ricerca in campo didattico:
Ad esempio gli obiettivi fondamentali da fornire ai futuri Insegnanti durante le lezioni sono:
La laurea non ti abilita all’insegnamento.
Sarebbe molto utile predisporre, post-laurea, un Corso di preparazione all’insegnamento per chi insegnerà nella Scuola Primaria, nella Scuola Secondaria oppure a livello universitario.
Pertanto basta con le lezioni frontali, con gli esami a crocette, con materie che servono a poco, con il didatticismo.
E’ opportuno attuare un percorso formativo che si struttura secondo un’organizzazione modulare costituita da temi importanti quali:
Questa proposta formativa deve essere un impegno delle Università per cambiare gli ordinamenti delle materie contemplate nel percorso degli studi.
Deve essere rivolta a tutti i Docenti interessati a migliorare la qualità didattica e professionale attraverso:
Concludendo:
“Lo sport ti insegna l’autoconsapevolezza e l’autocontrollo, Non possiamo cambiare il mondo in un giorno. Dobbiamo partire da un campo di gioco per volta”.
Avere l’opportunità di praticare attività sportive assieme facilita la modifica della mentalità dei suoi praticanti, valorizza le capacità del singolo e contribuisce a formare lo spirito di squadra.
Il catalizzatore del cambiamento sociale oggi è lo sport, perché genera entusiasmo, una parola che dal greco significa “tenere gli dei dentro di noi”.
Lo sport è…
…azione, ci fa scendere in campo, ci appassiona, mette in gioco una grande energia collettiva, uno sforzo atletico, che salva dalla solitudine.
Lo sport è speranza.
Per stimolare il movimento divergente nello sport può essere utile leggere le imprese di alcuni creativi famosi nel campo sportivo come ad esempio quelle di:
Il gioco della pallacanestro nacque come un’attività motoria che doveva servire a mantenere in allenamento i ragazzi nella stagione fredda per cui le sue regole inizialmente erano molto semplici.
C’erano due squadre di nove elementi ciascuna che dovevano cercare di lanciare la palla nella “scatola” avversaria, era falloso ogni contatto con i giocatori.
Per le sue caratteristiche di:
ben presto il gioco si diffuse in tutti gli Stati Uniti d’America.
Le sue regole si sono evolute e molti appassionati hanno contribuito a farlo diventare il gioco fantastico che oggi conosciamo.
Mentre per i grandi giochi di squadra è difficile dare con precisione la data della loro nascita, la pallacanestro ha origini accertate.
E’ nata il 20 gennaio 1891 a Springfield (un benaugurante Campo di Primavera) negli Stati Uniti d’America.
A Springfield il canadese James Naismith svolgeva l’incarico di direttore delle attività sportive di un’Associazione cattolica e si trovò di fronte dei giovani che non sapevano come giocare nei gelidi inverni visto che il baseball e il football, gli unici sport praticati, si potevano svolgere solo su larghi spazi all’aperto.
Tentò di adattare il baseball e il football agli spazi ristretti della palestra ma si creava solo una grande confusione, inoltre i ripetitivi esercizi annoiavano i ragazzi.
Bisognava pensare a qualcosa di nuovo, a questo punto James mise in moto il suo circuito cerebrale divergente, il suo itinerario è un vero e proprio programma di creatività per cui ve lo descrivo nei dettagli.
Il punto di partenza, da cui tutto ebbe inizio, fu una situazione concreta:
Alla soluzione di questo problema James ha probabilmente pensato a lungo.
Bisognava rendere accessibile l’ambiente.
La palestra, avendo spazi più ridotti rispetto ai campi all’aperto, non permetteva corse molto lunghe ed inoltre facilitava i contrasti e gli urti per cui bisognava pensare ad un nuovo gioco con la palla.
La prima soluzione trovata fu di evitare che ci fossero contatti tra i giocatori.
Il pallone se veniva calciato con i piedi urtava spesso contro le pareti della palestra e provocava traumi muscolari ai ragazzi per cui James introdusse la regola di giocare usando le mani.
Un altro problema era l’assegnazione dei punti che sempre per le dimensioni dello spazio non potevano essere le lontane mete del baseball o del football.
In un primo momento James fece usare le porte dell’Hockey, poi pensò a delle scatole.
Vedendo, però, che i giocatori in difesa avevano la possibilità di chiuderne completamente tutti gli spazi con il proprio corpo, scartò questa idea, e arrivò all’intuizione geniale, la più importante per il futuro gioco, la vera “rottura delle scatole”:
James prese un cestino (basket) che conteneva le pesche, inserì sotto una rete che potesse trattenere la palla, e lo fissò al muro in alto, quella era la meta, e così fece con un altro al lato opposto della palestra.
Iniziò così la prima partita di pallacanestro.
La traccia impressa da James è stata seguita da molte persone ed ognuno ha permesso di renderla più definita.
E’ da ricordare in particolare il fondamentale contributo dato da un giocatore, nel 1912, che, rendendosi conto del fastidio e della perdita di tempo che comportava il salire su una scala ogni volta che si doveva recuperare il pallone dopo una segnatura, ebbe l’idea creativa di tagliare il fondo della rete.
Nessuno si ricorda il nome di chi ha tagliato la corda ma il suo suggerimento ha contribuito a velocizzare il gioco e a renderlo più spettacolare.
Spesso sono gli stessi giocatori, quindi, che apportano dei cambiamenti, delle novità, allo sport che praticano.
Le maggiori trasformazioni le ha subite negli ultimi anni la pallavolo, la disciplina sportiva più praticata in Italia.
Il bagher che oggi è la tecnica fondamentale di ricezione, di difesa, della pallavolo, non era conosciuto fino al 1950, dopo i potenti colpi di attacco nelle schiacciate e nelle battute che provocavano a volte microfratture alle mani dei giocatori si è arrivati all’introduzione di quello che è diventato il più importante tocco dei tre.
E’ importante quindi vedere gli sport non chiusi in regole ed azioni statiche ma pronti a modificarsi seguendo il passo dei tempi.
Questi sono solo alcuni esempi di possibili trasformazioni dei regolamenti
Per ogni sport è necessaria una resistenza speciale.
Il gioco della pallacanestro è caratterizzato da brevissimi cambiamenti di spazi d’azione, da prestazioni intense di corsa, composte da scatti da fermo e reazioni, e da improvvise ed imprevedibili richieste di azioni di salto.
Per questo…
…l’addestramento della resistenza deve avvenire in modo differenziato e polivalente.
Durante una partita della durata effettiva di 40 minuti gli atleti svolgono un grande lavoro di corsa di circa 4 Km.
Perciò la resistenza specifica di gioco, oltre a quella generale aerobica, comprende anche prestazioni di resistenza anaerobica, come:
Per poter giudicare quale siano i metodi di allenamento che debbono essere scelti per un giocatore di pallacanestro e con quali volumi ed intensità di allenamento si deve lavorare, è necessario conoscere il modello della prestazione per quanto concerne la resistenza.
Per questo per l’allenatore è importante quali prestazioni di resistenza vengono richieste ai suoi giocatori nella partita ed in allenamento.
L’importanza della resistenza nell’allenamento si spiega così:
un addestramento della tecnica e della tattica, in situazioni analoghe della partita, può essere eseguito in modo efficace
Talvolta, se una forma di esercitazione viene ripetuta più volte, e si lavora con tempi brevi di recupero, un’unità di allenamento non è abbastanza efficace in quanto, a causa della stanchezza fisica e mentale, non può essere mantenuto il numero di ripetizioni richiesto.
Per comprendere l’importanza della resistenza per il moderno giocatore di pallacanestro bisogna considerare, sotto l’aspetto quantitativo, le distanze percorse correndo e l’intensità dei tratti di corsa.
Secondo ricerche ed analisi di gioco di alcuni illustri professori (Konzag, Muller, R.Colli, ) è emerso quanto segue.
Un playmaker percorre circa 100 metri per ogni minuto effettivo di gioco.
Se ciò viene calcolato sull’intero tempo si ha dunque una distanza totale di 4000 metri dei quali il 25% viene adoperato camminando, il 75% correndo ed il 5% sprintando.
Questa distanza totale per i centrali è di circa il 15% minore.
Un’ala realizza, in una partita, circa 300 cambi di direzione e circa 200 cambi di ritmo.
Dall’analisi della letteratura emerge inoltre che sia presente un cambio di pattern motorio ogni due secondi (Read et al. 2011); infatti gli sprint non in linea, e quelli effettuati con cambi di direzione costituiscono il 52% del totale all’interno di una partita (Conte et al. 2015).
“Altri autori tra cui Scanlan et al. hanno inoltre suddiviso le intensità di gioco in bassa, moderata e alta, le quali occupano rispettivamente il 50-72%, il 17-43% e il 6-20% del live time, o tempo reale di gioco; con il 97% degli sforzi ad altissima intensità che dura meno di 15 secondi e il 94% di quelli sub-massimali meno di 20 (Taylor, 2004)”
Non dilungandomi in tutte le analisi fatte da questi studiosi che tanto ci aiutano a programmare ed a migliorarci sempre di più si può affermare che:
al giocatore di pallacanestro si richiede il possesso di una resistenza di base sufficientemente sviluppata.
Non, però e naturalmente, una capacità di prestazione di resistenza paragonabile a quella di un atleta praticante le corse di fondo o mezzofondo dell’atletica leggera.
Se l’allenamento viene eccessivamente orientato sulla resistenza si deve tener conto che il muscolo adatterà eccessivamente le sue qualità a questo tipo di carico, a discapito della qualità di rapidità e di forza rapida.
1984, lo Scandinavium di Goteborg è una sorta di tempio che rappresenta da decenni il punto d’incontro con il mondo.
E qui, un potentino appena ventenne ebbe un appuntamento con la storia.
Si trattava di Donato Sabia, un…
…talento che ha sempre voluto combattere esclusivamente con le armi a sua disposizione, e nulla di più.
In un mondo pieno di “trucchi del mestiere” non sempre legali (anzi, spesso e volentieri, totalmente illegali), Donato ha scelto di correre contando solo sulle proprie energie:
E come scrisse Repubblica a quei tempi (anni 80)
Classe 1963, orgogliosamente di Potenza, Donato Sabia è stato uno dei più grandi campioni degli 800 metri italiani:
due finali olimpiche:
Il suo nome rimarrà legato a Goteborg dove negli Europei indoor del 1984 realizzò quella che resta una delle migliori prestazioni sugli ottocento metri.
Un quasi record, 1’43”88, che oggi lo colloca a pochi centesimi da quello di Marcello Fiasconaro del 1973.
Donato era molto amico di Pietro Mennea, con cui hanno condiviso la pista di Formia, dove si allenavano nello stesso periodo.
I paragoni con Mennea sono stati molti, forse perché entrambi erano schivi, abituati a lavorare molto secondo una filosofia basata sul sacrificio personale.
Donato è sempre stato elegante e signorile, non solo nel correre ma anche nel suo modo di rapportarsi con gli altri.
Quando Mennea se ne andò, nel marzo del 2013, al suo funerale fu proprio Donato Sabia, quel ragazzo schivo, riservato, a volte perfino timido, a confortare tutti.
Era addolorato ma dentro aveva quella luce di tranquillità che anche quella volta consegnò al mondo dell’atletica presente ai funerali della “Freccia del Sud”, quasi a voler dire:
Qualcuno scrisse di Donato che “oltre a essere il più forte tra i quattrocentisti e gli ottocentisti, era una sorta di sindacalista:
si era erto a paladino di un gruppo di atleti che non erano stati presi in considerazione dalla federazione”.
Una volta ad un meeting internazionale a Milano, chiese allo speaker della manifestazione di farsi dare il microfono perché voleva comunicare al pubblico presente tutte le ingiustizie che certa parte dell’atletica (la staffetta 4 x 400) stava subendo per le imminenti olimpiadi.
E anche se quel microfono gli fu negato.
Sabia mise il suo petto davanti a tutti i giornalisti che si avvicinarono per cercare di capire cosa fosse successo, per rivendicare i diritti di una serie di atleti che l’Olimpiade l’avevano meritata con i risultati.
I carichi di lavoro pesantissimi si fecero sentire.
A 27 anni Sabia aveva dolori continui e si infortunava spessissimo.
La sua carriera si chiuse troppo presto, con molti rimpianti e con delle polemiche accesissime.
Poco tempo fa, in una intervista al Corriere del Mezzogiorno dichiarò:
Di quel periodo, il suo allenatore Sandro Donati racconterà:
“Anche se non ufficialmente, era stato emarginato dalla squadra perché aveva rifiutato le pratiche del doping, eravamo soli, nessun sostegno economico”.
Dopo aver concluso la carriera agonistica, ritornò a casa e gli ultimi anni li ha trascorsi da Presidente della sezione lucana della Federazione italiana di atletica leggera, dove ha continuato, anche a livello istituzionale, la sua battaglia contro il doping.
Poteva essere il più grande di tutti nell’atletica, è stato grande nelle scelte.
Il Covid se lo è portato via in un mattino di aprile lasciando attoniti quanti lo conoscevano e lo apprezzavano come atleta ma soprattutto come uomo.
E nella città in cui è nato rappresenta ancora oggi un esempio limpidissimo e inscalfibile di un uomo integro e inattaccabile e la sua figura continua a dimostrare a tutti come un atleta del suo calibro possa continuare ad essere un punto di riferimento per una intera comunità.
Parlare in pubblico è un’arte piuttosto difficile da apprendere, perché rappresenta un vero e proprio “blocco emotivo” per molte persone.
La paura di parlare in pubblico durante una lezione in Università, a una…
…conferenza, a un convegno, colpisce indistintamente insegnanti, professori universitari e manager.
Dopo:
vi presento alcune Regole fondamentali da seguire maturate in questi anni di esperienza diretta.
Per superare questo ostacolo ci si deve allenare costantemente e grazie all’esercizio continuo, “il parlare in pubblico” diventerà un piacere e non un’angoscia.
Nella maggior parte dei casi il timore di affrontare la platea è legato all’inesperienza.
Lo stress colpisce soprattutto i neofiti che si sentono inadeguati in quella determinata circostanza.
E’ sbagliato imparare a memoria il discorso, ai fini di evitare improvvisi vuoti mentali e se si memorizza il discorso parola per parola, si rischia di dimenticare tutto non appena si inizia a parlare.
L’importante è avere in testa i “concetti chiave” da cui partire per elaborare un’esposizione efficace:
Ogni discorso (che deve essere preparato precedentemente), per essere più chiaro ed efficace, deve essere “strutturato” secondo una sequenza basata sullo spazio, sul tempo o su specifiche tematiche:
Ogni volta che si parla di fronte a una platea:
l’atteggiamento mentale dell’oratore influenza anche quello degli ascoltatori.
Se l’oratore è indifferente, anche gli ascoltatori saranno indifferenti, quindi per suscitare sensazioni positive bisogna credere profondamente in ciò che si dice, mostrando spontaneità e sincerità.
Durante il discorso è importante raccontare le esperienze “vissute” e utilizzare supporti visivi.
Un segreto per “essere vincenti” e catturare l’attenzione del pubblico in sala, è quello di parlare del proprio “background”, raccontando alcuni episodi della propria esperienza personale.
Se si vuole “catturare” l’attenzione della platea, è importante puntare non solo sul valore delle parole, ma anche sulle emozioni che le immagini e i video trasmettono
Queste sono le “mie” regole per parlare in pubblico, spero di avervi trasmesso un po’ più di sicurezza e determinazione!
Una conoscenza adeguata dei principi fisiologici impliciti nell’allenamento e nella competizione del basket è molto valida per allenatori e giocatori.
Non basta essere bene allenati; gli atleti devono affinare il proprio…
…corpo specificatamente per il basket.
Lo stesso principio si applica al proprio allenamento fisico.
Mediante uno specifico adattamento il corpo cambia metabolicamente e/o meccanicamente (abilità di movimento) in risposta a una specifica esigenza.
Un atleta può essere ben allenato, ma è allenato specificatamente per il basket?
Il basket è principalmente uno sport anaerobico ma richiede anche la collaborazione del sistema aerobico.
Un allenamento specifico per il basket, perciò, prevede l’utilizzo di uno schema che solleciti la produzione di energia anaerobica.
Per migliorare la capacità energetica si dovranno eseguire, quindi, brevi esercizi di grande intensità tutti adattati alla specificità dello sport in questione.
Le esercitazioni sul campo non sollecitano soltanto il sistema di energia anaerobica, ma molte di esse implicano capacità come:
Siccome le reazioni fisiologiche all’allenamento sono molto prevedibili e se il corpo è attentamente e progressivamente messo alla prova, avverranno appropriati adattamenti ed il corpo diventerà più forte.
Le reazioni fisiologiche all’allenamento sono molto prevedibili.
Se il corpo è attentamente e progressivamente messo alla prova, avverranno appropriati adattamenti ed il corpo diventerà più forte.
Questo è il concetto di sovraccarico progressivo.
Quando il corpo sperimenta uno stress fisico, a condizione che lo stress non sia troppo forte, il corpo stesso si adatterà a quello stress.
L’adattamento può implicare una crescita muscolare (ipertrofia) frutto di ripetute sedute di allenamento di resistenza o può implicare una migliorata efficienza cardiorespiratoria frutto di allenamento aerobico.
Man mano che aumenta il livello di lavoro, aumenta anche la propria capacità di lavorare più a lungo e duramente.
Per contro, un periodo di inattività che produca un declino della capacità fisica influenzerà negativamente la forma e le prestazioni del giocatore.
Se si concede una lunga vacanza, all’atleta, durante il periodo di sosta e l’atleta fa poco o niente allenamento, si potrebbe sperimentare un effetto “contro allenante”.
Il corpo reagirà proprio come un braccio che è stato ingessato per alcuni mesi.
Mantenendosi in forma si potrà ottenere il massimo del proprio potenziale fisico.
Cosa più importante è che, sia che si sta in periodo di sosta, in periodo pre – agonistico o nella stagione agonistica, se si è ben allenati, il giocatore sarà meno soggetto ad infortuni oltre a ridurre la gravità del problema nel caso in cui incorra.
In questo senso mantenere un buon allenamento di base funzionerà a proprio vantaggio se si ha intenzione di avere una lunga e tranquilla carriera nella pallacanestro.
Per raggiungere un livello ottimale di tensione fisica, bisogna ricordare il principio del sovraccarico progressivo.
Man mano che il proprio livello di forma migliora, gradualmente, si aumenterà l’intensità della sollecitazione fisica a cui si sta sopponendo il proprio corpo.
Le tre variabili maggiori per determinare uno stress adeguato sono:
Manipolando queste variabili in maniera programmata e ponderata si otterranno i risultati sperati.
L’intensità è probabilmente il più importante di questi tre fattori.
L’intensità di una sessione di allenamento può essere commisurata sia dal grado di difficoltà che da considerazioni di tempo.
Data la natura anaerobica del basket, gran parte dello sforzo si esercita in brevi scatti, con brevi interruzioni all’interno.
Come abbiamo già detto e ridetto, in alcuni precedenti articoli, anche il sistema aerobico necessita di una grande attenzione.
Un sistema aerobico efficiente aiuterà il corpo a tollerare meglio aumenti del livello di acido lattico, faciliterà la sua eliminazione e aumenterà la velocità di recupero.
Questo a sua volta permetterà al giocatore di effettuare prestazioni ottimali più a lungo.
Fondamentale avere, per qualsiasi tipo di allenamento, il ritmo cardiaco sempre sotto controllo.
Qualunque metodo si userà l’utilità di conoscere il ritmo cardiaco ottimale dell’atleta e il ritmo cardiaco di riserva è oltremodo importante per regolare l’intensità dell’allenamento ad un livello appropriato.
Durante l’esercizio anaerobico il ritmo cardiaco arriverà al 95% del massimo o ancora più su.
E’ ovvio che un ritmo di lavoro di tale intensità non può essere sostenuto a lungo.
In modo facile molti giocatori imparano velocemente a moderarsi durante allenamenti particolarmente gravosi.
Un occasionale controllo del battito cardiaco subito dopo un esercizio rivelerà se essi stanno esercitando il massimo sforzo.
Durante le esercitazioni i giocatori spesso sbagliano più tiri che durante l’allenamento abituale.
Alcuni allenatori dovrebbero ricordare che, man mano che l’intensità di un esercizio aumenta, accuratezza e coordinazione diminuiscono.
Se è vero che lo sbagliare i tiri durante una esercitazione non dovrebbe essere incoraggiato è anche vero che l’allenatore dovrebbe essere sempre consapevole dello scopo di quella attività.
Intensità e riposo devono essere commisurate alle esigenze dell’atleta ed ai requisiti della pallacanestro.
L’intensità degli esercizi determina:
Per quanto riguarda la mobilità articolare le donne presentano un maggior sviluppo di essa e una migliore predisposizione al suo miglioramento perché posseggono minor massa muscolare e quindi minor tono.
Le diverse fasi ormonali influenzano la capacità di carico delle articolazioni, l’aumento degli estrogeni induce lassità legamentosa e diminuzione della stiffness dei tendini (Hewett 2000).
Nell’ovulazione invece una diminuzione degli estrogeni induce un…
… aumento della forza e una diminuzione della capacità di rilassamento muscolare.
In particolar modo gli estrogeni, possono influenzare la capacità di carico dell’articolazione, influenzando la capacità tensiva dei legamenti e dai tendini.
Gli estrogeni aumentano, in maniera transitoria, la lassità legamentosa, che può essere responsabile di una maggiore incidenza di infortuni e alcuni studi hanno rilevato che nei legamenti ci sono recettori per tali ormoni.
Nella fase di calo estrogenico, dopo l’ovulazione si è riscontrato
E’ importante sottolineare che nella donna l’andamento ormonale del ciclo può condizionare le capacità di prestazione, rendendo utile spesso una pianificazione degli allenamenti in considerazione delle diverse situazioni ormonali.
Nella prima fase del ciclo, le donne si trovano sotto l’influenza crescente degli estrogeni, che comportano un effetto anabolico, mentre nella seconda parte la dominanza è dei gestageni, che hanno una azione soprattutto catabolica.
Nell’allenamento è importante considerare i vari fattori che possono causare disturbi mestruali nelle atlete e che possono essere ricapitolati in:
L’interazione di fattori di carattere:
contribuisce a modificare l’assetto ormonale della donna atleta e, dunque, la regolarità del ciclo mestruale.
La principale attenzione viene rivolta ad un andamento irregolare del ciclo mestruale, detto oligomenorrea, che si definisce come un intervallo tra 2 cicli > di 40 giorni, o la mancanza del flusso mestruale per un periodo di almeno 90 giorni, in questo caso si parla di amenorrea.
L’esercizio di intensità moderata non ha alcun effetto significativo sul regolare andamento dei cicli mestruali, mentre allenamento e attività agonistica intensi e pesanti possono indurre, in alcune atlete, amenorrea
Le donne possono essere più soggette a una continua tachicardia che può dipendere dal malfunzionamento della tiroide o da bassi livelli di progesterone.
In questo caso gli attacchi sono più frequenti nella seconda parte del ciclo mestruale. Anche eccessivi livelli di adrenalina possono scatenare tachicardia e ansia.
Il progesterone ha la caratteristica di trasmettere la calma, infatti la somministrazione di questo ormone può determinare la comparsa di sonnolenza.
Non a caso durante la gravidanza molte donne riferiscono uno stato di quiete e di tranquillità promosso proprio dall’aumento di progesterone.
In più, il progesterone ha un leggero effetto sedativo che può causare degli stati di leggera depressione, soprattutto nel momento che precede le mestruazione.
Da una serie di studi è emerso che i sintomi della depressione e dell’ansia nella donna possono essere ridotti eseguendo con costanza un allenamento di forza.
Parte dei vantaggi psicologici associati a questo tipo di allenamento ha a che fare con il rilascio delle endorfine, ormoni che agiscono sul cervello e comportano un miglioramento dell’umore, una risposta immunitaria maggiore, una percezione alterata del dolore e una riduzione degli effetti dello stress (Thorén, P., Floras, J. S., Hoffmann, P., & Seals, D. R. 1990).
La maggior produzione femminile d’estrogeni comporta diversi vantaggi per la salute ma diversi svantaggi estetici.
Oltre alla differenza della % di grasso, il sistema cardiovascolare femminile è più protetto fino alla menopausa.
Gli estrogeni vasodilatano il letto venoso ed aumentano la permeabilità capillare.
Questo porta la donna a soffrire facilmente di ritenzione idrica e ad accumulare liquidi negli arti quando l’allenamento è eccessivo o non compensato correttamente dall’alimentazione.
Per quanto riguarda l’incidenza dell’attività fisica moderata sulle mestruazioni, non risulta avere degli effetti significativi nel turbare il ciclo.
Tuttavia è stato osservato che un pesante allenamento intensivamente condotto può indurre amenorrea, soprattutto in atlete dedite alle corse di resistenza e alla ginnastica.
L’amenorrea è temporanea e scevra di complicazioni se l’attività intensa viene cessata.
Alcune atlete possono essere predisposte ad andare incontro all’anemia da carenza di ferro, dovuta a eccessive perdite di sangue mestruale e all’adozione di un programma di allenamento fisico assai esigente.
Le complicazioni della gravidanza e del parto sono meno frequenti nelle atlete che nelle donne sedentarie.
La gravidanza, di per sé, non influisce negativamente sull’attività atletica o sulla prestazione di esercizio e viceversa.
Benché gli effetti della pillola anticoncezionale sull’esercizio fisico non siano ancora precisamente noti, è impressione generale che essa possa alterare la prestazione.
Lo sfondo integratore è la migliore applicazione della didattica enattiva nella scuola dell’infanzia.
Ribalta la dinamica insegnamento – apprendimento in quanto pone lo studente nella condizione psicologica di dover capire per poter prendere parte alla vita della sezione o della classe.
La motivazione ad apprendere non è attivata e supportata da premi o da castighi, ma dalla necessità di crescere insieme ai…
…compagni e, soprattutto, con l’immagine adottata come sfondo.
Di solito si sceglie un personaggio fantastico che proviene dal mondo della fiaba, della fantascienza o della tradizione popolare.
Io ho scelto un giocatore di calcio fantastico:
Organizziamo la classe come un pianeta a forma di palla che ci contiene tutti e dove possiamo ammirare come nel mondo che ci sostiene i magnifici tramonti, annusare il profumo dei fiori e apprezzare la bellezza di un arcobaleno.
In un piccolo punto della Terra, alla periferia del mondo è nato Pelè, un vispo bambino brasiliano.
A lui piaceva giocare con la palla, fatta arrotolando stracci o fogli di carta, ogni bambino è invitato a costruire il suo pallone appallottolando alcuni fogli di carta colorati.
Ogni pallone verrà scambiato perché Pelè non era egoista ma gli piaceva passare la palla.
Dopo aver esplorato la dinamica dei movimenti, quando si cammina, si accelera, quando si sta fermi o a riposo, si passerà a disegnare il protagonista.
L’insegnante leggerà lentamente la sua storia, ogni parola sarà scandita, quasi sillabata.
Si passerà poi ad osservare le illustrazioni del libro confrontandole con i disegni dei bambini.
Una volta letto tutto il racconto le parole saranno riviste e analizzate, per consentire a ciascuno di decodificarle.
Si potrà giocare con il suono e il tono della voce e saranno mimati tutti i movimenti della palla, per tradurre quelli poco comprensibili, alla ricerca dello stile ginga, l’azione tipica dei calciatori che sembrano danzare con la palla attaccata al piede.
La storia sarà successivamente mimata e drammatizzata, riconoscendo la fondamentale valenza comunicativa di queste modalità di apprendimento, che si aprono, trasversalmente, all’educazione motoria, all’organizzazione spazio-temporale, all’equilibrio delle forze ed al rispetto degli altri.
Ampio spazio sarò dato alle sensazioni, alle percezioni, alla riproduzione di semplici sequenze ritmiche.
Di fondamentale importanza anche la fase di rielaborazione attraverso le attività manuali, prima libere e poi in forma guidata, con l’impiego di materiali diversi:
per agevolare la riproduzione del personaggio nelle diverse fasi del suo gioco con la palla.
Le avventure del grande calciatore daranno colore, così, a tutte le fasi del processo di apprendimento che è partito dalla conoscenza del proprio corpo per arrivare alla rappresentazione mentale, attraverso:
Si può configurare, in sintesi, una esperienza completa che
La scuola italiana si appresta all’inizio delle lezioni in un’atmosfera di grande incertezza e preoccupazione.
Le rassicurazioni che il Ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi dispensa quotidianamente a piene mani sui Media, TV, Tgcom2, FB e Social, le sue strombazzate del tipo:…
E’ chiaro che le scelte del Governo non permettono ancora una volta un inizio delle lezioni sereno e sicuro, perchè:
Su nessuno di questi problemi fondamentali si sono fatti passi avanti significativi e pensare che il Governo ha avuto l’estate a disposizione per porvi rimedio.
La “cabina di regia” ha concordato il “green pass” obbligatorio per:
Per quanto riguarda la vaccinazione obbligatoria resta aperta la discussione in merito al tampone (con prezzi calmierati).
L’ipotesi della gratuità dei test anti-Covid, spiegano fonti di governo, è stata scartata perché avrebbe potuto disincentivare i più giovani a immunizzarsi.
Afferma inoltre:
E bravo il Ministro, ha trovato la “formula magica”: Riformare la Scuola Italiana!
In questi ultimi anni sono cambiati tanti Ministri dell’Istruzione (a seconda dei “colori politici”) e ognuno ha parlato di riforme, di programmi (“La Buona Scuola, sic!), di ………, ma non è cambiato niente o quasi.
Invece di controllare il “green pass” per il personale scolastico, sarebbe ora di:
Ma purtroppo quest’anno all’inizio della scuola si delinea la seguente situazione e …….. questo è il quadro che il Governo ci ha preparato una scuola:
si delinea forse ancora la DaD e
L’importante nell’allenamento, ciò di cui l’atleta ha bisogno, non è solo l’attività sul campo e l’impegno fisico.
Per sostenere la filosofia dell’allenamento totale si ha la necessità, di considerare il riposo, una buona dieta ed una mentalità rivolta al raggiungimento di un’eccellente forma fisica.
Perché il corpo di un’atleta possa ricevere…
…benefici completi da un programma di allenamento, bisogna concedergli un adeguato riposo e un’ampia possibilità di recupero.
Non soltanto il riposo tra specifici esercizi all’interno di una seduta di allenamento, ma il riposo tra intere sedute di allenamento e quello tra fasi di allenamento (stagioni).
Per riposo non intendo riferirmi semplicemente al sonno, sebbene da 7 a 8 ore di sonno “notturno” sono caldamente raccomandate per la maggior parte degli atleti.
Il riposo riguarda anche quei giorni in cui non ci si allena, ci si allena ad intensità molto bassa o in modo piuttosto ibrido.
Ogni volta che si consente ad un sistema di energia o a un gruppo di muscoli altamente sollecitati di rilassarsi, ci si sta rilassando.
Bisogna sempre ricordare che l’adattamento fisico allo stress avviene durante il riposo.
E’ durante il riposo che il corpo si ricarica in preparazione ad uno sforzo successivo.
Così un adeguato riposo consente all’effetto dell’allenamento di essere “ottimizzato”.
Se si è dei fanatici dell’allenamento e non si permette al proprio corpo di recuperare tra le varie sessioni di allenamento:
Non basta svolgere una lunga sequenza di esercizi ogni giorno, ma bisogna valutare l’efficacia di ogni esercitazione alla ricerca di eventuali sintomi di superallenamento.
Sottolineare quanto sia importante mantenere sotto controllo certi segnali, come la difficoltà a recuperare dopo una sessione di allenamento particolarmente dura, è di una importanza estrema.
I sintomi più evidenti sono:
Se si nota qualcuno di questi, bisogna modificare:
e continuare ad osservare qualunque cambiamento.
In seguito a sedute di superallenamento è necessario inserire, in un programma di allenamento, un giorno o due alla settimana esclusivamente dedicati al riposo.
Nel programma di periodizzazione è assolutamente previsto un paio di periodi di riposo “attivo “ che seguono la stagione pre – agonistica e la stagione regolare (o post – agonistica)
E’ il programma pianificato di allenamento di un atleta o di una squadra durante tutto l’anno che culmina in un ottimale livello di condizionamento atletico o in una buona prestazione complessiva in un periodo prestabilito della stagione.
Nello specifico nel basket, che è uno sport in cui ogni partita conta, un allenamento stagionale teso a raggiungere il culmine della forma nei play – off, non è realistico.
Perciò un piano sistematico di allenamento fornisce delle variazioni:
Le variazioni sono attuate per massimizzare l’effetto dell’allenamento e le prestazioni altamente positive.
Una delle domande più comuni che un ragazzino del settore giovanile si sente rivolgere è “in che ruolo giochi?
La seconda, di solito, riguarda il giocatore che più ammira e quasi sempre la scelta cade su un atleta che ricopre lo stesso ruolo…
…Ha ancora senso parlare di ruoli nella pallacanestro moderna?
Prima di provare a dare una risposta, facciamo un salto nel passato.
Negli anni 80-90 era molto facile individuare il ruolo di un giocatore.
Grazie alle sue caratteristiche tecniche e fisiche, infatti, era evidente, osservando il roster di una squadra, chi giocasse nelle varie posizioni, e quale fosse il contributo di ogni singolo componente alla causa della squadra.
Il Playmaker doveva essere soprattutto un giocatore altruista, in grado di “sistemare” i propri compagni in campo, prevedere le situazioni ed essere il braccio dell’allenatore.
La Guardia non poteva prescindere da essere un realizzatore, principalmente tiratore, in grado di mettere a referto tanti punti;
L’Ala piccola era colui che toccava meno la palla tra gli esterni, finalizzatore, spesso tiratore dagli scarichi, intorno ai 2 mt dava una buona mano ai rimbalzisti;
Proprio l’Ala grande era il ruolo che forse più si stava sviluppando e cambiando.
Spostava gli equilibri, playmaker aggiunto, rimbalzista, un vero e proprio lusso.
Non parliamo di quelli che avevano la doppia dimensione:
gioco spalle a canestro e fronte, negli anni 2000 ampliarono sempre di più il loro raggio d’azione incominciando ad avere anche tiro da 3 punti;
Infine il Pivot, giocatore più alto, intorno ai 210 cm, doveva riempire l’area, intimidire in difesa, fare blocchi in attacco, prendere rimbalzi e non lamentarsi se faceva pochi tiri
Anche il giudizio degli addetti ai lavori era tarato su determinate convinzioni:
Negli anni 2000 le cose cominciarono a cambiare.
Sempre più giocatori in grado di coprire due ruoli: i
da qui la definizione di un nuovo ruolo:
La stessa ala piccola deve avere ora nel suo bagaglio tecnico il gioco spalle a canestro per poter sfruttare la sua altezza ma anche per scalare nello spot di 4.
In verità non erano neanche poche le squadre che utilizzavano nella posizione di ala un’altra guardia, situazione tattica che permetteva di avere tre trattatori di palla ed essere meno prevedibili.
Probabilmente il ruolo di centro era l’unico che continuava ad avere una sua collocazione ben precisa sia tecnicamente che tatticamente, sicuramente però più atleta e verticale e con maggiore tecnica, soprattutto nelle ricezioni dinamiche.
è il momento dell’utilizzo quasi esclusivo dei pick&roll come arma principale dei vari attacchi, ed avere un efficace rollante in grado di chiudere i triangoli diventa necessario.
Diamo uno sguardo a cosa succede nell’NBA.
Sicuramente un punto di riferimento per il nostro sport, dove spesso è massima l’evoluzione dei giocatori dal punto di vista tecnico, ma soprattutto fisico.
La velocità del gioco, lo sviluppo atletico dei giocatori, le regole tattiche ma anche il passaggio dall’università di giocatori sempre più giovani ed acerbi tatticamente e ancora in fase di completamento tecnico, ci presentano squadre costruite per concetti e per caratteristiche dei giocatori piuttosto che per ruoli tattici.
Non si cerca il playmaker, il centro o l’ala grande, ma il tiratore, il difensore, il “facilitatore di gioco”, il lungo che apre le difese con il tiro da fuori.
In quest’ottica la risposta alla nostra domanda circa l’esistenza o meno dei ruoli nella pallacanestro moderna è:
Infatti si va verso un quintetto con giocatori fisicamente uguali e tutti pericolosi con la palla in mano.
Il gioco tranne alcune squadre è molto standardizzato.
Si fa fatica a riconoscere un sistema di gioco diverso dagli altri.
Le fortune di una partita ma anche di un’intera stagione dipendono dalle singole giocate e sempre meno da un gioco corale e di letture (da qui la costruzione dei super-team).
Non è un caso che quando arrivano le partite decisive per vincere un campionato, coloro che hanno nel roster ancora un playmaker, un centro e giocatori in grado di leggere le situazioni hanno più possibilità di raggiungere i propri obiettivi.
Pensiamo ai Lakers di Rondo, Howard oltre che di Lebron e Davis.
In Europa il cambiamento è meno evidente, pur avendo giocatori in grado di coprire più ruoli.
Infatti ancora possiamo ammirare i vari:
playmaker moderni, certo, ma con ruolo ben definito.
Così come i vari:
lunghi che sono dei riferimenti dentro l’area.
Il sistema di gioco è ben definibile
Le squadre migliori sono quelle con le letture più evolute, dove le giocate dei singoli sono delle espressioni di talento all’interno di un gioco corale.
Probabilmente nei prossimi anni la sfida è proprio
di Sergio Luise
In Italia, a 18 anni, meno di 1 adolescente su 3 pratica qualche attività sportiva o fisica e i tassi di sedentarietà sono da record.
Il problema è…
…il cosiddetto “drop out” (abbandono precoce) che inizia già a 11 anni:
Per non parlare della Scuola Primaria dove il movimento
Dopo la Scuola Primaria i ragazzi italiani cominciano ad allontanarsi dalla pratica sportiva continuativa e ingrossano le fila dei sedentari.
A maggior ragione da marzo 2020 con la pandemia, che ha fatto crollare il gioco, il movimento, l’E.F. e ha aumentato di fatto la sedentarietà con conseguente aumento di peso, noia e ……. è meglio rimanere nella “bolla” di casa” e giocare con:
E se finora l’età spartiacque era quella tra i 14 e i 15 anni, negli ultimi anni si è osservato che il trend negativo comincia già a 10- 11 anni.
Infatti tra il 2018 e il 2019 la quota di ragazzi/e praticanti un’attività sportiva in modo continuativo è diminuita nella fascia d’età 11-14 anni, passando dal 53% al 60,4%, percentuale che tra i 15 e i 17 anni diventa del 52,5% e si assesta al 40,7%, tra i 18 e i 19 anni:
una parabola discendente preoccupante con il crescere dell’età!
Non abbiamo i dati dal 2020, ma sicuramente la percentuale è aumentata di sicuro!
Preoccupante non è solo l’abbandono della pratica sportiva in età preadolescenziale e adolescenziale, ma quello che è pericoloso è l’elevato numero di sedentari assoluti, di coloro che non praticano nessuno sport, né alcuna attività fisica e questo fenomeno riguarda soprattutto le ragazze, in una percentuale che va dal 28% (tra i 15 e 17 anni) al 36% (tra i 18 e i 19 anni).
Per non parlare dei bambini!
I sociologi, gli psicologi, i pediatri non hanno dubbi sui colpevoli del divorzio tra adolescenti e sport: le nuove tecnologie!
Infatti i giovani d’oggi trascorrono dalle 3 alle 4 ore al giorno davanti a uno schermo TV, computer o smartphone che sia.
Ma questo non basta a spiegare perché il tasso di sedentarietà degli adolescenti italiani sia più che triplo rispetto a quello dei loro coetanei europei (24,6% contro 7% nella fascia di età 15-24 anni), che non sono da meno dei ragazzi italiani nell’uso di tecnologie digitali, né per abilità né per tempo trascorso.
Alcune indagini svolte a “random” tra i giovani adolescenti in alcune città italiane, hanno evidenziato due principali motivi di abbandono sportivo:
Queste le risposte relative all’indagine svolta: perchè
Per riavvicinare gli adolescenti all’attività fisica e sportiva, bisogna offrire loro nuovi stimoli.
L’agonismo esasperato dei giorni nostri, le aspettative e le pressioni eccessive dei genitori e degli Allenatori, rischiano di allontanare i giovani dallo sport.
Occorre valorizzare di più l’attività fisica anche non strutturata e la pratica sportiva non agonistica e questa è una sfida che deve coinvolgere anche le Società Sportive.
E partire anche dai bambini?
E riscoprire la Multilateralità e il “giocare a tutto” e poi scegliere?
Ma il ruolo centrale di questa valorizzazione spetta alla SCUOLA, soprattutto in quella secondaria inferiore e superiore.
L’Educazione Fisica è parte integrante dello sviluppo psicofisico degli adolescenti:
lo sanno bene Paesi come la Francia che dedicano a questa attività il 15% dell’orario complessivo scolastico, percentuale che scende al 7% per gli studenti italiani.
Circa un terzo dei Paesi europei sta lavorando oggi a riforme che riguardano l’Educazione Fisica con interventi di vario tipo volti ad aumentare l’orario minimo, diversificare l’offerta, promuovere la formazione di coloro che la insegnano.
Per non parlare della Scuola Primaria e della “non importanza” dell’E.F. nel contesto delle altre Educazioni!
Due ore di E.F. (scusate Scienze Motorie!) nella Scuola Secondaria di 1° e di 2° grado, poco o niente di Educazione Fisica (così giustamente si chiama) nella Scuola Primaria, niente nella Scuola d’Infanzia.
Ma dove vogliamo andare Sottosegretario Vezzali? Cosa facciamo prof. Bianchi?
Promesse:
E’ una storia che si ripete da anni e l’Italia è la maglia nera in Europa.
Non ci sembrava vero quando Jacobs passò per primo al traguardo dei 100 metri, dovemmo rivedere il replay più volte per convincerci che, dopo i grandi mostri sacri del passato da Carl Lewis a Usain Bolt, toccasse proprio a un italiano!
L’Italia che a quella gara non era mai neppure arrivata in finale da…
…tempi immemorabili (Mennea nel 1980 nella specialità era arrivato in semifinale).
Poi arriva questo ragazzotto di colore ed origini texane ma cresciuto in Italia fin da bambino, che addirittura ha anche più di qualche difficoltà a parlare inglese, a regalarci non solo la finale, ma addirittura la medaglia più ambita!
Lo abbiamo dovuto vedere più volte senza nemmeno respirare quello sprint pazzesco che ha regalato un successo insperato e, per questo, ancora più bello.
E già in Italia si gridava al miracolo:
tralasciando le attribuzioni di paternità geografica dell’atleta che provengono nientedimeno che dal presidente della regione Lombardia della Lega, ovvero di quel partito che più degli altri è assolutamente contrario all’immigrazione!
mentre tutti i “sani di mente” ponevano l’accento sul fatto che ormai le società sono multietniche e multirazziali, altrimenti non vedremmo, ad esempio, in Francia una quantità inimmaginabile di uomini e donne di colore, tanto nella società civile che sui vari campi sportivi.
Ma si sa, ormai tutto si butta in caciara (cioè in politica) ed ogni pretesto è buono per affermare i propri convincimenti o contrastare gli avversari.
Ragion per cui cercheremo di non cadere nella trappola e considerare questi atleti per ciò che sono, ovvero dei semplici figli della multirazziale società contemporanea.
Con la vittoria di Jacobs ci sentivamo già sufficientemente appagati, mentre pochi minuti prima di quella gara un altro atleta (stavolta nato e cresciuto in Italia) ci regalava l’oro nel salto in alto:
In pochi minuti eravamo diventati la nazione che correva più veloce e saltava più in alto del mondo.
Ora non so se ti capaciti di quello che questa cosa vuol dire, ma di suo ha un’importanza enorme.
La avrebbe ovviamente per qualunque paese, ma per l’Italia di questo 2021 ne ha ancor di più.
Un paese che:
Nel frattempo arrivano anche altre medaglie, qualcuna pure particolarmente preziosa:
e tutti i telecronisti a dire in coro la stessa cosa:
Pare una canzone di Mia Martini, “E non finisce mica il cielo”, e per la spedizione azzurra a Tokyo 2021quel cielo pare proprio un empireo.
Poi, insperatamente, ancora una volta come molte altre gare, arriva un’altra affermazione di quelle che nessuno ci credeva:
In questa staffetta (manco a dirlo) corrono due atleti di colore, tra cui Eseosa Desalu (ma abbiamo detto di non buttarla in casciara, e allora niente).
C’è ovviamente ancora Jacobs che corre la seconda frazione e nei suoi 100 metri ne guadagna tanti, ma non basta ancora e Lorenzo Patta.
Finchè un sardo milanese, Tortu (quello della pubblicità della fibra ottica) fa capire che hanno scelto il testimonial giusto e si va a prendere (ancora una volta contro gli inglesi) l’ennesimo oro per i nostri colori.
È un tripudio azzurro e tutti continuano a dire: “e non finisce mica il cielo”.